Sulla via delle pietre 3
Pubblicato da caterina il 2 ottobre 2008
Abbiamo praticamente appena messo piede in Terrasanta e a me sembra di essere qui da un mese e mezzo.
Dicono che questa sensazione capiti quando le giornate sono molto fitte.
In effetti…
Prendiamo oggi, per esempio.
Appena ultimato l’eccellente pranzo in una depandance del convento, che mi pare negli arredi uno di quegli alberghi “fin du siecle” in qualche territorio coloniale, India, Africa, non so.
Non che ci sia mai stata ma potrei figurarmeli, dignitosi nella loro fiera decadenza.
Esisteranno ancora edifici il cui direttore abbia voluto mantenere le atmosfere di allora?
Per me sono i migliori.
Ma dipende molto dallo stato d’animo in cui siamo.
Di quando in quando si è malinconici e allora si propende per il retrò mentre la vitalità di un momento euforico predilige il tecnologico; porte che si aprono con un tocco della mano, luci soffuse ovunque, arredamenti high tech.
Questo viaggio era proprio nelle mie corde fin dall’inizio, devo ammettere.
Sono partita ben disposta, senza molte nozioni su cosa avrei trovato ma immaginando in linea di massima che mi sarei dovuta adattare.
Sarà per questo che mi appare tutto a posto, tutto bello anche se così non è. C’è molto di vecchio e di lasciato andare ma comunque noto e apprezzo l’intento degli operatori di qui per far sì che tutto sia di buon livello.
Insomma, saremo pure pellegrini ma siamo trattati con la cortesia degli esperti in Hotellerie internazionale e questo mi piace.
Io sono una di quelli che in internet cercano i posti e gli hotel e guardano le foto. Tanto per definire la mia passione per gli spazi e i particolari. Certe volte basta poco per accogliere e farsi ricordare per molto tempo.
Per tutti questi motivi, concordo sulla scelta dell’alloggio da parte di Don Tonino.
“Cari ragazzi, avrei potuto scegliere gli alberghi di sostanza, ce ne sono motli anche qui, sapete? E vedrete a Gerusalemme che maestosi, pronti ad accogliere orde di fedeli. Ma io ho pensato che la nostra dimensione potesse essere questa. Spero vi piaccia.”
Sì, accetto il basso profilo con il quale ci stiamo muovendo, mi aiuta ad immergermi sempre più in questa avventura. E’ come se avessi la macchina del tempo e mi fossi lasciata catapultare indietro di duemila anni.
Percorrerò le strade di Gesù, sulla via delle pietre.
Ma resto anche ben ancorata alla realtà’ .
Almeno tento. Voglio fondere gli insegnamenti fondamentali del Vangelo con la vita di adesso, per vedere se sia ancora possibile essere dei buoni cristiani e dei buoni cittadini, dei buoni laici e dei buoni adulti, dei buoni cattolici e dei buoni uomini del nostro tempo.
Che ci sia spazio per tutto quello che di valido e interessante si possa scegliere nella vita, che ci sia tempo per ogni cosa.
Questo, vorrei provare a vedere se sia possibile.
Pensieri talmente fitti
che intanto siamo già ai piedi del Monte Tabor, in questo assolato pomeriggio domenicale. Eccomi innanzi ad un monumento della religione cristiana, caspita!
Quante volte l’avrò sentito nominare? Me l’aspettavo alto come l’Himalaya, questo monte. Una montagna, mi aspettavo.
Invece è poco più che una collina, abbastanza brullo per via di questo caldo battente per molti mesi l’anno.
A portarci in cima saranno dei pazzi scatenati con dei pulmini…non guardo da nessuna parte e sudo sette camicie…
Sballottati qua e là con la digestione in atto, un sano pasto ebraico mi si sta strapazzando nello stomaco.
Cerco di pensare positivo ma la guida di questi signori è bella nervosetta.
Dopo un lasso di tempo che mi è parso interminabile, siamo arrivati sulla cima.
Il luogo appare molto normale ma il santuario e’ ben fatto.
La facciata risale appena agli Anni Trenta ma il materiale con cui la chiesa è fatta pare sia quello originale dei Crociati che si spinsero fin quassù e costruirono un convento benedettino del quale resta la Porta del Vento e prima di loro fecero una capatina anche i Bizantini.
Affollato questo Tabor!
L’abside all’interno e’ di mosaico tutto blu.
Veramente di grande effetto.
Sembra la volta celeste e alla mia sinistra sono raffigurati Gesù al centro, Mosè ed Elia ai lati.
Qui Gesù si trasfiguro’ e lascio’ di stucco i suoi… se hai fede ci credi, altrimenti no.
E’ davvero tutto qui.
Non serve lambiccarsi il cervello con mille perché. Il discorso religioso va anche preso “easy”, con leggerezza, a mio avviso, se si desidera che ti permei con il suo effetto tranquillizzante.
E’ sacrosanto domandarsi le cose ma altrettanto pertinente non fare che la ricerca costante annulli la dolcezza del sentirsi di Qualcuno, di affidarsi.
Comprendo che sia semplicemente la mia visione, questa e non ho la pretesa di impartire nessuna lezione, vorrei fosse chiaro.
Faccio anche un’altra piccola scoperta, come stessi compiendo i primi gradini di una scalinata faticosa e in cima, però, un premio.
All’inizio l’idea di una messa mi aveva gettata nello sconforto. Non avevo voglia di mettermi li’ ad ascoltare. Avevamo corso tutta la mattina, siamo sempre con l’orologio in mano.
Dai, no. Siamo in un paese bellissimo, andiamo a vedere cosa c’è dietro l’angolo, su!
Ma questo prete ha saputo catturarmi.
Non ha fatto niente di speciale, ha solo fatto il prete e gliene sono ancora grata. La sua proposta è stata silenziosa e molto semplice, fin dall’inizio del pellegrinaggio. Liberi di seguirlo o no. Io l’ho seguito.
Al termine della cerimonia mi chiede di dare il saluto a tutti gli amici, uno a uno, pronunciando la frase: “vai e porta la pace a tutti quelli che incontri”.
Ho incrociato decine di occhi.
Alcuni lucidi, umili, sereni, felici, ne ho visti anche di preoccupati.
Che bel modo di concludere una celebrazione…ma il mio stupore fu ancor più amplificato dal fatto che non conoscevo nulla di questo sacerdote che aveva invece in serbo per noi molti altri exploits..
Si ridiscende.
Prima però un’occhiata alla vallata. La vista è mozzafiato!
Si chiama la valle di Ezdrelon, verdeggiante e rigogliosa. Il che riporta alla domanda principe: come hanno fatto gli Israeliani a far crescere di tutto nel deserto?
Adesso occorre tornare a valle, a bordo dei famigerati pulmini.
Ho cercato di dimenticare ma la realtà è nuovamente innanzi a me.
Non sono distratta da niente altro. Nemmeno quando il sapiente Don Tonino mi avverte che se volto lo sguardo in quella piccola radura a destra posso scorgere la chiesetta dei “discendentibus”.
Penso che sia un nome azzeccatissimo per un pellegrino che torna sui suoi passi, come se si desiderasse dare l’ultimo saluto prima di ridiscendere. Questo posto mi accompagna all’uscita, in un abbraccio caldo e accogliente, come il Vangelo che ho appena ascoltato: “Signore, costruirò una tenda per te, Mosè ed Elia”.
Molto dolce. Mi pare di essere sempre stata qui.
Pulmini impazziti compresi.
Ne scelgo uno guidato da un autista sui cinquanta. Penso che magari sarà un tantino più posato. Ci mettiamo in moto e per fortuna una simpaticissima signora mi intrattiene inconsapevolmente parlandomi di una sagra paesana nella provincia di Mantova e con la mente corro immediatamente a casa.
Fatta. Arrivati alla base…e qui, in una sorta di stazione tipo quelle sciistiche dove si beve il vin brulé prima di agguantare l’ovovia, faccio la prima delle mie numerose esperienze con la vitamina C.
Vendono dei bicchierotti di arancia e melagrano spremuti insieme…una delizia ! Ne ho trangugiato a litri durante il mio viaggio e a Gerusalemme ne troverò ad ogni angolo.
Fantastici, questi Arabi.
Lasciamo definitivamente il Monte Tabor, il sole sta tramontando su di un villaggio di casette dimesse, molte senza nemmeno l’intonaco, costruite ognuna secondo il suo stile ma quasi tutte con l’immancabile parabola sul tetto o sul terrazzino.
E’ il Villaggio di Deborah.
Così piccolo ma famosissimo.
Sapete perché?
Deborah era una profetessa e interprete dei segni divini. Una gran donna che brillava di luce propria, una delle più importanti figure femminili dell’Antico Testamento.
Accompagnò il generale Barak nella battaglia finale contro i Cananei. A lei spettò “l’onore” di uccidere il generale nemico.
Beh…che dire. A parte l’uccisione, la mia femminilità si inorgoglisce nel sentire questo racconto.
La prossima tappa è Naim.
Un altro minuscolo villaggio sulla strada di ritorno per Nazareth, tutto comunque nel raggio di pochi chilometri. In questo paesino portano tutti lo stesso cognome e ad accoglierci è un nugolo di bambini scalzi, vocianti, sporchi e con il moccolo al naso. Le bambine hanno capelli lunghissimi, acconciati in trecce e code di cavallo.
Il nostro scopo è entrare a dire una preghiera nella chiesa del paese. Un piccolo edificio con un pavimento degno di Westminter Abbey. Uguale! A scacchi bianchi e neri. Le pareti sono spoglie e scrostate; sembra una chiesina ottocentesca del mantovano, una delle tante ma sopra il portone d’entrata fa mostra di sé un quadro raffigurante l’episodio del Vangelo in cui Gesù si trova per caso nel bel mezzo del funerale di un bambino la cui mamma, vedova, seguiva il feretro disperata.
Io non sapevo che per i costumi dell’epoca rimanere vedova per una donna voleva dire scendere di classe sociale e cadere in miseria.
“Gesù si mosse a compassione e disse ‘Alzati’”.
E il bambino tornò in vita. Fu un miracolo.
E’ il termine “compassione” a scatenare Don Tonino. Compatire significa soffrire insieme e tuttavia fare di tutto per cambiare la situazione. Insomma, non la classica carità pelosa ma il tentativo di dare realmente una mano alla persona per cui in quel momento proviamo questo sentimento.
Bevvi le sue parole, queste perle di verità, seduta su quel pavimento, stanca e accaldata, i vestiti sgualciti, davanti a me una distesa di altre facce stravolte.
Eppure, quando desidero che la mia mente spiani i cattivi pensieri, corro a Naim e torna la pace.
Di fronte si erge una piccola moschea ed entrambe le costruzioni sono gestite da un gruppo di donne arabe, che al mattino spolverano “il nostro” altare e il pomeriggio sbattono i tappeti della loro moschea o forse no, dato che possono accedervi solo gli uomini…
Assisto ad un altro piccolo miracolo: due modi di intendere la vita così diversi ma a queste signore sembra non importare di Occidente e Oriente.
Loro hanno il loro compito e lo svolgono nel migliore dei modi, custodendo “casa nostra” per noi che arriviamo lì: la più bella preghiera di questo incantevole pomeriggio israeliano.
3 ottobre 2008 alle 11:56 am
Che dire? Prosegue il cammino in questa “Via delle pietre” con un’accompagnatrice d’eccezione, che ci fa addirittura sentire il gusto dell’arancio col melograno. Bravissima! E neppure un errore!! Non ci posso credere!!!!!!
Le stelle sono taaante, milioni di miliooooniiii…ma qua se ne possono dare solo cinque….
Ciao Cate!!
3 ottobre 2008 alle 1:01 pm
Ho letto tutto d’un fiato le tre parti pubblicate…questo cammino di prende davvero per mano…brava, brava…spero di proseguire ancora
ciao
5 stelline meritatissime
PS: naturalmente le ho messe a tutte e tre le parti anche se il commento l’ho lasciato solo qui
ciao ;D