Pipino e la morte

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PIPINO E LA MORTE

di Bernardo d’Aleppo

La
voce al citofono mi sembrò nota, ma niente di più. Ad ogni modo qualunque
novità sarebbe stata la benvenuta pur di interrompere la discussione che dalla
sera prima si stava protraendo oltre ogni umano limite di sopportazione. Ma chi
poteva essere alle tre e mezzo del mattino? Di lì a poco gli uccelli, dai
platani di fronte alle finestre, avrebbero cominciato lo stordimento mattutino
e tra un paio d’ore avrei dovuto chiamare il taxi per andare in aeroporto. Il
campanello suonò che ero fermo in corridoio con la testa appoggiata al muro,
pensando di dormire. Paola continuava a chiedere chi fosse con la sua voce
allarmata e petulante, quante volte in nove anni le avevo detto che detestavo
urlare da una stanza all’altra…

            Socchiusi
la porta dopo avere visto che era una donna sola, lei aveva detto un nome al
citofono Mara o Lara, forse Laura; solo quando lei entrò e con la mano,
passando, mi dondolò il batacchietto dicendo – Già in giro a far propaganda al
pipino?- mi resi conto di essere nudo. E la riconobbi. Il mio primo, vero ed
unico exploit sessuale, dolce e allegro, senza complicazioni e senza paure.
Ebbi un impeto di affetto per quella personcina pazza che, nonostante qualche
filo bianco tra i neri capelli, meglio rappresentava, per me, la giovinezza: i
vent’anni spensierati di cui aveva solo sentito parlare, si erano concentrati
per me in quelle diciotto ore trascorse sul letto di Laura, con Laura. Mi volsi
e la vidi già seduta a suo agio sul tappeto, appoggiata al divano. Rimasi un
momento immobile e muto a guardarla, mentre immagini che credevo perse
riaffioravano affastellate: i capezzoli bruni dalle areole ampie su quei seni
un po’ lunghi e gommosi di ventenne ed i peli lunghi e neri sulle falangi dei
piedi che lei esibiva con orgoglio. Ma Paola doveva essere entrata dalla porta
della camera alle mie spalle, non la vedevo, ma poteva sentire le ondate del
suo rimprovero muto frangersi sulla mia schiena, era instancabile in questo
come il mare. Mi volsi, era vestita dell’accappatoio rosa che usava per
vestaglia, sul viso la solita espressione che avrebbe ben figurato sul suo
santino quando la avessero beatificata.

-Buongiorno. Caro perché non ci presenti
e poi non vai a vestirti che io intanto offro un caffè alla signorina?

            Farfugliai
i rispettivi nomi e tornai in camera a vestirmi; qualcosa mi ronzava nella
testa ma non si decideva a manifestarsi, un ricordo premeva alle soglie della
coscienza ma la porta non si apriva. Tanto valeva vestirsi del tutto, tra poco
avrei dovuto partire. Aprii l’armadietto di fianco allo specchio del bagno e
vidi il bicarbonato nella sua ciotolina cinese, la polvere bianca diede al
ricordo la spinta necessaria a sfondare la porta della coscienza e ricordai
tutto.

            I
titoli a grossi caratteri sulla pagina cittadina e, sotto, la fotografia di
Laura; non l’avrei nemmeno riconosciuta se non mi fosse caduto l’occhio sulla
didascalia con il nome. Vari chili di coca, poco meno di ero, spaccio
all’ingrosso. Ed io pochi mesi prima, senza sospetti, in quella casa. E adesso?
Quanti anni erano passati? Dodici, quindici? Chissà cosa voleva. Non ci eravamo
frequentati che per un paio di settimane dopo la scintilla scoccata a quel
concerto, troppo distanti i nostri mondi e troppo faticoso seguire i suoi voli
mentali; un disagio, come una zanzara al capezzale, mi aveva disturbato le
ultime volte che ci eravamo visti, bastò poco per perderla di vista.     Quando tornai in soggiorno le due donne
stavano bevendo il caffè e Paola aveva assunto un’aria protettiva nei confronti
dell’ospite. L’ombra di una preoccupazione sembrò passare concreta ed
inquietante, ma impalpabile, come l’ombra di un uccello in volo.

            -Caro,
Laura mi diceva che è appena uscita… e avrebbe bisogno di un posto per
qualche giorno finché non trova una sistemazione, potresti lasciarle la tua
casa e trasferirti da me per una settimana…- Laura intervenne con foga
interrompendola.

            -No
non hai capito cara, io volevo anche lui, giusto per qualche giorno, per
rimettermi un po’ in carreggiata, dopo tredici anni di astinenza ho bisogno di
qualcuno che conosco e che abbia pazienza sorella, capiscimi.-

            Era
senz’altro un sogno, un sogno assurdo, quando mai due donne avevano discusso
per me! E Laura che si atteggiava a femminista! Dev’essere stata la rucola, me
l’avevano detto che la rucola fa sognare, ce ne sarà stato un paio d’etti su
quella pizza. Mi sdraiai di traverso sul piccolo divano dietro Laura e mi
addormentai sorridendo, era molto che un sogno non mi gratificava così; dopo
tredici anni di galera la Laura per prima cosa veniva a chiedermi un giro in
giostra…

            Che
non fosse un sogno me lo dimostrarono, quando mi svegliai, le corde che mi
tenevano le mani legate al termosifone, mentre le caviglie erano legate ai
piedi del divano. Chiamai Paola e Laura perché mi liberassero, le mani si erano
informicolite e dolevano, ma nessuno mi rispose; l’orologio del
videoregistratore diceva che la riunione a Monaco era già cominciata e non
avevo neppure avvisato Annalisa, che così avrebbe dovuto sostenere la validità
della pianificazione dell’intera campagna pubblicitaria da sola, quando in
realtà lei si era occupata solo della stampa. In quel momento si aprì la porta
di casa e Laura entrò allegra e sorridente con due sacchetti di spesa. Stavo
per inveire ma, sollevandomi per vedere chi entrasse, avevo potuto scorgere i
piedi e le gambe di Paola sul pavimento della camera da letto, immobili, la
sorpresa mi ammutolì per il tempo sufficiente a che la paura mi intimasse
prudenza. Guardai sorridendo la mia carceriera come se la mia prigionia fosse
un gioco erotico e le dissi che avevo fame. Lei mi sorrise ma il suo sguardo
metteva a fuoco qualcosa alle mie spalle, mi carezzò la testa, come sopra
pensiero.

            -Un
momento caro, posso chiamarti caro vero? Faccio una doccia veloce e arrivo.

            Restai
in attesa del rumore dell’acqua prima di muovermi, poi cominciai a contorcermi
facendo sobbalzare il corpo sul divano mentre piegavo le gambe, finalmente
riuscii ad avvicinarmi al termosifone allentando così le corde e poi, pian
piano, arrivai a liberarmi. I polsi mi dolevano forte, corsi a vedere Paola e
la vidi.            Avrei voluto non
averlo fatto. La sua testa era sotto il suo braccio sinistro, il naso
appoggiato al costato era coperto dal seno, che un poco scendeva di lato,
l’unico occhio che si vedeva era dilatato, ma non in una smorfia di orrore,
semmai di meraviglia. Sotto al collo mozzato, il plaid intriso di sangue,
ruvido e lucente, faceva pensare alla corrida, in quel momento l’odore dolce
del sangue si fece strada fino al cervello e svenni.

            Mi
svegliai di nuovo legato, questa volta sul letto, a braccia e gambe divaricate.
Da quel che potevo vedere il corpo di Paola era stato spostato e nel bagno
Laura, intonata, cantava una canzone di Venditti. Il carcere, dodici o tredici
anni non sono uno scherzo, doveva averla fatta impazzire. Cosa mi aspettava?
L’agosto aveva svuotato la città, ed il palazzo di avvocati e dentisti era
deserto, nessuno avrebbe sentito le mie invocazioni d’aiuto.

            Il
suono del telefono echeggiò varie volte prima che la segreteria rispondesse e
finalmente la voce di Annalisa cominciò ad urlare: -So che sei in casa
bastardo, ho dovuto condirmeli tutti da sola, è l’ultima volta che ti copro.
C’era il grande capo in persona… Se non mi rispondi subito chiamo la
polizia… Guarda chiamo i pompieri e ti faccio sfondare la porta… Dopodomani
dobbiamo consegnare il progetto di massima per la campagna di primavera…
Bastardo rispondi…- In quel momento arrivò Laura con in mano il coltello del
pane, mi si sedette vicino intimandomi di rassicurare l’amica, -Io non ho
niente da perdere.- soggiunse e mi appoggiò la lama sul collo, poi mi accostò
la cornetta alla testa e si avvicinò a sentire anche lei.

            -Ciao
carissima, scusami se puoi, ma non stavo bene, una terribile acronimia
, da spaccarmi la testa, anche ieri uscendo tutto
oscillavo…

            -Ma
che cosa dici: stai male sul serio o è una delle tue? Vuoi che avvisi qualcuno,
hai bisogno di qualcosa?

            -Ma
no stai tranquilla non è il caso che ti disturbi a venire ad aiutarmi a fare i
mestieri; appena mi passa questo acrostico
io urgentemente torno al mio impiego- il coltello
premeva più forte la gola -è solo un’acronimia ciao.

            -Devo
andare in bagno- le dissi, nel più indifferente dei modi, appena ebbe
riagganciato la cornetta.

            Lei
si alzò, determinata, andò in bagno e ne tornò poco dopo con un catino che mi
sistemò tra le gambe all’altezza dei piedi. Poi dalla borsa estrasse un
taglierino da ufficio e cominciò a tagliarmi i pantaloni di tela facendo una
specie di finestra intorno al pube, la femorale era così vicina… fece lo
stesso agli slip ed estrasse il mio coso, che veramente in quella situazione
era più che giusto chiamare pipino, come faceva lei, parlandoci insieme come
fanno tanti padroni di cani con i loro protetti.

            Cominciò
cosi il suo tiro a segno cercando di mirare il catino, ma dopo un attimo le
sembrò troppo facile e schiacciandolo tra le dita interruppe il mio sfogo,
prese allora di mira le mie calze, sullo schienale della sedia ai piedi del
letto, in pochi tentativi ebbe ragione del bersaglio che, zuppo, scivolò a
terra. Il successo la entusiasmò ma io avevo finito le munizioni; mi si sedette
allora sulla pancia, cercando di spremerne fuori uno zampillo  mentre con le mani indirizzava il pipino. Così
facendo però, nonostante io non collaborassi per niente, finì che il pipino,
inorgoglito forse dal successo balistico, cercò di manifestare la sua
indipendenza erigendosi in tutta la sua statura, sembrava deciso a scoppiare.
Ciò non passò inosservato e Laura iniziò ad usare diversamente il cannone. Non
mi restava che cercare di tenerla impegnata, nella speranza che Annalisa,
appassionata enigmista, fosse riuscita a decifrare l’acronimo che le avevo
detto e chiamasse la polizia. La cosa non era impossibile, è sempre difficile
avere orgasmi in quella posizione, inoltre la lunga astinenza di lei,
moltiplicando il suo desiderio, costituiva per me un afrodisiaco inconsueto. Le
venne finalmente fame per fortuna, così facemmo una pausa, poi lei ebbe l’idea
di spalmarmelo di gelato e lui fu giustificato a prendersi una vacanza; era
ridicolo vederla così desolata che lo chiamava con mille moine, temendo che si
stufasse mi impegnai anch’io con la fantasia, ma ci mettemmo comunque un poco a
risuscitarlo. Alla fine fu commovente vedere l’orgoglio con cui salì in sella,
trionfante era il termine giusto per definirla ora, mentre con calma  prendeva il suo piacere, senza più la foga
che prima l’aveva consumata. Un’ombra passò davanti alla finestra, io la vidi,
non così Laura che le dava le spalle; il suono del vetro infranto, lo sparo e
la contrazione che mi strinse il membro furono un tutt’uno, dopo un’eternità
cominciò a sgorgarle il sangue dal petto e l’uomo in nero entrò attraverso il
vetro mentre qualcuno abbatteva la porta, il sangue di Laura continuò ad
inondarmi per mesi, me lo sentivo addosso come il suo desiderio, vivo e ribelle
ad ogni costrizione, giocoso e amorale.

            Nessuno
rivendicò il cadavere di Laura, né quello di Paola, mentre io ero ricoverato
sotto shock, così ora riposano una a fianco all’altra nel cimitero di Lambrate.
 

 fine           



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2 Commenti a Pipino e la morte

  1. Andrea dice:

    Simpatica l’idea di passare messaggi di aiuto in codice per telefono :)

  2. Chris84 dice:

    Ho apprezzato i risvolti erotici del racconto…spinto ma con classe!

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