RACCONTI CATANESI

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Stadio Cibali

Pubblicato da adb il 2 novembre 2008

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STADIO CIBALI

  Quella mattina Catania si risvegliò colorata di rossazzurro. Sembrava che una mano invisibile durante la notte avesse addobbato con migliaia di drappi tutti i balconi della città, trasformando persino gli austeri frontespizi barocchi di via Etnea in facciate allegre e rubiconde. In ogni angolo, per ogni via, dai rioni periferici del Villaggio S. Agata, alla Pescheria, dai quartieri alti del lungomare fino alle zone popolari del Tondicello della Plaia era tutto uno sventolio di bandiere: anche sulla proboscide del Liotru, pendeva il gagliardetto del Catania Calcio. L’Inter, la grande Inter del mago Herrera, la formazione campione d’Italia, la compagine che aveva vinto tutto quello che c’era da vincere in Europa e nel mondo veniva a giocare a Catania e la città si preparava a vivere il grande evento calcistico con l’orgoglio e la presunzione di sfidare e, perché no, anche di battere i campioni nerazzurri. Nino aveva già compiuto i dodici anni e frequentava con successo la seconda media presso la scuola annessa alla chiesa di San Cristoforo. Era il maggiore di quattro fratelli e a causa delle ristrettezze economiche della famiglia il pomeriggio andava a lavorare nella sala barba del quartiere dove, oltre alle rasature, si cimentava nei primi tagli di capelli. Inoltre, quando poteva, aiutava anche il padre nelle minute riparazioni di calzature. Aveva una gran passione per il calcio ed il poco tempo libero che gli restava fra lo studio e il lavoro lo dedicava alle partite di pallone nel campetto del castello Ursino ed alla raccolta delle figurine Panini, della quale aveva quasi completato l’album. Grazie a tale collezione, conosceva a memoria i volti, i dati anagrafici, le carriere calcistiche di gran parte dei calciatori di serie A e B; oltre a ciò la sua competenza spaziava anche alle squadre, alle classifiche, agli allenatori,  agli arbitri… insomma, Nino, nonostante la sua età era un piccolo esperto di calcio.   Da diversi giorni nella sua classe c’era molta agitazione e si discuteva sempre dello stesso argomento: la partita Catania – Inter e di come assistere a tale avvenimento. Per molti suoi compagni il problema era già risolto: alcuni sarebbero andati allo stadio insieme ai loro papà, oppure con gli zii, mentre altri sarebbero entrati chiedendo ad un adulto il favore di spacciarli come propri figli. Per Nino, invece, la situazione era problematica: il padre, oltre a non capire nulla di calcio, la domenica pomeriggio si faceva delle lunghe dormite; inoltre non aveva fratelli maggiori e i suoi zii avevano ben altro a cui pensare quindi, l’unica scelta che gli restava da fare, era quella d’andare allo stadio con gli amici; però doveva convincere la madre ad accordargli il permesso, cosa che finora lei gli aveva sempre negato. Ovviamente a lui avrebbe fatto piacere recarsi col proprio padre al Cibali: sarebbe stata la prima volta per entrambi. A volte, quando la domenica pomeriggio vedeva alcuni suoi compagni di classe incamminarsi, insieme ai loro papà, verso il campo sportivo, veniva assalito da un’intensa malinconia. Magari, il giorno dopo, quegli stessi ragazzi si sarebbero lamentatati per la presenza dei loro padri sulle tribune; però, in fondo, celavano l’intima soddisfazione d’avere dei genitori vigili e premurosi nel seguirli e nell’accontentarli. Invece, Nino, non godeva di tali privilegi e quelle attenzioni che i suoi compagni ritenevano legittime a lui erano negate. Il padre si disinteressava totalmente dei problemi familiari, mentre la madre non aveva né il tempo e né le capacità per seguire i numerosi figli che la Provvidenza le aveva mandato.Nino, nonostante quel contesto familiare sfavorevole, era molto sensibile nei confronti dei genitori, ai quali portava il rispetto dovuto. La sua vivace intelligenza gli permetteva di andare bene sia a scuola sia nel salone da barba dove era ben voluto da tutti. Per di più, dopo cena, aiutava i fratellini nei compiti di scuola, oppure scendeva nel sottoscala dove il padre aveva adattato un bugigattolo a laboratorio di riparazioni calzature, per ultimare qualche risolatura lasciatagli in sospeso dal genitore.  Era anche molto devoto a S. Agata e quell’anno, dopo aver indossato il Sacco, era entrato per la prima volta dentro il Cordone.  E giorno quattro aveva tirato la Vara fino al Fortino, mentre l’indomani, il cinque febbraio, per la festa grande, era arrivato addirittura al Borgo, dove aveva assistito agli spettacolari fuochi d’artificio. Purtroppo si c’era messo di mezzo il tempo, con un acquazzone improvviso, altrimenti si sarebbe pure fatto la corsa della salita di San Giuliano.Ormai, dopo che aveva tirato il Cordone, Nino si sentiva un uomo e quindi poteva anche andare allo stadio Cibali con i compagni; però reputava che fosse giusto avere il permesso dei genitori. Quella domenica si svegliò presto perché doveva disputare un’importante partita del campionato rionale al castello Ursino. Indossò rapidamente la divisa da portiere, s’infilò i guantoni, si sistemò in testa il berrettino a visiera e, lestamente, insieme ai due cugini e ad un altro amico, si diresse presso l’improntato campetto antistante l’antico maniero. Era una chiara mattina d’inizio primavera e il sole, brillando dall’alto dei torrioni, spandeva nitidi riverberi di luce e tepore sui tetti ancora inumiditi dalla brina notturna e sulle mura ammuffite dei vecchi caseggiati del quartiere. Due ragazzini che frequentavano ancora la quinta elementare perché ripetenti, si trovavano già nel campo di gioco e, con sollecitudine, conficcavano sul ruvido terreno delle bacchette di legno sgrezzato che dovevano fungere da pali per un’immaginaria porta, mentre dei bambini di terza e quarta, schiamazzando e ridendo, s’adoperavano a togliere dal campo dei sassi acuminati, qualche coccio di vetro, delle lattine arrugginite, alcune sterpaglie spinose ed altri frammenti che potessero risultare pericolosi per le loro imberbi gambe  di calciatore.Nino assisteva compiaciuto a quei preparativi: si sentiva in ottima forma ed era sicuro che la sua squadra avrebbe battuto gli agguerriti avversari che, in quel momento, erano da soli in testa alla classifica. Infatti vinsero col clamoroso risultato di 5 a 4  e lui fu l’eroe della giornata: parò, sul quattro a quattro, un rigore a Giovannino Malsapella, il capocannoniere del campionato, poi nel finale, subito dopo il gol del vantaggio siglato dal suo compagno di banco Orazio Banisi, bloccò tutto quello che c’era da bloccare e, grazie alle sue prodezze, la  squadra uscì vittoriosa dal temibile scontro con la capolista. Dopo l’incontro, Nino, tornò a casa, si sdraiò sul divanetto ed iniziò a leggere alcuni fumetti di Blek Macigno e Capitan Mike; quindi, intorno alle tredici, pranzò e subito dopo informò i genitori che sarebbe andato con i compagni di scuola a vedere la partita del Catania. Il padre, offuscato dal vino e già concentrato sull’imminente pennichella, neanche gli prestò ascoltò, mentre la madre, dopo il solito rimbrotto, gli negò il permesso, adducendo che era ancora troppo piccolo. Allora Nino, opponendosi per la prima volta ad una disposizione dei genitori, iniziò a lamentarsi ed ad infierire contro la sorte che l’aveva destinato ad una famiglia così trascurata ed insensibile. La povera donna, colpita da tale reazione, provò nuovamente a dissuaderlo, ma Nino proseguì a lagnarsi e ad insistere con sempre maggiore veemenza, fino a quando dall’attigua stanza da letto, si udirono le urla rabbiose del padre. L’uomo, minacciando di rifilare una sonora dose di ceffoni ad entrambi, intimò, di cessare immediatamente quel fitto chiacchierio che gli impediva di prendere sonno. La madre subito tacque e, di malavoglia, con nevrotici gesti, fece intendere al figlio d’acconsentire alla sua richiesta. Nino, forte del benestare materno, si diresse verso la casa dei suoi due cugini, i quali già l’aspettavano lungo la via, ed insieme si recarono dai fratelli Malsapella che abitavano un po’ più avanti. Suonarono al portone e subito si materializzarono, reggendo in mano due svolazzanti bandiere del Catania, Giovannino ed il fratello minore Alberto; quindi in gruppo si recarono in piazza S. Cristoforo dove li attendevano, bardati con berretti, magliette e sciarpette rossazzurre attorno al collo, il goleador del giorno Orazio Banisi,  il capoclasse Mimmo Grippitera ed il portiere della squadra avversaria Jano Gioffridda. Dopo qualche minuto s’aggregò a loro una vociante pattuglia proveniente dal quartiere Civita, seguita da uno scalcinato nugolo di mocciosi, che gli sciamavano dietro. Gridando Forza Catania ed inneggiando cori di sfottò all’indirizzo dei cugini rosanero, finalmente, quella scalmanata brigata, s’avviò schiamazzando lungo via Plebiscito. Appena la comitiva giunse dinanzi ad una palazzina abitata da tre attempate coppie di palermitani, dal mucchio si staccarono Orazio Banisi e Jano Gioffridda i quali si misero a suonare a dirotto i campanelli dello stabile. Dopo avere commesso la bravata, i due, insieme al resto della compagnia, si nascosero dietro l’angolo di un decrepito edificio e, dandosi di gomito, si misero ad ascoltare le invettive dei proprietari. Dall’interno della palazzina, s’udiva il rauco vociare degli anziani mariti i quali, con parole di fuoco, minacciavano d’uscire da casa per appioppare dei vigorosi calci nel sedere, a quei birbanti che avevano osato disturbare la quiete del loro pomeriggio domenicale.  In realtà, i vetusti, non si sarebbero mai mossi da quelle quattro mura e gridavano solo al fine d’incutere timore agli autori del goliardico gesto. In contrasto al loro strepitare, si sovrapponevano le urla isteriche delle mogli le quali intimavano ai rispettivi consorti di mantenersi calmi e di riprendere, al più presto possibile, il sonnellino interrotto. Al termine della sfuriata, i ragazzi uscirono allo scoperto ed intonando, a suon di pernacchie, delle cadenzate marcette, imboccarono via Carlo Forlanini. Arrivati nei pressi del Club Interista, alcuni  Civitoti iniziarono un fitto lancio di sassi e uova marce in direzione della saracinesca colorata di nerazzurro. Infine, non contenti di ciò, diressero le ultime pietre verso la porta di un isolato appartamento a pianterreno abitato da una stagionata zitella, rancida e secca come un limone avvizzito, mandandole i tutti i vetri in frantumi. Subito dopo, di gran corsa, i ragazzi s’allontanarono dal luogo del misfatto, mentre dall’uscio di casa, lanciati con impeto dall’inviperita nubile, volavano verso di loro una sedia pieghevole in legno, due piatti di maiolica, una scopa ed un secchiello d’alluminio con dentro lo strofinaccio impregnato d’acqua sporca.  Finalmente, strepitando e ridendo, la chiassosa comitiva giunse a piazza Spedini, dove maestoso come il Colosseo s’ergeva il vecchio Cibali. Una variegata umanità inondava il percorso dello stadio. I bagarini, con gli occhi di lince puntavano i possibili clienti, offrendo a prezzo maggiorato dei biglietti di tribuna A e B, mentre ai bordi della strada sostavano diverse motoape di gelatai e qualche  bancarella di calia e semenza. Dappertutto giravano, vantando ad alta voce la loro mercanzia, venditori ambulanti di bibite fresche, di lupini, di cocco, di limoni, di giornali sportivi, di magliette da calciatore, di bandiere con i colori del Catania e di cianfrusaglie varie. Dapprima i ragazzi decisero d’andare in tribuna A, ma poi ci ripensarono perché accedere in tale settore era davvero proibitivo: all’ingresso gli addetti alla sorveglianza erano molto rigorosi e qualche entrata di favore la riservavano solo a personaggi di una certa importanza. Il gruppo, riproponendosi di tentare tale accesso nell’intervallo fra il primo ed il secondo tempo, svoltò per la tortuosa stradina che rasentava gli spogliatoi, chiamata comunemente via Delle Pisciate a causa del pungente odore d’urina stagnante che proveniva dai muri. Poi attraversò un rustico viottolo dove stavano disseminati numerosi escrementi di cane essiccati, quindi costeggiò un campo di lattughe ed infine sbucò nell’ampio piazzale della tribuna C. All’istante si presentò alla vista dei ragazzi una scena da girone dantesco. Una moltitudine di persone che s’agitava, che strepitava, che arrancava in modo frenetico e confuso lungo lo spiazzo, mentre, un po’ più avanti, in una caotica fila all’interno di una transenna di tubi metallici, individui d’ogni età, smaniando e imprecando, avanzavano lentamente verso le porticine d’ingresso. I ragazzi si divisero: ognuno si sarebbe arrangiato ad entrare come meglio poteva e subito dopo si sarebbero ritrovati all’inizio della scalinata centrale. Rimasto solo Nino si guardò attorno per cercare d’individuare qualcuno della fila che potesse spacciarlo come proprio figlio, ma gli spettatori erano quasi tutti accompagnati da ragazzini dall’espressione scaltra che avevano già trovato il loro traghettatore. Nel frattempo, poco distante, alcuni uomini aggrappati ad una nodosa fune, fissata in cima al parapetto, avevano incominciato una spericolata risalita degna dei più famosi scalatori alpini. In un altro punto, invece, stava operando il celebre Pippo il lungo, il quale forte della sua altezza di quasi due metri, per cento lire, issava sulle sue imponenti spalle degli agili giovanotti, che poi, grazie ai numerosi buchi praticati sull’ultimo tratto di parete, riuscivano con facilità a scavalcare ed ad intrufolarsi dentro lo stadio. Dopo diversi minuti d’ansiosa attesa, Nino adocchiò un signore sui quarant’anni, d’aspetto gioviale, che subito gli ispirò fiducia. L’uomo, con una sigaretta a doppio filtro che gli pendeva dalla bocca e la radiolina accesa, tenuta in mano all’altezza dell’orecchio, mollemente, andava ad allinearsi dietro agli altri spettatori. Infondendosi coraggio, Nino, chiese al distinto signore se potesse aiutarlo ad entrare. Il quarantenne lo guardò sornione quindi, con un cenno d’ammiccamento, gli indicò d’accostarsi e di mettersi dinanzi a lui. Con lentezza arrivarono davanti all’addetto al controllo il quale era notevolmente adirato perché poco prima dei ragazzotti, eseguendo il classico trucco dell’ultimo uomo, erano riusciti ad intrufolarsi in tre con un solo biglietto. La maschera, un omone dai folti capelli rossi ed il viso butterato, alla vista di Nino tentò con un brusco gesto della mano di allontanarlo, ma il quarantenne, sicuro di sé, dichiarò che il ragazzino era suo figlio. All’omone non rimase altra alternativa che tacere e, assaporando ancora una volta l’amaro gusto della beffa, con stizza staccò il biglietto d’ingresso, e di colpo Nino fu dentro lo stadio.  Era fatta!  Si trovava all’interno del Cibali! Non credeva ai suoi occhi. Finalmente avrebbe visto una partita del Catania e per giunta contro la grande Inter. Ringraziò di cuore il gentile signore che gli aveva permesso di entrare gratis allo stadio e di gran corsa si diresse verso la scalinata dove già gli amici lo aspettavano frementi. Ad andatura rapida salì i gradini e subito dopo, come per incanto, si parò dinanzi ai suoi occhi uno spettacolo inimmaginabile, qualcosa di meraviglioso, d’estatico stava di fronte a lui: il verde, l’immenso verde del campo, sì proprio il manto d’erba calpestato dai suoi beniamini, il terreno di gioco simbolo di tante gare viste in televisione, a spezzoni ed in bianco e nero, stava lì, sotto di lui, a qualche decina di metri dal suo sguardo. Uno strattone di Giovannino Malsapella lo distrasse dai suoi pensieri, ricordandogli che dovevano trovare urgentemente posto, altrimenti avrebbero visto la partita in piedi. Scesero diversi scalini e, urtando e sgomitando, riuscirono a piazzarsi nella prima balaustra, proprio quella prospiciente il campo.  “Com’era esaltante stare a pochi passi dal terreno di gioco”, pensò Nino, mentre alcuni operai con una strana carriola rimarcavano di gesso le linee dell’area di rigore. Guardò un po’ in giro: per prima cosa distinse in alto il cartellone pubblicitario della Fernet Branca con l’aquila che stringeva sugli artigli la bottiglia dell’amaro, poi, in fondo, dietro alle gradinate, scorse degli alti fusti di palma, col loro irto fogliame e più in là l’immensa mole del palazzetto dello Sport. In direzione della tribuna A l’altoparlante gracchiava le musichette del brandy Cavallino Rosso, dell’aperitivo Punt e Mes  e della Supermiscela Torrisi. I gradoni e la tribuna C con le impalcature di legno zeppe per ogni ordine di posto ribollivano di gente. Anche le tribune A e B erano stipate all’inverosimile, e dappertutto era uno sfolgorante sventolio di bandiere rossazzurre, contrastate solo da pochi striscioni nerazzurri collocati in un angolo fra la  C e la B. Ad un tratto l’altoparlante smise di lanciare messaggi pubblicitari ed iniziò a leggere la formazione dell’Inter e subito dopo, seguito da un subisso d’applausi, annunziò la formazione del Catania. Al termine della lettura delle squadre, un assordante scoppiettio di moschetteria, degno della famosa sera del Tre, seguito da una fitta coltre di fumogeni, accompagnò l’ingresso dei calciatori sul terreno di gioco, mentre dalle tribune, alcuni spettatori, per scacciare la iella e propiziarsi la sorte, iniziarono a lanciare dei pacchi di sale grosso in direzione delle due porte.  Nino era felice, eccitato, estasiato, si stropicciava gli occhi pensando che stesse sognando. Davanti a lui si trovavano i suoi eroi in carne ed ossa con le magliette nerazzurre e rossazzurre; e poi l’arbitro, i guardialinee con le lucide casacche nere, i massaggiatori, lo staff medico e i due allenatori che prendevano posto nelle rispettive panchine. Adesso vedeva i colori sgargianti della realtà e non l’opaco bianco e nero della televisione. Li riconobbe subito. Erano i volti che lui conosceva dalla raccolte delle figurine Panini. Lì c’era il brasiliano Jair, più avanti lo spagnolo Suarez, in porta il suo idolo Sarti e poi il fuoriclasse Mazzola, il mancino Corso, il gigante buono Facchetti, il capitano Armando Picchi e via dicendo. Dall’altra parte del campo si disponeva il suo Catania. Il portiere Vavassori che dopo aver salutato il pubblico dei gradoni andava a toccare i pali in segno scaramantico, il lungo Michelotti, il terzino Rambadelli, il massiccio stopper Biccherai, il nero regista Cinesinho, il funambolico Danova, il fantasista Biagini, il goleador Facchin. Il secco fischio d’inizio dell’arbitro parve a Nino uno squillante suono di tromba e subito si concentrò sulla gara. Dopo una fase altalenante, intorno al ventesimo minuto, sullo sviluppo di un calcio d’angolo battuto da un ispirato Mazzola, il terzino Facchetti, svettando più in alto di tutti, con un rapido colpo di testa gelò lo stadio. Nino nel suo animo non sapeva se gioire o piangere di disperazione. Era affezionato ad entrambe le squadre: l’Inter era la formazione che più ammirava, ma il Catania rappresentava la sua città tanto amata. Alla fine pregò perché il Catania almeno pareggiasse e la sua supplica venne quasi subito esaudita, perché dieci minuti dopo, al termine di una mirabolante volata sulla fascia destra, l’ala Danova lanciò un invitante pallone al centro verso il centravanti Facchin che al volo, in mezza rovesciata, lo insaccò alle spalle di Sarti. Lo stadio saltò in aria dalla gioia ed un unico grido proruppe dal petto di ventimila spettatori: goooool, mentre le arrugginite giunture metalliche dei gradoni e della C sembravano sobbalzare all’ondata d’entusiasmo dei tifosi catanesi. Nino gridava, piangeva, s’abbracciava con i suoi compagni, non stava più nella pelle: dire che era felice era poca cosa. Si ripresero le ostilità, ma ormai le squadre davano l’impressione di rallentare il gioco nell’attesa della fine del primo tempo che giunse di lì a poco.   Nino, soddisfatto di tal risultato,  si frugò nelle tasche dei pantaloni e, trovando una monetina da cinquanta lire ricevuta come mancia da un cliente, decise di comprarsi qualcosa da mangiucchiare. Lestamente discese gli scalini ed acquistò dal venditore ambulante d’agrumi due polpose fette di cedro spalmate di bicarbonato. Aveva appena terminato di gustare le agre fettine, quando notò  un furtivo movimento di persone che si spostavano dalla C in direzione della Tribuna A.  “Stanno aprendo le porte… Stanno aprendo le  porte…”,  si sentiva vociare da varie parti del Cibali. In un baleno una marea umana si riversò lungo il corridoio circolare sottostante le tribune, dilagando in direzione dell’imponente cancellata che divideva il settore C dalla A. Dall’alto della balaustra Nino vide, confusamente, alcuni ragazzacci  armeggiare con degli arnesi a forma di piede di porco intorno a tale ingresso. Dopo diversi tentativi andati a vuoto, infine, un nerboruto giovanotto somigliante all’attore americano che interpretava i ruoli d’Ercole e di Maciste nei film mitologici, con un assestato colpo di spranga, riuscì a far saltare in aria la massiccia catena che bloccava il cancello, aprendo così il sospirato varco per il settore nobile del Cibali, la mitica tribuna A.  All’istante decine di persone, come in preda ad un delirio, oltrepassarono la soglia; mentre tanti altri, andavano ad ammassarsi dietro di loro.  Una spallata di Giovannino Malsapella lo proiettò giù per le scale ed, in un attimo, si ritrovò con gli amici in mezzo alla calca. Come sospinti da un fiume in piena i ragazzi superarono la cancellata, straripando in avanti in direzione di un portone già scardinato.  Erano quasi giunti dinanzi a tal entrata, quando si parò di fronte a loro un drappello di carabinieri, ben armato di manganelli e moschetti. Ne seguì un violento parapiglia ed alla fine le forze dell’ordine riuscirono a bloccare il flusso di scalmanati ed a sprangare l’ingresso. Alla folla non restò altra scelta che quella di tornare indietro, sperando di riguadagnare perlomeno la precedente postazione. Mentre i ragazzi s’affannavano a rientrare, un Civitoto dagli ispidi capelli rossi e il viso pieno di lentiggini, s’avvide di un ristretto cunicolo a serpentina che si dipanava in direzione del terreno di gioco. Subito si fermò e, ponendosi due dita in bocca, lanciò un sonoro fischio per richiamare l’attenzione del gruppo.  “Per di qua”, affermò con sicurezza il lentigginoso. “Seguitemi e vi prometto che vedremo la partita dai bordi del campo”. Lestamente la comitiva s’inoltrò nell’angusto passaggio, fin a quando non giunse dinanzi ad una porticina di legno, sbarrata da un minuscolo lucchetto. Intanto il secondo tempo era iniziato e, sopra di loro, si sentivano le tribune rimbombare, gemere, strepitare ad ogni azione di gioco. Senza perdersi d’animo, alcuni Civitoti iniziarono a tempestare di calcioni l’uscio, mentre altri si misero a rovistare a terra alla ricerca di un qualcosa che potesse aiutarli a superare l’ostacolo. Dopo qualche minuto, il lentigginoso, raccolse un lungo rampino incrostato di terriccio e, con prontezza, lo incuneò fra gli occhielli e il catenaccio, riuscendo in breve tempo a forzare l’ingresso.  Rapidamente la strepitante comitiva varcò la soglia che immetteva dentro un cortile recintato ed ostruito dai cartelloni pubblicitari.  “E dove siamo?”, mormorano stupiti i ragazzi. “Questo è un vicolo cieco! Non sbuca in alcun posto.  Da qui si sbircia solo il compensato dei tabelloni”.“Che cosa facciamo?”, disse, con inquietudine, Orazio Banisi, rivolgendosi a Giovannino Malsapella.“Non abbiamo altra scelta”, gli rispose l’amico. “Dobbiamo ritornare di corsa in tribuna C, perché, altrimenti, se continuiamo ancora a girare dentro lo stadio rischiamo di non vedere la partita”.  Con affanno la comitiva tornò sui propri passi, ma appena giunse nei pressi dell’ ingresso, ebbe una tremenda sorpresa: una nuova catena, lucida e fiammante, chiudeva il pesante cancello di ferro, rendendolo inespugnabile a chiunque. “Che scalogna!”, imprecò il Civitoto dal viso lentigginoso.  “Quei leccapiedi degli inservienti hanno sprangato l’entrata. E adesso dove andiamo?”. Il momento era drammatico, anche perché dalle urla d’incitamento degli spettatori, sembrava che il Catania stesse attaccando e loro, invece di sostenere la  squadra, si trovano in una specie di terra di nessuno dove non potevano né entrare e né uscire se non al termine della partita, quando le maschere avrebbero riaperto le porte per far defluire il pubblico.  “Torniamo indietro, buchiamo la rete di recinzione, buttiamo giù i tabelloni pubblicitari e ci guardiamo la partita da dentro il campo”, urlò con veemenza Orazio Banisi.  “Ma sbrighiamoci perché il Catania ha bisogno del nostro incoraggiamento per battere l’Inter”. Correndo come forsennati, i ragazzi riattraversarono il tortuoso cunicolo e giunsero, in batter d’occhio, all’interno del cortile. Subito tentarono d’allargare i buchi del reticolato, usando dei chiodi trovati sul terreno, però era un’impresa ardua che richiedeva molto tempo e quasi si scorticavano le mani dalla fretta. Nel frattempo, il Civitoto dal viso lentigginoso notò dietro una siepe la sagoma di un fatiscente casotto in muratura di forma allungata e dal tetto spiovente, adibito a ripostiglio del materiale di pulizia.  “Chissà se da lassù si vede la partita?”, disse ad alta voce. Senza tanto ragionarci, il giovane iniziò ad arrampicarsi lungo il muro screpolato, seguito a ruota da Orazio Banisi e da altri due sbarbatelli. In pochi balzi, furono in cima alla tettoia e, non curandosi dei compagni che da basso li osservavano,  si sedettero sulle ruvide tegole  e si concentrarono sulla partita. “Bel modo di comportarsi!”, esclamò Giovannino, all’indirizzo d’Orazio. “Potresti almeno dirmi cosa si vede da lassù”. “Nulla, non s’adocchia un bel niente!”, rispose sornione Orazio, sempre con lo sguardo assorto in direzione del campo di gioco. “Ti consiglio di farti una giocata a carte, perchè da quassù non si sbircia un tubo.  Ah, mannaggia alla sorte! Biagini, come ti sei potuto mangiare un gol già fatto!”, sbottò di colpo , tradendosi. “Che razza di fasullo… ”, inveirono gli amici.  “Saliamo, il volpone, non vuole nessuno accanto. Gli piace godersi lo spettacolo comodamente seduto e noi non lo permetteremo”.  In un batter d’occhio una decina di ragazzi, guidati da Giovannino Malsapella, iniziarono la scalata verso il tetto.  Nino rimase per qualche attimo indeciso sul da farsi, ma vedendo la facilità con la quale molti di loro arrivavano in cima, ruppe gli indugi e cominciò ad arrampicarsi. Lestamente giunse alla meta e subito cercò di collocarsi ai bordi della tettoia, ma gli spazi erano tutti occupati, allora si sistemò al centro. In effetti, nel cambio ci avevano guadagnato: non erano più dietro la porta ma in una posizione centrale, quasi addossati alla A e, inoltre, abbastanza in alto da spaziare con lo sguardo su tutto il terreno di gioco: insomma una postazione privilegiata.  Nel frattempo dei mocciosi, che li avevano seguiti attraverso il cunicolo, s’apprestavano a scalare le pareti del casotto per godersi la partita da lassù. In pochi minuti la situazione sulla tettoia iniziò a diventare sempre più caotica e pericolosa. E non bastavano le imprecazioni di Giovannino e d’Orazio che invitavano quegli sbarbatelli a non salire, loro non gli prestavano ascoltò e, come tante formiche, s’inerpicavano da ogni punto dell’edificio. Infine dopo che rimasero pigiati come mosche, in cima non arrivò più nessuno.  “Mi raccomando” strepitò Giovannino, “Anche se dovesse segnare il Catania, voi non esultate, non vi alzate in piedi e peggio ancora non ballate sulle tegole, perché sono fradice e qui crolla tutto e noi precipitiamo giù”. Ma il gruppo non sembrava prestargli ascoltò ed ad ogni azione d’attacco del Catania corrispondeva un cupo scricchiolio.   In breve tempo la situazione degenerò. Un calcio di rigore negato alla formazione rossazzurra produsse un notevole fermento ed un soldo di cacio, di neanche nove anni, seduto ai bordi del tetto,  lasciandosi prendere dalla situazione, balzò in piedi e, inciampando su stesso, scivolò verso il vuoto. Fu grazie alla prontezza di riflessi di Giovannino, che riuscì ad afferrarlo per un braccio, se ancora oggi, quel ragazzino, può raccontare la sua drammatica avventura. All’istante, i ragazzi, alquanto spaventati, si calmarono, anche perché la partita stava prendendo una brutta piega per il Catania che subiva i reiterati attacchi dei campioni nerazzurri decisi a chiudere l’incontro con un secco risultato a loro favore. Prima un palo e subito dopo una traversa, graziarono la porta di Vavassori. Quando ormai la gara sembrava chiudersi in parità, in una brillante azione di contropiede, Cinesinho, servì una palla benedetta in direzione di Giancarlo Facchin il quale, dopo averla stoppata di petto, con una piroetta si liberò dell’asfissiante marcatura a uomo di Tarcisio Burnich e col sinistro scagliò un bolide che quasi bucò la rete di Sarti.  Il Cibali esplose come una polveriera e il tetto crollò di colpo, trascinando giù i ragazzi.Le autoambulanze ed i mezzi di soccorso dei vigili del fuoco giunsero in ritardo perchè ebbero difficoltà ad accedere nel ristretto cortile, però fecero in tempo a trarre in salvo quasi tutti gli incauti spettatori. Per qualcuno di loro la sorte fu benevola, come nel caso d’Orazio Banisi il quale, entrato in coma, riprese conoscenza quindici giorni dopo e, non ricordandosi più nulla del crollo, chiese per prima cosa, agli stupefatti genitori che lo assistevano, il risultato finale della partita. Altri, invece, riportarono delle ferite più serie: fra questi il capocannoniere del campionato,  Giovannino Malsapella il quale non avrebbe più segnato gol in vita sua perchè gli dovettero amputare la gamba destra ed il Civitoto dal viso lentigginoso che trascorse il resto della sua esistenza su di una sedia a rotelle per una lesione alla colonna vertebrale.  Pero, in fondo, a loro andò bene e, col tempo, ripresero a frequentare lo Stadio, mentre solo per uno non ci fu nulla da fare.Nino  non s’accorse di morire: passò rapidamente dall’esultanza del gol allo stupore della morte. Lo trovarono sommerso fra i calcinacci, insieme a tanti altri ragazzi pesti e sanguinanti: per sua sfortuna era caduto sopra un rastrello lasciato a denti in  su da un distratto inserviente, rimanendo infilzato sulle lame arrugginite. Adesso lui non vede più le partite del suo adorato Catania dalle tribune del Cibali, ma da un angolo di Paradiso, magari insieme a tanti altri giovani tragicamente deceduti per aver troppo amato la loro squadra del cuore, con i quali continuerà a vivere le emozioni del calcio per l’eternità. 

Copyright ©2008 Angelo Di Bernardo” .
 

5 Commenti a “Stadio Cibali”

  1. mattiekian dice:

    Bello anche se triste.
    Da buona nerazzurra già dalle prime righe sapevo come sarebbe finita quella partita, con quel “clamoroso al Cibali” che è entrato nella storia.
    Non sapevo invece della tragedia…ma è vera o hai voluto colorare tu il tuo racconto?
    Comunque bello
    5 stelline

  2. andrea dice:

    % anche da parte mia. Bello il modo in cui rendi l’atmosfera, lo stadio brulicante, l’entusiasmo dei bambini. Finale a rospresa da fare invidia a Mattie ;)
    Ma dimmi un po’ di quella fetta di cedro col bicarbonato. e’ una cosa tipica delle vostre parti? il bicarbonato perche’? e’ buona?

  3. smath dice:

    un mio concittadino!!!
    sono molto curiosa d leggere questo racconto sulla nostra squadra del cuore,
    vado di fretta, appena rientro leggo e commento! ;)
    il carattere della scrittura è molto piccolo però..credi di poterlo ingrandire di un po’?graziee
    a presto
    ciaoo

  4. Blue illume tandblekning dice:

    Nice blog! Is your theme custom made or did you download it from somewhere?
    A design like yours with a few simple tweks would really make my blog jump out.
    Please let mme know where you got your design. Thhank
    you

  5. Album Music Review dice:

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    and the automatic features of even the most basic cameras make taking photographs in all conditions simple.
    Years of working on Led Zeppelin archival material has got guitar maestro
    Jimmy Page ready to hit the road, or the studio, or both.

    All of these free beasts are including free hip hop beats,instrumental music and free rap
    beats and more.

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