Le Storie del Cinghiale

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Magazzino Provvisorio M55 – Pausa pranzo

Pubblicato da diego il 10 novembre 2008

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Ogni posto di lavoro ha i suoi orari e i suoi rituali, e questa è una verità assolutamente rimarchevole, perché la troverete confermata in ogni luogo e in ogni tempo. Se fosse necessario un esempio, è presto fatto: proviamo a dare un’occhiata al Magazzino Provvisorio M55.

Mancano pochi minuti alle dodici. Dal vano di entrata filtra luce di una curiosa tinta lavanda chiaro, che è quella del Sole a quell’ora del mattino.

Alcuni cargo sono poggiati sulle griglie di scarico, segnate da cifre alte venti metri dipinte in vernice gialla, e intorno ai cargo si muovono uomini in divisa grigia minuscoli come batteri, per lo più cavalcando strani carrelli bifidi in grado di schizzare a velocità spaventose. Ma tutto sommato c’è poco movimento. Sono quasi le dodici, e i magazzinieri stanno per andare a pranzo. Sembrerebbe dunque un magazzino come tutti gli altri, se vogliamo escludere che il Magazzino Provvisorio M55 si trova sull’LV-427, un planetoide di proprietà della potentissima Società Mineraria Intergalattica. Ovvero su un sistema distante parecchi anni-luce dalla Terra.

L’LV-427 nasconde al suo interno qualcosa come ottantatre Magazzini Provvisori e quattrocentosedici Magazzini Permanenti. Come dire un  numero sufficiente di stanzoni enormi e cunicoli di collegamento tale da rendere il planetoide simile ad un grosso labirinto tridimensionale, o se preferite al pezzo di gruviera più grande della galassia. La struttura però è molto più semplice di quanto i numeri potrebbero lasciar supporre: nei Magazzini Provvisori le merci vengono caricate o scaricate, in quelli Permanenti vengono conservate. Tutto lì.

Il tipetto magrolino che manovra quella specie di ruspa, estraendo cumuli di container Sigmax dal ventre di un cargo Zentriano, si chiama Duilius, matricola KL-981, ed è ormai una delle colonne portanti del Magazzino Provvisorio M55. Duilius infatti è uno scavatrippe. Ogni Magazzino Provvisorio ha il suo scavatrippe, che è il nomignolo che adoperano i magazzinieri per indicare colui che si occupa dei container Sigmax. La cosa è molto semplice, basta osservare quello che Duilius sta facendo: i container Sigmax hanno una strana forma a ciambella allungata, così quando li preleva dalla stiva della nave inforcandoli con il suo bulldozer, sembra che ne estragga i visceri. Una faccenda abbastanza disgustosa, soprattutto quando i container più vecchi mostrano perdite di quel loro liquido rosso sangue. Uno sporco lavoro, come si dice, ma qualcuno deve pur farlo.

Poco più in là –poco più in là significa duecento metri, ma siccome il Magazzino Provvisorio M55 ha una superficie di un chilometro quadrato, allora l’affermazione risulta sensata- Lucius e Plinius, matricole HY-766 e FT-461, hanno invece finito il loro ultimo scarico prima della pausa, e stanno confabulando con un gruppo di piloti Chiliti dalla faccia dipinta di blu. Plinius conosce i Chiliti da quando è nato e parla correntemente la loro complicatissima lingua. Il Chilita è una lingua che funziona a strepiti, grugniti e ansimi, per lo più, con l’aggiunta di qualche gesto eloquente. In questo momento Plinius sta tentando di allargare la piccola collezione di oggetti etnici di Lucius, contrattando per lui la vendita di un teschio di scaccacoforo nero. I Chiliti hanno sempre in tasca qualcuno di questi oggettini da barattare, come un dente di scolopendra gigante o un guscio di tartaruga Selegion, oppure penne di anatre arcobaleno (per qualche strana ragione, ogni volta che sull’LV-427 atterra una nave Chilita, dai suoi cieli svanisce uno stormo di anatre arcobaleno). Oltre che cacciatori abilissimi, tuttavia, i Chiliti sono anche agguerriti mercanti, e così la trattativa per il teschio è arenata da venti minuti.

Insomma abbiamo di fronte la fotografia di una tranquilla mattinata di lavoro, scattata qualche minuto prima della pausa.

È così?

Quasi… perché la vera chicca di questa mattina, al Magazzino Provvisorio M55 è laggiù, vicino ai serbatoi di energia di ricarica, dov’è parcheggiata una nave Tertiana arrivata questa mattina presto.

I piloti non ci sono. Hanno mollato la nave ai magazzinieri dell’M55 e se ne sono andati al bar dello spazioporto esterno. Torneranno solo a sera inoltrata, probabilmente sbronzi, per rimettersi in viaggio verso il sistema Nepto, dove devono caricare qualche migliaio di kiloton di plutonite prima di fare rotta verso casa loro, il lontano pianeta Tertian.

Fulvius, Septimus e Vassilius stanno per terminare lo scarico della nave. Alle loro spalle centinaia di cassoni squadrati impilati in file da cinquanta nascondono il muro del magazzino fino a sessanta metri d’altezza. Una vista abbastanza impressionante. Altri cassoni identici sono stati disposti in punti strategici, che i magazzinieri dell’M55 hanno imparato a conoscere alla perfezione. Ce ne sono vicino alle prese di corrente dell’angolo est. Diverse file sono stipate a metà del muro nord, dietro i cui pannelli si celano gli immensi generatori spiraliformi che forniscono energia a tutto il magazzino. Ne hanno posati alcuni perfino vicino all’imbocco delle scale che portano agli spogliatoi, e ne hanno piazzate due file da cinquanta vicino alle batterie di ricarica dei carrelli a sospensione.

Qualcuno, non senza ragione, potrebbe domandarsi il motivo di una disposizione tanto dispersiva, dal momento che la prima regola di ogni magazzino, Provvisorio o Permanente, è che lo spazio è più prezioso della golgomite aurea, e di certo l’M55 non fa eccezione.

Esiste un motivo ben preciso, in effetti.

Quei cassoni appena sbarcati dal cargo Tertiano sono pieni di magnetite bifasica.

 

Septimus entrò nel refettorio alle dodici e dieci, più o meno alla velocità di un razzo, spalancando la porta come se fosse stata centrata da un colpo di bombarda, e cogliendo i colleghi nel bel mezzo del pranzo.

Clelius, che all’M55 era l’ultimo arrivato, aveva il cucchiaio giusto a metà strada tra il piatto e la bocca, stillante gocce della polenta vitaminica che passava la mensa.

-È andato!- annunciò Septimus.

Si scatenò la baraonda.

Duccius era a buon punto per finire un panino al salame lungo come un’anaconda mutante. Lucius e Plinius stavano ancora discutendo le ragioni dell’insuccesso di quest’ultimo nella trattativa con i Chiliti, e gli altri sessanta e passa magazzinieri dell’M55 erano tutti impegnati in attività similari. La reazione alla dichiarazione di Septimus fu comunque la medesima: qualche secondo di silenzio perfetto, e poi un concerto di sedie rovesciate e scarponi che sbattevano a passo di corsa, mentre tutti si affettavano verso la scalinata che conduceva di sopra, al magazzino.

-Muoviti!- disse Duccius, dando un colpo di gomito a Clelius. –Se n’è andato!

In mezzo a quello sconquasso, Clelius stava ancora tentando di raccapezzarsi. Il refettorio si era svuotato. –È andato… chi? Dove?

Ma la porta del refettorio si era già richiusa alle spalle di Duccius, e Clelius era rimasto solo. Guardò i lunghi tavoli sotto le luci alogene.

-Muoviti!- ripeté la voce di Duccius dal fondo del corridoio.

E Clelius si mosse.

Inghiottì ancora un cucchiaio di polenta e s’incamminò verso il magazzino.

C’era un gran trambusto su in alto.

Clelius pensò che fosse in arrivo qualche grosso convoglio per uno scarico urgente, anche se la sua tabella elettronica non aveva cicalato per niente. Raggiunse Duccius che confabulava con altri due.

-Si può sapere cosa sta succedendo?- domandò. –Perché siete scappati tutti?

Duccius terminò di parlare, poi lo prese per un braccio e lo condusse verso il distributore del caffè.

-Lupus è andato a pranzo- gli confidò con un sogghigno.

Su in alto, trecento metri sopra di loro, le luci erano tutte spente. L’ufficio del capo magazziniere Lupus sporgeva il suo muso trasparente nel vuoto, simile ad un brutto rospo addormentato.

-Oh, bè, grande notizia Duccius! Ho lasciato a metà la polenta per scoprire che Lupus è andato a pranzo. Cioè più o meno quello che ha fatto ieri, mi pare, e anche il giorno prima. Tu guarda, mi sembra che non abbia fatto altro da quando sono arrivato, tre mesi fa. Quello che si dice un carattere abitudinario, non trovi?

Appena passato mezzogiorno, Lupus chiudeva l’ufficio e andava a mangiare al bar dello spazioporto.

Clelius vide qualcuno giù in fondo –gli sembrava Celestinus, ma da quella distanza non poteva dirlo con certezza- vicino al pannello di controllo dei portelloni esterni. L’uomo azionò una serie di leve e gli enormi pannelli metallici sferragliarono e cominciarono a salire, chiudendo l’uscita del magazzino.

-Ehi… che sta facendo quell’altro?

Invece di rispondergli, Duccius raggiunse altri due che sostavano nella piazzola di parcheggio dei carrelli.

-Gli faranno una lavata di testa con i controfiocchi- borbottò Clelius. Il fatto che tutti sembrassero consapevoli di qualcosa che invece a lui sfuggiva gli mandava la polenta per traverso. Detestava essere l’ultimo arrivato al Magazzino Provvisorio M55. Nessuno voleva mai dirgli niente. –Quando tornerà Lupus e troverà quei portelloni sollevati lo sentiranno strillare fino ai magazzini del settore T. È severamente proibito sollevare i portelloni esterni durante l’orario di lavoro!

Tecnicamente non si trattava proprio di ‘orario di lavoro’ dal momento che erano in pausa, ma Lupus si sarebbe infuriato lo stesso. Clelius era certo che si sarebbe infuriato. Ne era certo per il più ovvio, il più semplice e il più lampante dei motivi: Lupus adorava infuriarsi. E dopo tre mesi di lavoro al Magazzino Provvisorio M55 Clelius era certo che non ci fosse nulla di peggio in tutta la galassia che vedere Lupus infuriato. Le tempeste elettromagnetiche sui planetoidi esterni gli facevano meno paura.

Raggiunse Duccius e gli altri alla piazzola dei carrelli.

-Non so proprio cosa stiate macchinando, voialtri- disse. –Ma Lupus non sarà affatto contento. È una gran brutta idea chiudere quei portelloni, Duccius. Una bruttissima idea. Dovreste saperlo meglio di me, dal momento che tutti quanti lavorate qui da molto più tempo.

-Rilassati- disse Duccius. –Non c’è da preoccuparsi. Riapriamo i portelloni prima che Lupus torni dallo spazioporto.

-Oh, vorrei proprio vedere! Chi ti dice che Lupus non torni prima, invece? Farà una lavata di testa a tutti quanti, ecco cosa. Se la prenderà pure con me, anche se non c’entro niente. Per non parlare di quelli del Controllo! Chiunque potrebbe passare qui davanti, e cosa immagini che penserà vedendo i portelloni chiusi a quest’ora?

-Quelli del controllo non fanno passeggiate durante la pausa pranzo- tagliò corto Duccius. –Ma insomma, ti vuoi fidare? Ti ho detto che non c’è da preoccuparsi. Non ti allungheranno il contratto per così poco.

I controlli dell’SMI funzionavano in quella guisa: siccome non c’era un solo magazziniere che avrebbe voluto rimanere sull’LV-427 un solo giorno in più del necessario, le punizioni per le mancanze gravi erano prolungamenti del contratto base. I magazzinieri le chiamavano sommative. Se qualche responsabile si fosse accorto dei portelloni chiusi, Clelius supponeva che potesse costare a ciascuno di loro almeno un mese di sommativa. Le regole erano molto rigide. Era una prospettiva che gli faceva ritorcere lo stomaco, visto e considerato che lui non ne poteva niente.

Almeno sapessi cosa stanno facendo…

Un momento dopo aver pensato quella frase, Clelius si accorse dei cassoni. Ce n’erano dappertutto. Sparpagliati. Ammucchiati. Impilati e solitari. Se c’era una logica nella maniera in cui erano disposti, Clelius non riusciva a notarla, e in ogni caso dubitava che fossero allineati secondo la collocazione NIDAS (Normativa Interna di Disposizione dell’Area di Scarico), ossia l’unica che il Controllo ritenesse accettabile.

-Non credi che Lupus avrebbe qualcosa da ridire se vedesse quei cassoni buttati così in giro per il magazzino?

Duccius sorrideva, come se la prospettiva di un mese di sommativa lo mettesse di buon umore. –Non fare il guastafeste. Abbiamo tutto il tempo di riordinarli prima che torni.

-Mi vuoi almeno dire cosa state complottando? Non ci ho ancora capito un accidenti.

In quel momento i portelloni terminarono di serrarsi con un boato, simili alle mascelle di un’immensa balena.

-Lo facciamo tutte le volte che arriva la magnetite bifasica, non preoccuparti. È tutto sotto controllo. Allora, sei pronto?

-Pronto? Pronto per cosa? Mi vuoi dire cosa…

Duccius abbassò bruscamente una mano. –VAI!

Oratius, che stava di fianco al pannello elettrico principale, girò una manopola e abbassò l’interruttore generale. Il magazzino piombò nell’oscurità.

-Ehi, che scherzi fate?- disse Clelius. –Riaccendete quelle luci, non si…

Si accesero le luci di emergenza, fuochi rossi come occhi di demone che ruotavano e lampeggiavano, e pochi secondi dopo, con un brontolio e il rumore di un grosso aspirapolvere, entrarono in funzione i generatori di emergenza, riattivando l’illuminazione.

-Bello scherzo davvero!

Clelius stava considerando che i suoi colleghi avevano avuto un’idea abbastanza stupida -tutti sapevano che era impossibile togliere l’illuminazione dai magazzini, a meno di non far saltare ogni singolo generatore. Lo sapeva perfino lui che era l’ultimo arrivato- quando provò una curiosa sensazione di freddo alla pancia. Sentì lo stomaco sollevarsi verso l’alto insieme al suo bel carico di polenta vitaminica e premere contro il diaframma, come un coniglio che tenta di uscire dalla gabbia a testate. Poi si accorse che non era solo il suo stomaco a sollevarsi.

I suoi piedi fluttuavano a venti centimetri da terra e il pavimento si allontanava. Clelius agitò le braccia, spaventato, e non ottenne altro che di ruotare se stesso come un giroscopio.

-Che diavolo succede?- gridò. –Duccius!

Gli altri magazzinieri seguivano la sua medesima sorte, insieme a qualsiasi altra cosa che non fosse saldamente ancorata. I carrelli a sospensione volteggiava a mezz’aria, e così i fermi romboidali con cui venivano bloccati. I cavi di energia dei cargo, lunghi più di cento metri, ondeggiavano lentamente come tentacoli di piovre giganti immersi nell’acqua, mentre in fondo alla parete gli armadi squadrati delle batterie di ricarica sembravano una moltitudine di meduse, con i cavi elettrici intorno alla testa come serpenti impazziti. Anche la macchinetta del caffè si era sollevata di mezzo metro, trattenuta dal cavo elettrico come un cane al guinzaglio.

I colleghi di Clelius ridevano e strillavano.

Duccius, con la pelata inumidita da un velo di sudore, sbracciava felice come se nuotasse nella piscina di casa sua. Più felicemente ancora, forse, dal momento che una piscina non l’aveva mai avuta. Clelius si accorse che quel modo di procedere in effetti aveva un qualche genere di utilità: Duccius avanzava, sebbene alla velocità di un bradipo Tertiano. Clelius decise di imitarlo.

Avanzare in assenza di peso non si dimostrò un affare così ostico, dopotutto. Era faticoso. Dopo qualche metro, Clelius si domandò se valesse tutto quel gran mulinare. Aveva l’impressione di  non muoversi affatto.

Dopo aver riso e scherzato, e dopo essersi esibiti in capriole e giravolte –Clelius trovava tutto ciò piuttosto infantile, oltre che assolutamente irregolare- i magazzinieri nuotarono in direzione dei carrelli, che ormai volteggiavano a dieci metri da terra.

-Tieni, prendi questa.

Duccius gli tese un tubo lungo un metro e mezzo, provvisto di un gancio all’estremità. Erano le barre di alluminio che utilizzavano per agganciare i carrelli ai cassoni dotati di ruote. Clelius si afferrò, diede uno strattone e dondolò fino a lui.

-Cosa dovrei farmene di una barra di alluminio?

-Meglio che ci sbrighiamo, o inizieranno senza di noi.

-Inizieranno cosa? Duccius, comincio ad avere l’impressione che un mese di sommativa non sia poi una prospettiva così orribile, sai?- Clelius ondeggiò, finì a testa in giù e si rimise in verticale scalciando furiosamente. –Probabilmente ci daranno un anno di sommativa. A tutti quanti! Lutezia mi ammazzerà quando lo verrà a sapere. Se avessi saputo cosa avevate in mente mi sarei preso un giorno di permesso, ecco.

-Lupus non ti avrebbe mai dato un giorno di permesso. Da quando sono qui non gli ho mai visto accettare un permesso di un giorno.

-Questo non fa nessuna differenza, hai capito benissimo cosa intendevo! E mi dici cosa dovrei farmene della barra?

-Sei stato promosso terzino sinistro- rispose Duccius. –Forza, raggiungiamo quei carrelli.

-Ehi, guardate!- chiamò qualcuno in basso. –Guardatemi TUTTI!

Clelius e Duccius guardarono.

Era Fabius, un giovanotto dell’età di Clelius che portava i capelli biondi ritti come rebbi di forchetta, in un’acconciatura fuori moda da una decina di secoli o giù di lì.

Clelius ricordava ancora la prima volta che si erano parlati. Era arrivato al Magazzino Provvisorio M55 da tre giorni e stava tentando di rimuovere un’incrostazione di carbonite dal pulsante di stazionamento del suo carrello a sospensione. Fabius gli aveva battuto sulla spalla facendolo gridare (cosa che gli aveva provocato un grosso imbarazzo) e sbattere la nuca contro la manopola del carrello (con cui aveva ottenuto un bernoccolo ben più grosso e più doloroso dell’imbarazzo). Fabius lo aveva guardato con occhi assenti, ossia con il suo sguardo consueto, anche se Clelius questo ancora non lo sapeva. Un rimasuglio di cibo –forse la stessa polenta vitaminica che mangiava lui, aveva considerato Clelius con disgusto- sparpagliato sotto il labbro inferiore.

-Non sei mai stato su Zamax, vero?- gli aveva chiesto Fabius.

-Come?- aveva risposto Clelius mentre si toccava il bernoccolo e cercava di raccapezzarsi. –No, non direi. Che cos’è? Un sistema stellare?

Fabius si era tastato il naso, si era accorto che quella strana protuberanza disponeva di cavità gemelle nella zona inferiore e aveva cominciato ad esplorarle con l’indice, prima una e poi l’altra. Poi aveva annuito tristemente. –Lo immaginavo. Il Piccolo Dio me lo avrebbe detto. Me lo avrebbe detto, non ti pare?

Se n’era andato, e da allora in poi Clelius era stato ben attento a non andare oltre un saluto smozzicato quando lo incrociava alla macchinetta del caffè o all’uscita delle docce. Aveva poi scoperto che quasi tutti gli altri magazzinieri consideravano Fabius un pazzo furioso. Si raccontava addirittura che i suoi genitori lo avessero venduto all’SMI –o regalato, come sostenevano i più maligni- pur di levarselo dai piedi. Clelius non sapeva se crederci o meno, ma sul fatto che Fabius fosse più sbarellato di un pilota Tzabonita non aveva alcun dubbio.

Fabius stava entrando in quel momento nel magazzino in groppa ad una specie di tozzo siluro grosso come un manzo, e sorrideva agitando il braccio sinistro sopra la testa.

-Guardate! Guardate! Yo-oh Silver! Vai! Ho il cavallo più veloce della galassia!

-Che sta combinando quello?- Clelius guardò meglio e impallidì. –Ehi, ma quella è una bombola di grumosite!

La grumosite gassosa era il propellente per gli ascensori delle navi di classe Delta II. La tenevano stipata in uno stanzone adiacente al refettorio.

-Dev’essere rimasta dalla ricarica che abbiamo fatto ieri- disse Duccius. –Quelle che avanzano non vengono conteggiate nelle tabelle, così ne abbiamo sempre qualcuna in più. Non stare a preoccuparti, Fabius è matto, ma non è un idiota. Non prenderebbe una bombola ancora da conteggiare. Lo fa sempre quando togliamo gravità. Lascialo divertire poveretto. Dopotutto noi giochiamo, no?- scrutò verso la parete di fondo del magazzino, lontana quasi un chilometro. –Speriamo solo che non sia troppo carica.

-Troppo carica cosa? Ma che vorrebbe fare?

Lo vide ben presto cosa voleva fare.

Fabius afferrò un lungo oggetto metallico, forse una chiave idraulica, che volteggiava dalle sue parti. Scivolò all’indietro fino a portarsi sui quarti posteriori della bombola, si aggrappò ad un maniglia e diede un colpo alla valvola. Quella saltò via come un tappo e la bombola schizzò in avanti a velocità mostruosa.

Fabius partì cavalcando la bombola, lasciandosi alle spalle una scia di grumosite solidificata, simile a pallini di polistirolo marrone. In un battibaleno solcò lo spazio aereo di fianco agli altri magazzinieri, diretto verso i portelloni esterni. Clelius giudicò un mezzo miracolo –no, diamine, è un miracolo intero, non posso crederci!- che non si fosse schiantato contro nessuno dei relitti galleggianti che popolavano il magazzino.

-Ecco, per fortuna il propellente è finito- disse Duccius, quando ormai Fabius e la bombola erano ridotti ad un puntino invisibile, e Clelius non riusciva quasi più a scorgerli. –Qualche tempo prima che arrivassi tu ne aveva presa una piena. L’aveva presa per sbaglio, credo, perché è difficile accorgersi della differenza se non leggi il manometro. Vuote o piene hanno quasi lo stesso peso.

-Lo so. Ne ho maneggiata qualcuna l’altra settimana.

-Già. Certo che con Fabius non si può mai sapere. Magari l’aveva scelta di proposito, tanto per provare- Duccius fece un ghigno. –Magari glielo aveva consigliato il suo Piccolo Dio…

-E cosa è successo?

Duccius sollevò le spalle. –Si sarebbe spiaccicato contro i portelloni esterni ma Celestinus se n’è accorto e ha fatto in tempo ad aprire quello superiore. Gli ha salvato la vita. Fabius è schizzato fuori come un proiettile ed è sparito all’orizzonte. Un pilota Tertiano in atterraggio lo ha avvistato in un campo di trifoglio e ha segnalato la posizione al Controllo, e quelli del Controllo hanno mandato a recuperarlo un paio di colleghi del Magazzino Provvisorio M32 del Settore K.

-Il Settore K? Ma è…

-A ventidue chilometri da qui, lo so. Evidentemente le bombole piene hanno, come dire, una certa autonomia, anche quando tornano in presenza di gravità. Infatti Patritius aveva chiesto a Lupus di poterne modificare un paio per usarle come mezzo di trasporto, ma non gli hanno mai accordato il permesso. Questioni interne, come al solito. Secondo Patritius, Fabius senza volerlo aveva avuto un’idea geniale. Diceva che quando avrebbe avuto il congedo dall’LV-427 avrebbe aperto una fabbrica di veicoli a grumosite gassosa. Deve avere ancora una pila di progetti nel suo armadietto.

Guardarono ancora un po’ il puntolino all’orizzonte, sospeso a circa cinquecento metri d’altezza.

-Tornerà- disse Duccius. –Adesso muoviamoci, stiamo perdendo tempo.

Cominciò a nuotare verso due carrelli che si stavano separando dal gruppo come una coppia di bisonti che si allontanano dal branco.

Clelius gli tenne dietro.

Gli altri colleghi erano impegnati in operazioni analoghe alle loro. Qualcuno era già montato sul suo carrello e sfrecciava agilmente in mezzo al ciarpame galleggiante. Si stavano radunando in un punto prestabilito.

Avevano raggiunto i quaranta metri d’altezza, e Clelius guardava in basso cominciando a provare un lieve moto di vertigine, quando udirono un rumore soffuso, come una sorta di lontana risacca.

-Sta cominciando!- gridò Duccius. –Tieniti!

-Tieniti? Dovrei tenermi a COSA?

La gravità tornò improvvisamente.

Clelius, i colleghi, i cassoni e i carrelli, e tutto ciò che si trovava per aria, precipitarono. I cavi di energia sbatterono a terra fragorosamente, e lo stesso accadde alla macchinetta del caffè.

Clelius strillò impazzito, roteando le braccia come se precipitasse dal sesto piano di un palazzo –era in effetti proprio quello che stava accadendo, sebbene si trovasse nel Magazzino Provvisorio M55 e non sulla cima di un palazzo.

Qualche cassone si schiantò a terra con il fragore di una bomba.

Addio Lutezia, pensò mentre il pavimento grigio si avvicinava e si avvicinava e si avvicinava. I timpani gli vibrarono, Clelius fu travolto da un nuovo rumore di risacca mentre la magnetite bifasica si rimetteva in azione ripristinando l’assenza di peso. Fu come se l’aria si raddensasse fino alla consistenza della gommapiuma, più o meno come se avesse teso un elastico invisibile con il proprio corpo, e in un baleno Clelius galleggiava di nuovo, ora a cinque metri d’altezza, in un bagno di sudore.

-Piaciuto?

Clelius roteò gli occhi bianchi e sodi e sporgenti come palle da golf. Un filo si saliva gli penzolava dalla bocca. Duccius se ne stava a pancia in su e dondolava i piedi, le mani dietro la nuca come se fosse sdraiato su un’amaca.

-Voi…- ansimò Clelius. –Voi siete… PAZZI!

-È meglio che risaliamo di qualche metro- disse Duccius imperturbabile. –I tempi di attività della magnetite bifasica non sono molto regolari. Quando torna la gravità è meglio stare abbastanza in alto. Una ventina di metri di solito sono sufficienti.

-Ci ammazzeremo tutti!

-Oh, no di certo. Basta fare attenzione. E comunque finché stai sul tuo carrello a sospensione non c’è pericolo. Se torna la gravità e ti accorgi che stai per schiantarti, basta che dai manetta e il gioco è fatto. E adesso piantala di fare tutte queste storie, ci aspettano per la partita, non vedi?

-La partita?

-Hai ancora la tua mazza? Oh, bene…

Clelius nuotò dietro Duccius fino a raggiungere due carrelli a sospensione. Vi montarono sopra e si diressero verso gli altri magazzinieri, in un’area del magazzino relativamente sgombra dai relitti galleggianti.

I magazzinieri fecero la conta e si divisero in due squadre.

Clelius venne assegnato a quella di Duccius, e gli rimase aggrappato al fianco come un vitellino alla fattrice. Lanciava occhiate intimorite ai cassoni di magnetite in volo per tutto il magazzino, in attesa della prossima fase inattiva.

-Che razza di gioco sarebbe, me lo vuoi dire o devo andare alla cieca?- domandò quando si convinse che per il momento l’assenza di peso sembrava reggere.

-Si chiama Palla Sgravitona. A proposito, pare che lo abbiano inventato proprio qui sull’LV-427, sai? Noi due siamo i terzini- Duccius diede un’occhiata all’amico, che aveva tutta l’aria di non aver capito un bel niente. –Significa che dobbiamo impedire agli attaccanti dell’altra squadra di segnare. Poi, se non abbiamo troppo lavoro, diamo una mano ai nostri attaccanti.

Clelius guardò i magazzinieri che si allontanavano in tutte le direzioni. Indossavano tutti la divisa da lavoro grigia. –E come faccio a riconoscere quelli dell’altra squadra? Siamo vestiti tutti uguali!

-Bè, adesso non abbiamo tempo di mettere le magliette. Questo è solo un allenamento. In ogni caso, tu ferma tutti quelli che vengono dalla nostra parte, così sei sicuro- gli indicò un collega che gironzolava pigramente sul suo carrello tenendo sotto braccio una sfera bianca. –Tranne Artemius, che è l’arbitro. Lui non lo devi disarcionare, altrimenti ti butta fuori. Quando lancia la palla cominciamo.

Duccius diede manetta al suo carrello, eseguì un’elegante e rapida manovra e afferrò al volo una barra di alluminio volteggiante.

-Non ho capito niente!- disse Duccius.

-Semplice. Puoi colpire la palla ma non puoi trattenerla. Vedi quel bidone dell’immondizia? Ogni volta che la palla entra là dentro vuol dire che gli altri hanno segnato. Tu puoi fare più o meno quello che vuoi, basta che non li fai segnare. Non è troppo complicato.

-Mi sembra un po’ sottile come regolamento, se mi è concesso!

-Bè, ma la Palla Sgravitona si gioca così. Mica possiamo inventarci regole nuove. Attento, ecco che cominciano.

Artemius diede un trillo di fischietto.

I magazzinieri si gettarono addosso alla palla. Duilius fu il primo a colpirla. La centrò in pieno con il carrello, facendola ondeggiare fuori dalla mischia. Subito gli altri si lanciarono dietro come una muta di cani affamati. Due di loro cominciarono a colpirla alternativamente con delle mazze simili a quella di Clelius, passandosela l’un l’altro mentre salivano verso il soffitto. Clelius ne dedusse che giocavano nella stessa squadra. Dedusse altresì che la suddetta squadra doveva essere quella avversaria, perché dopo essere risaliti di una trentina di metri, puntarono i carrelli verso di lui e diedero manetta.

-Arrivano!- disse Duccius, agitando la sua mazza. –Copertura!- poi, vedendo che Clelius non capiva disse: -Quando chiamo ‘copertura’ stringiti verso di me, capito? Altrimenti non li vediamo neanche passare.

Clelius eseguì la manovra. –E adesso che diavolo devo fare? Come faccio a fermarli?

-Ti faccio vedere io- disse Duccius.

Partì a razzo verso i due attaccanti. Eseguì una giravolta, sfilò sotto i loro carrelli e agganciò quello di sinistra con il suo tubo di alluminio. Trascinò via il carrello e lo liberò ad una certa distanza, mentre l’attaccante avversario imprecava sospeso nel vuoto, e infine tentava di raggiungerlo a nuoto.

-Va bene- disse Clelius. –Non dev’essere difficile, tutto sommato, se c’è riuscito Duccius… io guido i carrelli molto meglio di lui.

Puntò il secondo attaccante e diede manetta. Sfrecciò di fianco ad un container Sigmax che danzava a mezz’aria come una ballerina cilindrica, curvò a sinistra e sollevò il tubo di alluminio.

-No, non così!- disse Duccius, smanettando a tutta birra per dargli manforte.

Clelius si accorse troppo tardi dell’errore.

L’attaccante, un tizio bruno di nome Cornelius, lo vide arrivare con grande anticipo. Ebbe tutto il tempo di dare un colpo alla palla spostandola di lato. Sterzò bruscamente, piegando il suo carrello sulla destra. Il tubo di Clelius stridette contro la superficie liscia del fianco senza trovare nessun aggancio, e un secondo dopo l’avversario sfrecciava verso il bidone dell’immondizia sorridendo trionfante.

Clelius lo guardò a bocca aperta. –Oh, cavoli… devo aver sbagliato qualcosa.

Duccius tentò un rientro disperato. L’attaccante afferrò la palla e la sollevò pronto a schiacciarla nel bidone… e in quell’istante la magnetite bifasica entrò in stasi, e tutto precipitò.

Clelius non riuscì a dare manetta e il carrello gli sfuggì da sotto i piedi. Stavolta notò che non tutti i suoi colleghi avevano subito la stessa sorte. I più avveduti erano riusciti a rimanere sui carrelli e smanettavano per non perdere quota, mentre tutto il resto cadeva.

Il ripristino della gravità colse di sorpresa anche l’attaccante avversario. Aveva la mano destra sollevata pronta a schiacciare la palla nel bidone, e non riuscì a dare manetta al carrello. Scivolò di lato, imprecando. La palla gli sfuggì dalle dita e precipitò insieme a tutto il resto.

Clelius contemplò il pavimento del magazzino sollevarsi pericolosamente verso di lui. Un cassone di magnetite si schiantò proprio sotto la sua verticale, rotolò sul fianco e finì addosso ad un fermo per carrelli.

Rumore di risacca. La magnetite di rimise in azione, e tutto si congelò.

Duccius si gettò in picchiata verso la palla, che galleggiava a pochi metri da terra. La colpì con il tubo di alluminio, riportandola in quota.

-Devi stare più attento!- disse a Clelius, mentre questi nuotava per raggiungere il suo carrello. –Se cadi dal carrello ogni volta che ritorna la gravità, non ci servi a niente. Devi tenere le mani più salde su quelle manopole.

-Stavo per ammazzarmi!- protestò Clelius. Raggiunse il carrello e smanettò, riportandosi in posizione sul fianco sinistro del bidone dell’immondizia. –Potevo ammazzarmi, e tutto quello che riesci a dirmi è che non servo a niente senza carrello?

Ma Duccius adesso era lontano e non lo sentiva. Clelius lo vide avanzare rapidamente verso il muro ovest del magazzino, dove si trovava la porta avversaria. I colleghi della loro squadra si erano disposti intorno a lui formando una sorta di cuneo. Un difensore avversario schizzò sotto di loro tentando di disarcionare Duccius, ma sbagliò la presa. Altri ancora tentarono d’intervenire, ingaggiando una lotta furibonda con gli attaccanti. Clelius seguiva la scena con il cuore in gola, le mani che stringevano nervosamente le manopole del carrello.

Duccius si destreggiava in mezzo agli avversari con grandissima abilità, seminandosi alle sue spalle quei pochi che superavano l’arcigna difesa dei suoi compagni.

-Forza… forza…- sussurrò Clelius. Guardò i cassoni di magnetite. Guardò Duccius saettare verso il bidone spingendo la palla con il bastone, senza mai perdere il contatto. Lo vide mollare il bastone e afferrare la palla con la mano destra.

Ce la fa! Oh, Signore, speriamo che la gravità non torni proprio adesso!

Duccius era a tre metri dal bidone, quando un difensore avversario sbucò da dietro un enorme container galleggiante, smanettando a tutta forza. Un’espressione di crudele disperazione gli devastava il volto. Qualcuno gridò un avvertimento a Duccius, ma  troppo tardi. L’avversario lo centrò in pieno. Perfino Clelius, che in quel momento era lontano un centinaio di metri, sentì il cozzo sordo dei carrelli. Duccius e lo speronatore vennero sbalzati via. La palla si allontanò.

-Fallo, arbitro!- gridò una voce.

-Non era fallo!

Artemius si avvicinò con l’aria di chi ha una brutta gatta da pelare, mentre tutti i giocatori gli andavano incontro.

-Fallo- stava gridando Duilius a squarciagola. –È fallo, l’hai visto, no? Rigore netto!

-Non era fallo! Contrasto pulito!

Artemius non ascoltò nessuno. Alzò il braccio destro e fischiò. –Ribattuta da fondocampo! Il contrasto era buono!

I magazzinieri della squadra di Clelius si allontanarono mugugnando.

-Arbitro cornuto!

Artemius scattò. –Chi è stato? Chi è stato che lo butto fuori?- disse, ronzando intorno col suo carrello. Nessuno disse più niente.

Clelius stava retrocedendo sconsolato quando la gravità tornò. Per l’ennesima volta venne colto di sorpresa. Il carrello gli sfuggì dalle dita.

Precipitò per cinque metri. Dieci metri. Quindici metri.

Stava per mettersi a gridare quando la gravità venne di nuovo meno, salvandolo ad appena tre metri dal suolo.

-Che cavolo… non mi sembra poi così sicura questa magnetite bifasica… stavolta ho rischiato davvero rimetterci il collo.

Molti cassoni si erano schiantati. Infine, mentre ruotava su se stesso per rimettersi dritto, lo vide.

Il capo magazziniere Lupus galleggiava di fianco al quadro elettrico principale, gli occhi che lampeggiavano. La mano aggrappata alla manopola dell’energia.

-Oh, no!

Lupus azionò l’interruttore per la seconda volta, innescando una nuova caduta. Fece arrivare i magazzinieri a un metro da terra, con precisione millimetrica, poi riattivò il quadro e la magnetite. Infine abbassò nuovamente l’interruttore.

Con una serie di boati, tutto quello che nel magazzino era rimasto in volo fino a quel momento atterrò, magazzinieri compresi. I cassoni e i container Sigmax si schiantarono e si ribaltarono con boati formidabili. I cavi dell’energia, le batterie di ricarica dei carrelli. I magazzinieri presero terra meno rumorosamente, ma più dolorosamente. Clelius sbatté il sedere sul pavimento, perse tutto il fiato, e rotolò su se stesso appena in tempo per evitare che il suo carrello gli piombasse addosso schiacciandolo.

Gemiti e lamenti per tutto il magazzino.

Qualcuno tentava di rimettersi in piedi, la maggior parte restavano a terra tastandosi e facendo il conto delle ossa rotte e di quelle sane.

Lupus osservava lo sfacelo impassibile. In quegli occhi austeri, tuttavia, se Clelius avesse voluto scorgere un qualche genere di emozione, non avrebbe avuto difficoltà a distinguere un certo appagamento.

La sua voce rimbombò. –Sono le zero una zero zero. La pausa pranzo è finita. Tornate al lavoro, e rimettete a posto questo casino.

Detto questo, salì sul suo motopattino diretto verso l’ufficio. Passò di fianco a Clelius e rallentò.

Clelius arrossì e Lupus scosse la testa. Si lisciò i baffetti neri. –Era fallo- disse. –E comunque come terzino fai schifo, matricola KJ-779.

2 Commenti a “Magazzino Provvisorio M55 – Pausa pranzo”

  1. nihil dice:

    Eheheheh delizioso racconto fantamagazzino. Le pause pranzo sono simili a gite scolastiche qualunque sia il pianeta, una certa aria di impunità aleggia su tutti i presenti.
    Ricordo che una volta sul pianetino Macrobyt facemmo una gara di ricamo filostellare con le raccomandate di Microbyt, colà recluse e……bè ve lo racconterò dopo, ora sta arrivando il priore di Megacababisi e non ha una bella espre3ssione! N.

  2. caterina 984 dice:

    Diegooooooooooooooooo.
    mi porti in posti magici dove fluttuo anch’io!
    sara’ per quella magnetite che mi porto sempre nella borsa?

    bravissimo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

    gia’ mi ero divertita un mondo con le macchie ostinate…

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