RACCONTI CATANESI

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A MANGIATA

Pubblicato da adb il 1 dicembre 2007

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A Mangiata


 


Quella calda sera di giugno, in preda ad una terribile malinconia, passeggiavo nervosamente per via Etnea. Avevo da poco terminato il servizio militare ed il pensiero di trovarmi un lavoro opprimeva la mia mente. Mi fermai un attimo davanti all’ingresso dei Magazzini Generali, trassi di tasca il mio scucito portafoglio e lanciai una furtiva occhiata alle cinque misere banconote da mille lire ben piegate nello scomparto d’incerata. Potevo fare poco con quei soldi: un arancino in una modesta friggitoria nella zona del Carmine, un seltz limone e sale nel chiosco di piazza Spirito Santo, un modesto pacchetto di sigarette senza filtro  da far durare tutta la settimana e poi, dopo una passeggiata alla Villa Bellini, un vecchio film all’arena Ideal. Certo una prospettiva davvero squallida per il mio primo sabato sera da civile. Comunque cercai di prenderla con filosofia, d’altronde durante i ventidue mesi di naja ne avevo consumate suole di scarpe ed ormai ero abituato alle camminate solitarie. La sete mi torturava ed avevo una voglia disperata di bere una bevanda, ma evitavo di pensarci: erano appena le venti e trenta e preferivo aspettare che il cielo imbrunisse del tutto per andare in rosticceria  a mangiare l’arancino e poi, subito dopo,  avrei preso la bibita, ma, nonostante i miei sforzi, l’arsura mi divorava. Così, istintivamente ed a rapidi passi, m’inoltrai verso piazza Spirito Santo. Il chiosco era affollatissimo d’uomini che, gesticolando, discutevano ad alta voce di politica locale. Dai loro ragionamenti intuii che quelle persone erano degli attivisti di un partito di maggioranza, i quali, alquanto agitati, tornavano da un comizio tenuto poco prima in piazza Università da un noto leader politico. Era l’ultima settimana d’elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Regionale Siciliana ed i maggiori esponenti nazionali venivano in Sicilia a fare le loro conclusive promesse elettorali.


Ero talmente tediato che il solo pensiero di fare una lunga fila per bere la bevanda mi  fece desistere dal mio  proposito. Stavo per girarmi e ritornare sui miei passi quando due fragorose pacche sulle spalle mi fecero sussultare.


“Giovanni! Giovanni Tritoni! ”, sbraitò una sgradevole voce, squillante ed artificiosa.  “Ma chi l’avrebbe mai detto che, stasera,  avrei incontrato il mio vecchio compagno di banco delle elementari.”


Rapidamente mi voltai incrociando lo sguardo luminoso e dileggiante di un giovane biondastro che mi fissava in maniera alquanto stupita.


“Embè? Giovanni non mi riconosci?”, fece il biondo, passandomi una mano davanti agli occhi, come per segnalarmi la sua presenza.


“Non ti ricordi di Nicola Provvadenti? Circolo Didattico Cesare Battisti, piano secondo?”.


“Sì, mi ricordo benissimo!”, mormorai visibilmente urtato. “Ma era necessario darmi quelle sonore pacche sulle spalle?”.


“Giovanni, sei sempre il solito permaloso, non sei cambiato con l’età!”, esclamò Nicola con un mellifluo sorriso sulle labbra. “Un amico ti rivede dopo quasi dodici anni e tu fai l’offeso. Comunque lasciamo andare. Che programma hai per la serata?”.


“Beh… stasera avrei tantissime opportunità”, risposi, con piglio sicuro, ostentando un’aria mondana. “Per prima cosa dovrei andare a prendere la mia ragazza e poi si vedrà. Probabilmente andremo in un ristorante di lusso e dopo in una discoteca alla moda. Scusa, ma a te cosa te ne importa?”, domandai sorpreso dall’arroganza di quel ex compagno di scuola elementare del quale, a malapena, ricordavo soltanto il nome e cognome.


“Allora sei impegnato?” fece Nicola ignorando la battuta. “Peccato mi sarebbe tanto piaciuto portarti in un locale. Sai mio suocero è l’assessore comunale Nuccio Bagatto ed ha organizzato una cena per i simpatizzanti del partito”.


“Ma io non m’intendo di politica e poi cosa centro con i simpatizzanti del partito?”.


“Beh, è un modo di dire: durante le elezioni, tutti i miei amici diventano simpatizzanti del movimento politico nel quale è candidato mio suocero.  Comunque non ti creare problemi, se non ti va l’appellativo di simpatizzante posso anche chiamarti compagno o camerata, l’importante è che portiamo acqua al mulino. Ah, dimenticavo: la tua fidanzata è maggiorenne?”.


“Sì… da pochi mesi…”, mormorai titubante.


“Benissimo: puoi tranquillamente portare anche la fidanzata!”, esclamò Nicola brioso.


“Mi farebbe piacere conoscerla.”


“Mah! Se proprio ci tieni, provo a telefonarle ”.


“D’accordo!” fece Nicola entusiasta. “Ad ogni modo prima andiamo a bere, così ti presento mio suocero.”


Fra la calca d’uomini sudaticci, spiccava un grassone di circa cinquant’anni, di carnagione olivastra, con dei folti capelli color nero corvino lunghi fino alle spalle e delle sopracciglia talmente spesse che sembravano due spazzole attaccate sopra le orbite dei suoi occhi, il quale, agitando convulsamente le braccia, invogliava gli amici ad ordinare le bibite.


“Giovanni cosa prendi?”, chiese Nicola.


“Un seltz limone e sale”, risposi sollecito.


Nicola s’intrufolò in mezzo al mucchio e dopo qualche minuto, ritornò con un lungo bicchiere traboccante di schiuma.


A rapidi sorsi tracannai la fresca bevanda quindi feci cenno a Nicola d’aspettarmi.


M’avviai sollecito verso la cabina telefonica situata nei pressi dell’edicola di piazza Stesicoro, rapidamente introdussi un gettone e feci un numero a caso fingendo di parlare con qualcuno; dopo di che ritornai sui miei passi.


Nicola m’aspettava insieme al suocero ed altri due giovani dall’espressione servile, vicino al monumento a Vincenzo Bellini.


Appena mi videro, con sollecitudine, s’avvicinarono verso di me.


“Giovanni, permetti che ti presenti mio suocero?”.


Senza darmi il tempo di riflettere l’assessore Bagatto, stese il braccio e m’afferrò la mano  stringendola vigorosamente, mentre i due giovani si limitarono a salutarmi con un untuoso sorriso.


“Bene, Bene”, proferì l’uomo in maniera gioviale. “Nicola mi ha molto parlato di lei: spero che stasera sarà dei nostri!”.


“Avrei tanti impegni per la serata”, mormorai mantenendomi sul vago, “comunque, se proprio ci tenete alla mia presenza,  non ci sono problemi, stasera sarò insieme a voi.”


“Benissimo! Che bravo ragazzo!”, fece l’uomo con un entusiasmo manierato. “E la fidanzata?  Viene pure la fidanzata?”.


“Purtroppo lei non ha alcuna intenzione di trascorrere la serata ascoltando discorsi, quindi ha rifiutato l’invito: mi dispiace, ma la politica non l’appassiona!”.


“D’accordo noi non obblighiamo nessuno a venire, l’importante è che la prossima settimana la sua fidanzata non si dimentichi di andare a votare; ed ovviamente che voti per me.”, pronunciò l’assessore strizzandomi l’occhio.


“Boh…? Dovrei parlarle…”, mormorai con espressione incerta, “può darsi che lei abbia altri impegni. Comunque non mi ha ancora detto per quale partito dovremmo votare”.


“Giovanni, Giovanuzzo”, mormorò l’assessore dandomi una leggera pacca sulle spalle. “Ma cosa te ne importa del partito? L’importante è intenderci. E stai tranquillo perché io non dimentico gli amici e saprò essere riconoscente con le persone che mi aiuteranno a vincere. Adesso dobbiamo stare uniti ed impegnarci per raggiungere l’obiettivo e sono convinto che grazie al tuo contributo riuscirò a staccare il mio avversario politico. Giovanni, Giovannino, facciamolo sorgere questo sole perché se il sole nasce, nasce per tutti!”.


Rimasi alquanto indifferente sia ai suoi cenni d’ammiccamento sia alle sue frasi di maniera.  Ma l’assessore Bagatto, ormai concluso il suo fervorino di prammatica, non fece caso alla mia espressione annoiata e, stringendomi frettolosamente la mano,  volse lo sguardo altrove sperando di incrociare il volto di qualche amico occasionale da agganciare per chiedergli il voto; dopo qualche minuto, non sbirciando all’orizzonte nessun conoscente,  si girò  e s’avviò, insieme ai due giovani, verso la Villa Bellini.


Rimasi con Nicola fermo a guardare il lento passeggio di via Etnea.


“Giovanni, andiamo con la mia auto o con la tua?”, chiese ad un tratto Nicola.


“Mah? Scegli tu! La mia fuoriserie è posteggiata sotto casa della mia fidanzata al Borgo”, risposi con sollecitudine. “Però, ti avverto che ha una gomma bucata, quindi dovresti darmi una mano a sostituire la ruota”.


“D’accordo! Ho capito: andiamo con la mia”, fece Nicola con un chiaro cenno di disappunto.


Prontamente ci recammo al parcheggio di piazza Grenoble e subito dopo ci avviammo con la Pallas di Nicola presso un noto ristorante di Sant’Agata Li Battiati.


Il locale era già affollato d’uomini accaldati che discutevano animatamente di politica. Erano divisi in diversi gruppi alquanto eterogenei. Nella moltitudine spiccavano persone dall’aspetto serioso e professionale agghindati, nonostante il gran caldo, con giacca e cravatta mentre altre persone, alquanto sbracate, indossavano camice fiorate e  pantaloni spiegazzati. Fra i più giovani, alcuni stavano in polo e bermuda. Appena varcammo la soglia, Nicola, da fraterno amico quale si dichiarava, senza neanche darmi un minimo di spiegazione, mi piantò in mezzo alla sala e con sollecitudine s’accostò a due eleganti ragazze che stavano un po’ appartate in un angolo della stanza. Non diedi troppo peso alla sua scortesia, tanto non me ne fregava più di tanto e, con lentezza, m’accomodai in fondo all’ala di una lunga tavolata a forma di ferro di cavallo dove ai posti centrali stava già seduto l’assessore Bagatto insieme a due anziani, pallidi e smunti, che indossavano degli abiti scuri, alquanto antiquati. Gli attempati signori avevano un’espressione assente e sedevano in maniera talmente rigida che sembravano delle statue esposte al museo delle cere, mentre il posto principale era vuoto.


Dopo alcuni minuti apparve scortato da un codazzo d’uomini con vestiti scuri il ministro per gli Affari Generali On. Pierluigi Brachettoni.


Subito l’assessore perse tutta la sua alterigia e, sbiancando in viso, divenne il più servile degli uomini. Prontamente si sollevò dalla sedia e corse incontro al ministro. L’abbracciò sfoggiando un melenso sorriso, quindi volse uno sguardo compiacente intorno, come per dimostrare ai numerosi commensali quanto fosse amico dell’illustre ospite. Il membro del governo, pallido come un cencio, con i radi capelli scompigliati, il volto strapazzato dalla fatica e delle occhiaie nere come la seppia, sorrideva sinistramente. I pantaloni gli stazzonavano sulle gambe, mentre la giacca sgualcita gli pendeva flosciamente sulle spalle.


“Un applauso per il ministro!”, urlò possente una voce da venditore ambulante.


In un attimo un subisso d’applausi travolse la sala.


“Forza, sbrighiamoci e mangiamo”, udii sibilare dietro le mie spalle.


Mi voltai e vidi un anziano che mi sorrideva sornione.


Appena ci sedemmo, l’assessore Bagatto prese la parola.


“Amici”, esordì l’esponente politico, con tono apparentemente commosso, “amici, amici miei, scusate se l’emozione mi attanaglia la gola e non mi aiuta a trovare le giuste parole per iniziare il mio discorso. Voi tutti mi conoscete abbastanza bene e sapete quanto non ami i lunghi e complicati ragionamenti, le tortuose frasi ad effetto, le mirabolanti esposizioni condite da ridondanti parole vuote ed inconcludenti. Voi che siete i miei amici più fedeli, voi che mi seguite sin dall’inizio del mio lungo percorso politico, sapete bene, quando sono concreto e conoscete il mio programma volto solo ed esclusivamente al bene della collettività. Voi capite che stasera io avrei potuto invitare a quest’incontro politico mille fedelissimi, ma ho preferito chiamarne a raccolta cento, solo i cento amici della prima ora. I sostenitori sinceri e leali di decine di campagne elettorali, sempre vincenti.


Amici, non voglio annoiarvi con le mie discussioni, ci sono dei ragazzi che stanno girando per i tavoli con i miei facsimili: domenica prossima si vota e voi già sapete come comportarvi, non ho altro da aggiungere. Adesso passo la parola


all’On. Brachettoni per il programma politico del partito”.


Un fragoroso applauso chiuse il discorso dell’assessore.


Il ministro che aveva ascoltato quel breve intervento, con la testa fra le mani e gli occhi socchiusi per la stanchezza, ad un tratto, sia per lo scroscio degli applausi sia per le urla d’ammirazione, si ridestò. Lentamente si sollevò dalla sedia e con espressione assorta cominciò a parlare. Subito avviò il suo discorso sulle grandi potenzialità di crescita e di sviluppo che aveva la Sicilia, poi iniziò a vantare la tenacia e la caparbietà della popolazione isolana, sempre attiva, prestante e laboriosa nonostante le ataviche difficoltà, quindi, con tono fermò, passò ad illustrare il programma del partito a favore del meridione promettendo, progresso, sicurezza, lavoro e benessere per tutti.


“Amici, ” disse al termine di un suo fumoso ragionamento, “ho parlato per circa un’ora e mi dispiace d’essere molto stanco e provato dal caldo torrido di oggi, perché avrei discusso volentieri delle grandi opere pubbliche che il governo s’appresta a varare nella vostra regione e dei benefici, alquanto consistenti, in termini economici e  sociali che ricadranno  sul territorio, però mi riprometto di tornare ancora a Catania  e stavolta per festeggiare con tutti voi la vittoria dell’amico Nuccio Bagatto. Ed adesso pensiamo a gustare le specialità della casa”.


Una caterva di grida da stadio e d’entusiastici applausi fece quasi tremare il soffitto del ristorante.


“Viva l’Onorevole Brachettoni. Viva Nuccio Bagatto”, s’udiva vociare da tutta la sala.


“A Palermo ti vogliamo. Nuccio, sei tutti noi.”


Subito i camerieri cominciarono a servire ai tavoli gli antipasti ed i commensali iniziarono lestamente a mangiare.


Nella sala s’udiva solo il pesante rumoreggiare delle mascelle che trituravano pane casareccio, olive, fette biscottate spalmate di crema di formaggio,  grissini avvolti in  guaine di prosciutto, melanzane sott’olio e sottaceti vari.


All’improvviso si materializzò al centro della sala un uomo di mezza età, stempiato, panciuto e notevolmente basso. Indossava un vestito scuro a righini bianchi verticali, tipo Gangster, una camicia marrone di raso ed una cravatta rosa chiaro dall’ampio nodo, mentre le scarpe, impotate di nero lucido, erano a punta. Il volto flaccido dell’uomo era imperlato di sudore, mentre i suoi occhi vagavano attenti e sospettosi per la sala. Aveva un’espressione altera e sicura.


“Scusate se disturbo”, proferì l’uomo con tono sprezzante, agitando il dito a


mezz’ aria. “E’ questo il locale dove fa la mangiata l’Onorevole Brachettoni?”.


Il silenzio avvolse la sala, mentre sollecito l’assessore Bagatto si sollevò dalla sedia.


“Dite buon uomo”, pronunciò l’assessore tentando di mostrare un atteggiamento calmo e disinvolto. “Che cosa volete e chi cercate?”.


“Un amico mi ha riferito che in questo locale c’è una mangiata e mi ha detto di cercare l’assessore Bagatto!”.


“Sono io l’assessore, dica pure”.


“Mi manda lo zio Jano del cortile San Pantaleone”.


“Ah! Lo zio Jano, un mio grande elettore. Benissimo gli amici dei miei amici, sono  anche miei amici, si accomodi al tavolo e si faccia dare i miei facsimili dai quei ragazzi in fondo alla sala”.


“Assessore, ma io non solo, c’è anche la mia signora”.


“D’accordo, faccia entrare la sua signora”.


L’uomo lanciò un breve fischiettio e subito apparve una donna lunga e secca, dal volto scavato e dai radi capelli rossicci. Era vestita con un abito scuro da cerimonia, alquanto scolorito, ricordo del lontano matrimonio del fratello ed ancora tenuto in vita nonostante i rattoppi e le larghe macchie d’unto che apparivano sparse qua e là.


La donna entro sicura di sé nella sala.


“Dov’è il ministro Brachettoni che mi voglio presentare”.


Il ministro stancamente si sollevò dal tavolo lanciando alla strampalata coppia un fiacco sorriso.


“Piacere, Amalia Fummari in Raminapoli”, disse la donna allungando la scheletrica mano verso l’onorevole.


“Lei di presenza è ancora più simpatico che visto in televisione. Lo sa che è veramente un bell’uomo.”


“Grazie signora, in ogni modo accomodatevi ai tavoli ed iniziate a mangiare”.


“Ma eccellenza, noi non siamo soli”, disse sfrontatamente la donna.


“E chi c’è ancora”, proferì stizzito l’assessore.


“Come chi c’è? Ma scusi lo zio Jano non glielo ha detto che con noi veniva anche mia figlia Sarina?”.


“No! Lo zio Jano non mi ha detto nulla! Comunque, non c’è problema, accomodatevi.”


“Però… mia figlia Sarina è in compagnia”, fece sorniona la donna.


“In compagnia di chi?”.


“Ma del suo uomo. Vede assessore, mia figlia Sarina ha fatto la fuitina con un giovane, orfano d’entrambi i genitori, senza titolo di studio e disoccupato cronico ed adesso è incinta grossa, anzi grossissima e quasi di nove mesi. Che faccio, li posso fare accomodare tutti e due?”.


“Ma cosa vuole che le dica, li faccia entrare e non ne parliamo più”, sbottò l’assessore, tentando di mantenere il controllo dei nervi.


“Sarina…! Alfio…! Oh Sarina…! Oh Alfio…! Vi potete accomodare”, sbraitò la signora Amalia.


Lestamente entrarono, con un atteggiamento alquanto sfacciato, una ragazza, d’età indefinita, talmente grassa che non si capiva se fosse incinta oppure dilatata dai rotoloni di adipe ed un giovanotto che sembrava l’immagine propagandista della fame nel terzo mondo.  Era secco, emaciato, di colorito giallognolo, con i capelli lunghi ed arruffati ed una barba incolta di tre giorni. Indossava una camicia a maniche corte che forse in un lontano passato sarà stata di colore azzurrino, ma adesso, talmente era stinta, da sembrare  biancastra. La ragazza invece vestiva più alla moda; portava un  ampio scamiciato fiorato che la copriva fino alle caviglie e calzava dei larghi zatteroni color crema. Era bianca come una mozzarella, di altezza media, occhi cerulei, capelli biondi a boccoloni.


Subito i due si recarono, dal ministro Brachettoni e gli strinsero calorosamente la mano, poi la strinsero all’assessore Bagatto quindi si girarono attorno e con faccia tosta domandarono: “Dove ci sediamo?”.


I quattro sembravano veramente un bel quadretto, sistemati al centro della sala non davano segni d’irrequietezza o disagio, anzi sembravano rilassati, come se fosse normale andare a mangiare a sbafo.


“Guardate”, fece l’assessore alquanto spazientito, “sistematevi in fondo al tavolo, accanto al quel giovanotto”. E col dito indicò delle sedie alla mia destra.


Il capo famiglia fece cenno ai propri congiunti di non muoversi, quindi con espressione superba e tono sdegnoso disse: “Onorevole Brachettoni, prima che io e la mia famiglia ci sediamo al tavolo insieme a questa bella compagnia d’amici, gli dovrei chiedere un favore”.


“Mi dica, buon uomo”, fece sollecito il ministro.


“Mi consente di parlare liberamente?”.


“Ma certo che può parlare liberamente!”, esclamò l’onorevole Brachettoni. “Siamo o non siamo fra amici?”.


“Onorevole, le chiacchiere sono chiacchiere, ma i maccheroni riempiono la pancia. Mio genero non ha mai lavorato in vita sua. Ha fatto la fuitina e si vuole sistemare: che fa glielo fa avere un posto di lavoro, magari nel camion della nettezza urbana?”.


“Beh…caro amico…cosa vuole che gli dica? Di queste cose…diciamo terra…terra, non me ne occupo. Magari ne parli con il mio segretario”.


“Onorevole, forse per lei il problema del posto di lavoro sarà terra terra, ma per noi è vitale. Questa è una mangiata fra amici o una riunione politica?”.


“Beh…entrambe le cose. Siamo fra amici, ma discutiamo di politica”.


“Allora? La politica non è fare il bene del popolo?”.


“E’ chiaro, però nel senso molto ampio del termine”.


“Scusi, mio genero fa parte del popolo italiano oppure è uno straniero?”.


“E lo chiede a me? Solo coloro che  hanno la cittadinanza italiana possono considerarsi  parte integrante della nostra beneamata nazione.”


“Eccellenza, probabilmente non riusciamo ad intenderci, mio genero è nato e cresciuto alla Civita! Lui è un catanese vero! Dunque gli faccia avere il posto nella nettezza urbana e lei potrà dire, ad alta voce, d’aver aiutato il popolo italiano”.


La sala assisteva in silenzio a quell’imprevisto dibattito fra il ministro, che stanchissimo dal lungo giro elettorale probabilmente non vedeva l’ora di terminare di mangiare e subito dopo andare in albergo a dormire, e l’ uomo che continuava a fissarlo imperterrito.


A quel punto intervenne l’assessore Bagatto il quale subito prese l’agenda e con fare sbrigativo chiese al  giovane le proprie generalità.


“Scusi assessore ”, fece il ragazzo con espressione furba, “ma dopo che io gli do il mio nome e cognome, lei me lo fa avere il posto?”.


“Ma che razza di domanda è questa?”, bisbigliò l’assessore con i nervi a fior di pelle. “Adesso mi appunto le sue generalità e dopo, se sarò eletto, si vedrà. Però, posso garantirle che ci metterò il massimo impegno per procuragli un posto di lavoro.”


“Assessore, ma in questo momento, in piena campagna elettorale per le regionali, mi dica se esiste un candidato che non promette di impegnarsi per fare avere un lavoro ad un suo elettore. Tutti garantiscono di impegnarsi, ma io non voglio la sua assicurazione, voglio il posto!”.


“Scusi, ma lei ha scambiato questo ristorante per l’ufficio di collocamento?”, sbottò l’assessore. “E’ quella la sede preposta all’avviamento al lavoro. Vada lì a chiedere il posto”.


“E io ci sono stato all’ufficio di collocamento e sa cosa mi hanno risposto?”.


“No! Che cosa gli hanno detto?”


“Mi hanno risposto di andarmi a cercare un amico in politica. Perché al giorno d’oggi per avere un posto ci vuole la pedata e  più amici si hanno in politica e più probabilità ci sono di lavorare.”


“Ancora devo ascoltare tali corbellerie!”, esclamò indignato l’assessore Bagatto.


“E’ assurdo che ancora si ragioni in termini di raccomandazione quando tanti nostri  giovani riescono a sistemarsi grazie alle loro capacità individuali e professionali.  Ad ogni modo, lei è iscritto negli elenchi dei disoccupati?”.


 “Da sempre!”.


“E con quale qualifica?”.


“Giardiniere”.


“Giardiniere, lei è un giardiniere?”, fece, con un timbro di voce baritonale, un uomo di circa sessant’anni, alto, massiccio e totalmente calvo, sollevandosi di colpo dalla sedia.


“Domattina si presenti nella mia villa di Vampolieri, cercavo appunto un giovane giardiniere per curarmi il prato all’inglese”.


I quattro si guardarono con un sorriso sornione, quindi il capo famiglia disse al genero: “Adesso puoi dare le tue generalità al signore. Hai visto che non abbiamo perso tempo a venire qua stasera. Non sei contento? Grazie a me hai trovato il lavoro.” Quindi rivolto all’assessore aggiunse: “Però lei adesso mi deve fare un altro favore!”.


“Senta, signor…? Come si chiama?”.


“Raminapoli Orazio, ma per gli amici solo Grazio e a lei concedo di  chiamarmi Grazio”.


“Beh… la ringrazio per la gentile concessione signor Grazio; comunque mi ascolti, non sarebbe più opportuno se, di quest’altro favore, ne parlassimo con calma nella mia segreteria politica, magari fra qualche mese?”.


“Assessore, ma la settimana prossima si vota e dopo che si è votato a lei chi lo vede più!”.


“Ma cosa dice…?”, proruppe l’assessore colorandosi in viso. “Gli amici qui presenti lo sanno che la porta del mio ufficio è sempre aperta, giorno e notte, ed io sono sempre, dico sempre, disponibile nel favorirli”.


“E allora perché ha detto di vederci fra qualche mese?”.


“Ma adesso abbiamo altro a cui pensare, capisce che siamo in piena campagna elettorale e devo cercarmi i voti, perché altrimenti a Sala d’Ercole ci va il mio rivale politico e se ciò avvenisse sarebbe una tragedia per tutti noi. Lo comprende che potrei perdere l’elezione anche per quattro miseri voti”.


“Assessore, ma noi siamo in quattro, lo capisce?”.


“ Ma… il favore per suo genero non glielo abbiamo fatto?”.


“Sì, ma ora dovrebbe fare una benevolenza a mia moglie”.


“Sentiamo: di cosa si tratta?”.


“La vede com’è secca, ha tutte le ossa di fuori, inoltre i capelli le cadono a ciocche, soffre di vene varicose nelle gambe, l’artrosi le deforma la schiena e negli ultimi tempi ha perso quasi tutti i denti. Sarina fai vedere all’assessore che ti mancano tutti i denti.”


La signora Sarina proruppe in un ghigno che fece inorridire i presenti.


“Allora, assessore carissimo, la benevolenza che dovrebbe farmi è la seguente: sollecitare la pratica d’invalidità civile di mia moglie che da diversi anni giace sepolta in qualche ufficio in attesa dell’ennesimo timbro.”


“Beh…? Dove sta il problema? ”, fece l’assessore inaspettatamente brioso. “Adesso prendo l’appunto nella mia agenda e domani telefono ad un mio carissimo amico che dirige la sezione minorati psico-fisici, presso il dipartimento del servizio sanitario nazionale: gli prometto che al più presto sua moglie avrà la giusta pensione d’invalidità. Contento? Adesso continuiamo a mangiare”.


I quattro, con espressione insoddisfatta, restarono immobili al centro della sala.


L’assessore lestamente scrisse su di una voluminosa agenda il cognome ed il nome della donna, quindi sollevò lo sguardo sul gruppo famigliare.


“Allora…? Cosa aspettate ancora?”, domandò, visibilmente irritato.


“Avete qualcos’altro da chiedere?”.


“Assessore, mia figlia Sarina gli chiede il permesso di parlare”, fece Raminapoli con sguardo fiero.   “Che fa può parlare?”.


“Ma… non capisco… che parli pure…”.


“Sa… mi scusi…”, mormorò sottovoce e con gli occhi bassi l’adiposa ragazza. “Mi pare male anche parlarne, però è un’idea che mi è venuta per strada, dentro la Millecento di mio padre, ma non dovrei esporla all’assessore Bagatto, bensì al ministro Brachettoni. Posso dichiararmi, signor ministro? Che fa si offende se le parlo così…diretta? D’altronde, passato questo momento a lei chi lo vede più a Catania?”.


“Dica, dica pure signorina”, disse il ministro con tono conciliante. “Non si preoccupi, come ben vede io sono sempre pronto ad ascoltare le richieste dei cittadini. In ogni modo la devo subito smentire su una sua osservazione: non è per nulla vero che io vengo in questa bella città della Sicilia, solo in occasione delle elezioni, sono venuto anche lo scorso agosto ed ho trascorso delle piacevoli vacanze in un confortevole albergo di Acitrezza. E poi ci tengo a precisare che la mia segreteria politica a Roma si trova in via del Corso ed è sempre aperta a tutti ed in modo particolare ai miei amici di Catania”.


Un fragoroso applauso si sollevò dall’altra estremità del tavolo da parte di un gruppo d’uomini, i quali, compenetrati nella discussione, seguivano con curiosità l’inaspettata disputa.


“Allora lei m’incoraggia ad osare?”, disse la ragazza guardando di sottecchi il ministro.


“Suvvia, cosa avrà di così importante da propormi? Si pronunci e dopo continuiamo a mangiare, perché penso che tutti i nostri amici non desiderino altro!”.


“Un applauso per il ministro Brachettoni”, proruppe squillante la solita voce di venditore ambulante, ben timbrata dalla giornaliera vanniata ai mercatini rionali.


Un altro ancora più fragoroso scroscio si sollevò dalla sala, accompagnato stavolta da diversi cori e fischi da gradinate di stadio.


“Sbrighiamoci che abbiamo fame”, disse un attempato signore con degli spessi occhiali da miope.


“Ma quando la finiamo”, bisbigliò uno spilungone dall’altro lato del tavolo.


“Mamma, io mi vergogno a chiedere al ministro tale favore”, fece la grassona rivolta alla strampalata genitrice. “Che fai glielo domandi tu?”.


“Ma certo, gioia di mamma”, fece la signora Amalia, abbracciando commossa la flaccida figlia. “Onorevole, è bella o non bella mia figlia?”, domandò, con occhi lucidi, la donna, mostrando a tutti le abnormi rotondità della ragazza.


“La sua bellezza è palese, anzi più che bella è splendida”, rispose il ministro, sorridendo sotto i fini baffi brizzolati. “Però gentile signora, velocemente, mi esponga la sua richiesta perché si sta facendo tardi e domani mi aspetta una giornata zeppa d’impegni nella zona del Calatino”.


“Allora onorevole, io non sono come mio marito che ha proseguito negli studi fino alla licenza media e riesce a trovare le parole giuste per ogni circostanza, io a stento sono arrivata alla quinta elementare e quindi gliela dico così…alla catanese. Onorevole, mia figlia Sarina il mese prossimo si sposa e vorrebbe che lei gli facesse da testimone alle nozze”.


Un silenzio glaciale scese sulla sala. Gli occhi dei presenti si volsero sul ministro Brachettoni il quale guardava irritato l’assessore Bagatto che, a sua volta, a bocca aperta per lo stupore, ricambiava con imbarazzo il suo sguardo. Intanto, al centro della sala, il Raminapoli, lestamente, andò a stringere la mano della moglie, complimentandosi con lei per il coraggio dimostrato nel porre la richiesta al ministro quindi entrambi volsero uno sguardo altero e sdegnoso in direzione del membro del governo. Anche i due fidanzati scambiandosi cenni d’intesa e leggere pacche sulle spalle guardavano furbescamente in direzione del ministro.


Intanto, la comitiva in fondo al tavolo che seguiva con sempre maggiore interesse


quell’insolito dibattito, manifestò apertamente il suo appoggio al gruppo famigliare che caparbiamente chiedeva ai due politici quei favori che, in fondo, anche loro, se avessero avuto un po’ più di sfrontatezza, avrebbero volentieri richiesto.


“Onorevole Brachettoni, accontenti i ragazzi”, gracchiò, con voce rauca, un omone alto due metri con la camicia sbottonata sul petto villoso ed i capelli neri dal lungo ciuffo impiastricciato di brillantina.


“Ci faccia un bell’assegno come regalo e continuiamo a mangiare che si è fatto tardi”.


“Abbiamo fame”, bisbigliò un vecchietto seduto di fronte a me.


“Ma quando termina questa discussione?”, mormorò un’anziana signora dall’aspetto equivoco, truccata in maniera alquanto pesante.


“D’accordo, farò il possibile per essere presente alle nozze di sua figlia Sarina”, proruppe ad un tratto il ministro.


“A proposito, quando si sposa la ragazza?”.


“Tre mesi dopo che nasce il bambino”, intervenne sollecita la giovane per nulla intimidita. “Capisce, eccellenza, noi siamo povera gente, di mattina ci sposiamo e poi di sera battezziamo il bambino, cosi facciamo un unico banchetto ed una sola bomboniera, però, in compenso, ci becchiamo un doppio regalo. Sa come vanno le cose: dobbiamo arrangiarci”.


“Capisco… capisco benissimo! Allora, orientativamente, le due cerimonie si svolgeranno verso la fine di settembre?”, mormorò l’onorevole toccandosi il mento.


“Mah? All’incirca …”.


“Mi è impossibile venire. Per quel periodo ho già programmato una visita ai terremotati del Friuli,  poi, subito dopo,  dovrò recarmi a Belgrado per un incontro con i vertici del governo Iugoslavo ed infine, in quel mese, verranno a Roma dei dirigenti del Partito Comunista dell’Unione Sovietica.”


“Allora, non viene al matrimonio?”


“Non vengo, ma autorizzo l’assessore Bagatto a firmarle un assegno di mezzo milione come mio regalo di nozze”.


“Ma… signor ministro…”, sibilò l’assessore alquanto stupito dalla generosità del rappresentante di governo.


“Senza sì e senza ma…!”, proruppe l’onorevole Brachettoni parecchio indispettito per la piega degli eventi. “Assessore, non dobbiamo deludere le richieste dei nostri elettori, faccia un assegno a questa brava gente e finiamola questa triste commedia!”.


“E per il battesimo…?”, intervenne con tempismo, il promesso sposo di Sarina.


“Già, dimenticavo il battesimo”, sussurrò il ministro, socchiudendo gli occhi e grattandosi la testa. “Un altro mezzo milione per il battesimo. Firmi, firmi assessore Bagatto”.


L’assessore, masticando amaro, mogiamente, trasse fuori da una valigetta ventiquattrore un carnet d’assegni e, dopo averne compilato due foglietti, fece cenno al capofamiglia d’avvicinarsi.


“Accetti questo dono come segno di magnanimità e di riconoscenza del partito verso i suoi più fedeli elettori”, disse l’assessore facendo buon viso a cattivo gioco, quindi, con solennità mise i due foglietti in mano al signor Raminapoli. 


“Adesso, se non ha avete altre istanze da fare, ci consentite di continuare a mangiare?”, bisbigliò l’assessore, lanciando un’occhiata risentita all’uomo ed agli altri componenti della bella famigliola.


“Mah, un’altra preghiera e poi…e poi… gli prometto che ci sediamo”, mormorò artificiosamente impacciato il Raminapoli.


“Ancora una richiesta?”, bisbigliò l’assessore, con espressione rassegnata.


“L’ascolto, ma che sia l’ultima!”.


“L’ultimissima”, fece Grazio con un furbesco sorriso.


“A cinquanta metri dal ristorante sta posteggiata la mia Millecento, purtroppo sono rimasto a secco. Vede, io vorrei impegnarmi in questi giorni a cercargli i voti, ma nonostante la mia buona volontà non posso muovermi: la macchina è senza carburante e con pochissimo olio nel motore.


Assessore, quest’ultima settimana mi fa girare, oppure no?”.


“Scusi, ma dipende da me?”.


“Ovvio che dipende da lei. La mia automobile ha bisogno di sugo per camminare e di olio per lubrificare gli ingranaggi. Cerchi di venirmi incontro: con soli due blocchetti di buoni di benzina, da cento litri cadauno, io gli prometto che mi visito tutti i miei parenti ed amici; inoltre se lei facesse un ulteriore sforzo e mi offrisse altri tre blocchetti, io potrei anche visitarmi i parenti della mia consorte; e le giuro assessore che lei non avrà  modo di pentirsi di tale generosità, perché i parenti di Amalia sono talmente numerosi che neanche immagina quanti voti potranno cadergli. Ci rifletta assessore: ormai siamo agli sgoccioli. E dopo aver mangiato l’asino non ci si confonde per la coda. Con appena cinque blocchetti, per un misero totale di cinquecento litri di benzina, si garantisce l’elezione a deputato!  Lei se va dritto dritto a Palermo!”.


Tale discorso sembrò interessare l’assessore il quale riprese la valigetta e trasse fuori diversi blocchetti colorati su cui stava impresso il noto marchio di una famosa compagnia petrolifera; quindi ne conto cinque e li consegnò al Raminapoli, il quale lo ringraziò con un largo sorriso.   


“Gli affido  questo  carburante da utilizzare solo ed esclusivamente per proclamare e divulgare le nostre idee politiche”, proferì, ammiccando l’assessore Bagatto.


“Mi raccomando  metta a disposizione tutte le sue conoscenze  e s’adoperi per fare accrescere a dismisura i consensi al nostro stimato partito. Adesso, finalmente possiamo mangiare?”.


I quattro si scambiarono dei brevi cenni d’intesa, quindi, con espressione appagata,


esclamarono in coro: “Buona mangiata a tutti!”


Lestamente il giovanotto si sedette accanto a me e la promessa sposa al suo fianco, mentre i suoceri presero posto al tavolo di fronte, accostati ad un arzillo vecchietto. Subito i camerieri iniziarono a servire un trittico composto da spaghetti al nero di seppia, maccheroni in salsa verde e pennette alla norma. I quattro lestamente divorarono quelle appetitose porzioni di pasta e non contenti di ciò, alla fine, ingordamente, inzupparono dei bocconi di pane casereccio nel sugo, rendendo il fondo del piatto lucido e trasparente come se fosse appena uscito dalla lavastoviglie.


Anche il resto dei commensali non scherzava: mangiavano famelici e concentrati nel non lasciare neanche gli avanzi.


Nell’attesa che servissero i secondi, accesi una sigaretta e con gusto ne aspirai l’aroma. Magari, per una cena come questa avrei preferito fumare una Americana dal sapore fragrante al posto della mia modesta Popolare senza filtro, ma sapevo accontentarmi anche di poco. Mentre ero immerso nei miei pensieri mi sentii tamburellare alle spalle: era il promesso sposo, il quale senza porsi troppe remore mi chiedeva una sigaretta. Con disappunto, uscii il mio pacchetto di Popolari senza filtro e l’offrii al giovane, ma lui rifiutò sdegnoso la mia offerta, dichiarando che  fumava solo sigarette con doppio filtro o in alternativa Americane  dure. Senza indugiare si alzò dal tavolo, ritornando dopo qualche minuto con una sigaretta estera che gli pendeva dalle labbra.


“Io non fumerei mai le Popolari”, disse con sguardo sfottente buttandomi un po’ di fumo in faccia. “Mi fanno venire la tosse e poi quelle senza filtro mi lasciano dei pezzettini di tabacco sulle labbra”.


“D’accordo”, mormorai meravigliato da quella gran faccia tosta. “Però sono economiche e quando sei in ristrettezza, non vai a guardare la marca”.


“Sarà così; in ogni modo, sai cosa c’è di secondo?”.


“Boh? E chi lo sa?”.


“Speriamo che ci sia pesce. Ieri alla mangiata dei Vermigli abbiamo consumato salsiccia e polpette, mentre l’altro ieri nel partito dei Corvini abbiamo mangiato filetto ai ferri e contorni misti. L’ultima volta che abbiamo consumato del pesce è stato dieci giorni fa alla cena dei Candidi, quella sì che è stata una bella mangiata, si vede subito che lì i soldi girano. Comunque neanche questi scherzano: sono fedeli alleati dei Candidi ed il denaro lo dovrebbero fare muovere anche loro. D’altronde se non n’approfittiamo adesso chi li vede più questi signori. Questa persone, subito dopo le elezioni, se t’incontrano per strada, neanche ti salutano, anzi ti scansano perché hanno paura che gli vai a ricordare la promessa che non hanno mantenuto.”


“Scusa, io non m’intendo tanto di politica”, dissi visibilmente adirato dalla sfacciataggine del ragazzo. “Però il tuo comportamento, e suppongo anche quello dei tuoi suoceri, non mi sembra tanto corretto. Ma come, voialtri andate a cena a scrocco, domandate ed ottenete regali e favori e poi vi permette di criticare la condotta dei politici? Ma fanno bene a non salutarvi, anzi dovrebbero prendervi a calci nel sedere”.


“Si vede subito che sei novello”, ridacchiò il giovane per niente turbato dalle mie parole. “Se tu avessi più esperienza della vita non parleresti così. A loro bastano pochi mesi d’onesta, e ripeto onesta, amministrazione per rifarsi con gli interessi dei soldi che spendono per le campagne elettorali. I candidati, in questo periodo d’elezioni, ci cercano disperatamente: hanno bisogno di noi, del nostro singolo voto, per venire eletti ed a tale scopo ci illudono, facendoci  vagamente odorare il profumo di quel benessere che dopo loro respireranno per un’intera legislatura. E noi, povera gente, ci prendiamo la nostra rivincita andando gratis ai rinfreschi, alle mangiate, alle gite, alle serate danzanti, agli spettacoli teatrali ed a quant’altro ancora loro fervida fantasia riesce ad escogitare per strapparci il consenso elettorale”.


“Quindi è per tale ragione che non ti poni nessuna remora a mangiare a sbafo”, mormorai esterrefatto da quel ragionamento così cinico ma che in fondo aveva una dose di verità.  “Non so… non provi vergogna, non ti senti uno scroccone, un profittatore… E’ ovvio che se noi pretendiamo doni e benefici d’ogni tipo, loro, per accontentarci, saranno costretti a ricorrere ad ogni sorta d’intrallazzo. E poi, sinceramente, non penso che i nostri politici siano tutti dei ciarlatani di piazza, così come li vorresti fare apparire. Ci saranno anche delle persone con degli ideali, gente che si propone a tutela dei diritti dei cittadini, uomini che hanno un programma volto al benessere, alla sicurezza, al progresso della collettività, altrimenti sarebbe tutto un grigiore.”


“Scusa, ma da dove vieni? dalle montagne?”.


“Ma quale montagne? Io fatto il militare a Taranto, in marina”.


“Ah, adesso capisco perché parli così, il servizio militare ti ha offuscato la vista! Ma di quali ideali vai cianciando, di quali programmi blateri, gli unici ideali, per certi personaggi, sono il potere ed il denaro: credimi, per molti di loro, l’attività politica è un solo ed esclusivamente un grande affare: un business, come dicono gli americani.”


“Ma è ingiusto quello che con tanta sicurezza affermi”, ribadii irritato da tale sfacciataggine. “Non possiamo farne una questione di quattrini. Sicuramente ci saranno dei politici altruisti, che non mirano solo ed esclusivamente al proprio tornaconto. Altrimenti abbiamo mandato a rappresentarci persone indegne per un paese civile!”.


“Purtroppo è così!”, mormorò il giovane spegnendo la cicca di sigaretta nel piatto.


“Il denaro è il combustibile che fa girare il mondo. Loro ci considerano come dei juke-box: mettono  una moneta ed ascoltano una canzone; e più monete mettono e più canzoni ascoltano. Ad ogni manciata corrisponde un certo numero di voti, ed ovviamente maggiori mangiate si fanno e maggiori voti si prendono. Capito! E’ un calcolo matematico, come due più due fa quattro!”.


“Allora tu vorresti dire che chi ha più soldi,  e quindi  riesce ad offrire più mangiate, vince le elezioni ?”.


“Non posso affermarlo con certezza, perché nelle mangiate ci vanno anche persone come il sottoscritto o come mio suocero e la sua famiglia che onorano la bandiera.”


“Cosa significa onorano la bandiera? Vorresti forse dire  che tu, dopo il favore che ti hanno fatto non gli dai il voto all’assessore Bagatto?”.


“Esattamente! Né io e né gli altri”.


“Scusate, ma se poi a loro i conti non tornano e si accorgono che non avevate dato il vostro voto che figura ci fate? Non mi sembrano persone così stupide, magari avranno dei sistemi per capire che non avete votato per loro.”


“E’ difficilissimo che ci scoprano, comunque anche se ciò avvenisse noi abbiamo dei metodi collaudati. Insomma abbiamo già pronte le nostre giustificazioni: tutte plausibili. Se vuoi ti faccio qualche esempio.”


Annuii con il capo.


“Beh, possiamo dichiarare che, per un evento improvviso, il giorno prima delle elezioni siamo stati obbligati a partire o che un epidemia influenzale ci ha costretti a stare a letto; oppure che abbiamo regolarmente votato ma proprio in quel seggio hanno combinato degli imbrogli e quindi i nostri voti sono stati assegnati ad un altro partito, oppure per errore del presidente o di qualche scrutatore i voti stati attribuiti ad un candidato diverso o addirittura sono andati finire tra le schede annullate.  Se vuoi, ti posso fare ancora altri esempi ”.


No, basta così! Un’ ultima domanda: domenica prossima, allora per chi votate?”.


“Boh? Se vuoi sapere la verità neanche noi lo sappiamo, tanto c’è poco da scegliere:


sono tutti mangiatari ”.


All’improvviso le luci si spensero, mentre da un ingresso laterale, lentamente, cominciò ad avanzare verso il centro della sala uno strano corteo composto dal cuoco col suo caratteristico copricapo e da quattro camerieri che portavano a spalla una portantina contornata da candeline con sopra un maiale arrosto, infarcito da mezzi limoni e rametti di rosmarino. Dai buchi del naso del suino fuoriuscivano due grossi ravanelli, di un acceso colore rosso, mentre agli angoli della bocca gli pendevano una lisca di sedano ed una foglia di lattuga e sul collo gli penzolavano diversi rotoli di salsiccia rosolata alla brace. Il gruppo si posizionò dinanzi al tavolo centrale, quindi, con cautela, come eseguendo dei gesti da rituale liturgico, poggiò la panca sul pavimento. Subito da un altoparlante si propagò, solenne, l’inno del partito. Lestamente i commensali scattarono sull’attenti, mentre l’onorevole Brachettoni e l’assessore Bagatto, con aria commossa si portarono la mano all’altezza del cuore. Un sentito applauso salutò la fine dell’inno, nel frattempo i camerieri uscivano degli affilati coltelli e  subito dopo, dietro indicazione del cuoco, il ministro diede  il primo taglio al suino.


“Mah! Speravo che ci fosse il pesce, però mi accontento anche della carne di maiale”, mormorò il giovane leggermente dispiaciuto.


Subito iniziarono a mangiare spolpando e nettando fino all’osso diverse costate.


Dopo il dolce, la frutta e l’amaro, la signora Amalia si avvicinò alla figlia, dispiegando una voluminosa busta dell’UPB.


“Gioia di mamma”, disse la donna, gli avanzi mettili nel contenitore che dopo li portiamo ai cagnolini che teniamo a casa.


Celermente la ragazza mise dentro l’involucro quanta più roba possibile, quindi lo porse alla madre che nel frattempo aveva già riempito altre due buste.


“Avete diversi cani a casa?”, domandai al giovane, sorpreso da tanta solerzia.


“Neanche uno!”, esclamò il ragazzo con un sorriso dileggiante.


“Allora?”, feci perplesso indicando le buste stracolme di avanzi.


“Aoh! Ma da dove cali dalla luna? Ma con questa roba noi ci tiriamo almeno fino a lunedì”.


“Ah, capisco! E voi la prossima settimana non andrete a votare perché queste persone che vi hanno invitato a cena sono mangiatari?”.


“Appunto lo ridico e lo confermo, quelli lì sono tutti mangiatari”.


“Invece voialtri non lo siete?”.


“Chi, voialtri?”.


“Ma, voi. La vostra bella famiglia. Ad esser sinceri, gli ingordi mi sembrate voi altro


che loro”.


“Come sei ingenuo, sembri di un altro pianeta. Noi ingeriamo aria, mentre loro mangiano roba di sostanza”.


“Ma quelle buste sono stracolme di cibo e non d’aria”.


“Amico, al posto di guardare nelle nostre sacche vai a controllare nelle loro dispense e vedrai che belle pietanze ci troverai, altro che quattro ossa di maiale. E non ti porre troppe remore perché è tutta fatica sprecata: quelli lì non ti saranno mai riconoscenti per quello che hai fatto! Adesso ti saluto, e se ti vuoi aggregare con noi  ancora c’è una settimana di tempo!”.


“Per quale motivo dovrei unirmi a voi?”.


“Ma per toglierti qualche sfizio!”.


 “E quale sfizio dovrei togliermi?”.


“Ma quello di scroccare a questi signori qualche altra bella mangiata! Almeno ti resterà tale soddisfazione e dopodiché chi si è visto si è visto!”.


 


Aci S. Filippo, ottobre 2005

3 Commenti a “A MANGIATA”

  1. Andrea dice:

    Ciao Angelo, intanto benvenuto sul sito :)
    Inredibile questo spaccato di vita “elettorale”. A me è piaciuto molto. Con pochi tratti descrivi benissimo personalità complesse (il ministro, l’assessore, gli scrocconi), ma se posso permettermi una piccola critica, la mia impresisone è che il personaggio principale (la voce narrante) sia rimasto un po’ abbozzato, un po’ piatto in confronto agli altri protagonisti del racconto.
    Grazie per avercelo fatto leggere :)

  2. emmaus 2007 dice:

    Niente male come esordio! Scrivi bene, con ironia, concludendo con un buon finale. Se posso permettermi un piccolo appunto, forse il racconto è un tantino lungo, ma nulla di grave. Ciao, alla prossima!

  3. lindas dice:

    Forte! Racconti con lucidità ed ironia, senza “appesantire” ma nemmeno facendo comicità gratuita!

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