Racconti fantastici

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Il Clone

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A casa mia.

- Ciao, amore come è andata la giornata?
- Bene. Oggi, i ragazzi sono stati bravi, hanno seguito
attentamente la spiegazione.
- Ma…
- E che…la direttrice mi ha fatto arrabbiare. E’ così arrogante!
- Devi avere pazienza, le cose prima o poi si aggiusteranno.
- A proposito, c’è una busta per te, caro.
- Per me? Chissà di cosa si tratta!

Presi la mia busta e me ne andai in camera.
Mi incuriosì la mancanza del mittente e dopo averla aperta, trovai al suo interno un foglietto che riportava solo una semplice frase : “Alla fontana del parco alle undici.”
Non era firmato da nessuno e pensai subito ad uno scherzo.
Lo cestinai immediatamente senza pensarci un attimo.

Mi chiamo Guido e sono sposato con Manuela. Abbiamo due figli di sedici e dodici anni, Giulia e Luca. Sono un ricercatore nel campo dell’ingegneria genetica. Io e il mio team ci occupiamo di clonazione. Due anni fa il mio laboratorio fu’ distrutto da un incendio. Durante l’esplosione persi conoscenza. Purtroppo, di quel momento, non ricordo nulla. Mi risvegliai in ospedale, e, lì accanto a me, c’era Manuela che mi teneva per mano. Piangeva. Impiegai del tempo prima di riprendermi completamente; secondo la polizia fu una fuoriuscita di gas a causare l’incidente. Ancora oggi non riesco a darmi una spiegazione logica di quanto accaduto, forse perché come scienziato cerco sempre di trovare delle risposte razionali su ogni cosa. La vita a volte ci coglie impreparati.

Inizialmente lasciai perdere. Mi dimenticai della busta e continuai a fare quello che facevo. Sono sempre stato un tipo dinamico e appassionato del mio lavoro. Trascorrevo la maggior parte della mia vita in laboratorio e Manuela ne soffriva. Provai a dedicare più tempo alla mia famiglia ma con scarsi risultati. Manuela, ben presto, comprese il mio stato d’animo accettandomi per quello che ero. Altre donne mi avrebbero già lasciato, lei no!

Passarono diversi giorni prima di ricevere un’altra busta con mittente sconosciuto. Non poteva essere uno scherzo anche questa volta, chi poteva trovarlo divertente? Decisi di andare all’appuntamento per capire chi fosse questo sconosciuto tanto desideroso di vedermi. Forse era qualcuno che avevo conosciuto durante i miei seminari e aveva voglia di parlarmi di qualche progetto da sviluppare insieme o voleva qualche chiarimento.

Al parco, vicino casa.

Il giorno dopo mi recai al parco, era una bellissima giornata di sole, l’aria era fresca, e sentivo il cinguettio degli uccelli che volavano liberi nel cielo terso. Il parco era affollato. C’erano un sacco di bambini che giocavano a palla o correvano spensierati o davano da mangiare ai pesci del laghetto. C’erano molte coppie che passeggiavano o si erano appartate tra la vegetazione e si scambiavano innocenti effusioni incuranti dei passanti. C’erano comitive di ragazzi che scherzavano tra di loro. Insomma erano tutti lì che si divertivano. C’erano tutti i presupposti per una bellissima giornata. Mi sbagliavo perché da lì a qualche minuto il mondo stava per crollarmi addosso. Io ero seduto sulla panchina di fronte alla fontana, e guardavo, ripetutamente, le lancette dell’orologio, il tempo passava ma dello sconosciuto non c’era alcuna traccia. Nessuno mi dava l’impressione di essere l’uomo che stavo aspettando. Come sempre, per allontanare la noia, quasi per gioco, incominciavo a osservare chiunque mi capitasse a tiro. Seguivo attentamente con lo sguardo i suoi movimenti, provavo a leggere le sue labbra, vedevo come interagiva con gli altri, lo analizzavo da cima a fondo, cercando di capire che tipo di persona potesse essere e che cosa facesse nella vita. Coglievo ogni particolare, cercavo qualsiasi indizio, utile, che mi aiutasse a scoprire la sua identità, poi, magari mi sbagliavo.

Improvvisamente, un tipo catturò la mia attenzione; un uomo minuto, magro, capelli scuri, trasandato, veniva verso di me. Mi sorrideva. Lo salutai con un cenno della mano. Quando era ormai vicino, ne rimasi colpito. L’uomo che avevo di fronte era identico a me. Eravamo due gocce d’acqua. Com’era possibile? Non avevo fratelli. Così credevo, i miei genitori mi avevano mentito? Avevo un fratello gemello, ed io non lo sapevo?

- Buongiorno, Guido, sorpreso? Il tuo sguardo non mente…

Più che sorpreso ero stupito. Lo sconosciuto non solo era identico a me ma conosceva perfino il mio nome. Sapeva chi fossi. Invece, non potevo dire di non averlo mai visto, dato che era uguale a me, però non lo conoscevo. Accennai ad un breve sorriso con le labbra. Era una situazione alquanto bizzarra.

- Buongiorno a lei, ci conosciamo?
- Non credo ma abbiamo molto in comune.
- Che io sappia non ricordo di avere un fratello, gemello per di
più! I miei, poi, non mi hanno mai parlato di lei.
- Normale, non siamo fratelli!
- Allora perché siamo così…
- Identici?
- Esatto!
- Caffè?
- Non saprei, mia moglie e i ragazzi mi aspettano a casa, oggi
abbiamo ospiti.
- Su, via, mi segua, non le farò perdere molto tempo. Le spiegherò
tutto davanti ad una bella tazza di caffè.

Mi interruppe immediatamente senza darmi il tempo di pensare al da farsi. Inizialmente ero perplesso, poi divenni piuttosto curioso. Volevo capire e allo stesso tempo trovare spiegazioni al mio caso. Si, perché di un caso straordinario si trattava. Chi era quest’uomo? Perché mi conosceva? E soprattutto, perché eravamo identici in tutto?

Al bar del parco.

Eravamo seduti al tavolo di fronte ad una tazza di caffè. Ci osservavamo scrupolosamente. Perfino l’espressione del viso, la fossetta sul mento e il movimento del sopracciglio erano identici al mio. Eccezionale! Nel mondo esisteva qualcuno identico a me ed io non lo sapevo! Ero di fronte ad una scoperta sensazionale.

- Mi devi scusare, Guido per i modi con cui ci siamo incontrati ma
credo che sia arrivato il momento di scoprire le carte.
- Cosa vuoi dirmi che io non so? Non mi hai ancora detto il tuo nome
e anche se siamo identici, noi due, non siamo fratelli. Giusto?
- Si, non siamo fratelli anche se potremmo definirci tali. Anche io
mi chiamo Guido, proprio come te perché io sono te e tu sei me, il
Dna non mente!

Alle sue parole seguì un mio lungo silenzio. Ero confuso, non riuscivo a trovare le parole giuste.

- Clonazione? Non ti dice nulla, caro Guido?
- Clonazione…non capisco…
- Su, non fare l’idiota!
- Cosa vuoi dirmi? Parla!
- Io sono il vero Guido e tu sei il mio clone. Posso dire di essere
stato molto bravo con te. Sei un esperimento perfettamente
riuscito. Il più grande risultato di tutti i tempi!
- Sono il tuo clone?
- Esatto!
- Non capisco.
- Mi dispiace. Lo so, è dura per te apprendere la verità. Poi, in
questo modo, all’improvviso. Mi dispiace davvero, non volevo
ferirti.
- Beh, ci sei perfettamente riuscito! Perché mi hai fatto questo?
Non sei mica Dio? Non posso crederci, hai clonato un essere umano
violando ogni protocollo ufficiale. Sei un bastardo, Guido! Sei un
fottuto bastardo!

Ero disperato, e anche se non volevo crederci, l’uomo che avevo di fronte diceva la verità. Non avevo bisogno di prove, mi bastava guardarlo negli occhi per capire che non mi stava mentendo. Era evidente, e le persone che erano al bar con noi in quel momento potevano pensare che eravamo due gemelli omozigoti che chiacchieravano o perché non si vedevano da molto tempo o perché erano lì solo per passare un po’ di tempo insieme. Non potevano mai immaginare che uno di noi due era il clone dell’altro.

- Ti ho clonato perché mi ero reso conto di non avere più tempo per
me. Lavoro e famiglia. Ero sotto pressione in quel momento della
mia vita. Ricordi l’incidente? Sono stato io a provocarlo. Nella
confusione generale, tu hai preso il mio posto. Tu non sei solo il
mio clone, sei stato programmato per comportarti come me. Per
pensare come me, per avere i miei stessi ricordi e provare le mie
stesse emozioni.
- Sono una macchina, allora?
- Assolutamente no! Con l’aiuto di amici esperti in robotica, ho
implementato nella tua testa un microchip, contenente i ricordi
della mia vita, che interagisce con la tua massa cerebrale. Ti ho
educato ad essere me stesso perché nessuno, ne tanto meno Manuela
e i ragazzi, potessero in qualche modo avere dei sospetti. Il
microchip contiene i miei pensieri e i miei ricordi fino al giorno
dell’incidente. Dopo le nostre strade si sono divise. Tu hai
seguito la vecchia strada con successo, vedo. Io ho intrapreso una
strada nuova credendo fosse quella giusta. Mi sbagliavo. Volevo
più tempo per me e non potendolo avere mi sono clonato. In questi
due anni ho viaggiato molto, mi sono documentato, ho studiato ma
ho capito che mi mancava la mia vita. Mi mancava il mio
laboratorio e soprattutto avevo nostalgia della mia famiglia. Mi
mancavano le carezze di mia moglie. In altre parole, rivoglio la
mia vita!
- Se quello che dici è vero, tu mi hai messo al mondo, e hai
programmato la mia vita senza chiedermi se ero d’accordo con te. E
adesso la rivuoi, brutto bastardo! Sei scappato via come un
codardo abbandonando tua moglie e i tuoi figli. Io invece mi sono
occupato della tua famiglia. Io sono il Guido originale! Mi
dispiace ma non sono disposto a rinunciare a loro. Tu hai
sbagliato e tu devi pagarne le conseguenze!
- Ti sbagli, io rivoglio la mia vita. Sono disposto a venirti
incontro. Ho già pensato a tutto. Conosco molti amici disposti ad
aiutarmi. Ti darò una nuova identità e un nuovo lavoro. Avrai una
nuova esistenza.
- Non voglio! Io sono Guido Aloi. Io sono stato al fianco di tua
moglie in questi due anni. Dove eri quando Giulia e Luca avevano
bisogno di te? Non c’eri. Io ero qui con loro. Non basta offrirmi
una nuova identità, non mi vendo per così poco perché non posso
rinunciare al loro amore. È tutto per me. Mi dispiace.
- Io posso distruggerti in qualsiasi momento. Il microchip
impiantato nel tuo cervello è collegato al mio portatile. Ho
registrato tutti i tuoi spostamenti, tutta la tua vita è raccolta
in un archivio, le tue emozioni e i tuoi sogni sono dentro il mio
hard disk! La tua vita non ha segreti per me. Mi basta premere un
pulsante per distruggere ogni tuo ricordo.
- Quindi, sono una macchina, in fondo mi puoi riprogrammare in
qualsiasi momento… Potrei essere chiunque tu voglia anche se io
non lo volessi. Sei un bastardo, Guido! Come hai potuto farmi
questo! Però, su una cosa ti sbagli, puoi manipolarmi a tuo
piacimento ma resto pur sempre un essere umano. Provo emozioni: mi
sento vivo perché posso innamorarmi. Se non ne fossi stato capace
non avrei mai potuto amare Manuela. Si, perché il sentimento che
provo per lei è vero, non può essere frutto del tuo ingegno. Il
microchip può costringermi a comportarmi come te, ma non sarò mai
te. Come hai detto, ad un certo punto le nostre strade si sono
divise. Tu hai abbandonato Manuela, io le sono rimasto vicino
perché l’amo. Tu, invece, hai preferito andartene. Sei egoista,
pensi solo a te stesso!

Piansi. Sapevo che, da quel momento in poi, la mia vita non sarebbe stata più la stessa. Avevo solo due possibilità, accettare la proposta del mio creatore o escogitare qualcosa per riappropriarmi della mia vita. Adesso provavo solo odio per quell’uomo. Lo disprezzavo così tanto da desiderare la sua morte. Si, lo volevo morto perché solo così potevo difendere la mia famiglia. Manuela e i ragazzi erano la mia famiglia. Ero geloso di loro. Io ero la loro guida e nessuno aveva il diritto di portarmeli via.

Passato lo sgomento, mi lasciai andare. Ero rilassato, mi sentivo sollevato, la mia mente era adesso libera di escogitare un piano o piuttosto la via di uscita da quella situazione ambigua o la via di fuga dalla realtà. Avevo deciso in quello stesso momento che io sarei stato per sempre Guido Aloi.

- D’accordo, accetto la tua proposta a patto che sia io a scegliere
la mia nuova identità.
- Mi sta bene.
- Domani ti farò sapere. Dimmi dove ci dobbiamo incontrare.
- Al bosco, alle ventidue.

Ritornai a casa sereno e sicuro di me come non lo ero mai stato prima d’ora. Sembrava che il tempo si fosse fermato invece erano passate solo due ore dall’incontro con il mio creatore. Si, perché lui per me era il mio creatore e allo stesso modo il mio padrone. Era proprietario della mia esistenza, per questo doveva morire. Tornai a casa assetato di vendetta. Volevo che fosse già domani per stringergli il collo con le mie mani, soffocarlo con tutte le mie forze. Così potevo tornare ad essere libero. Il bosco era il posto ideale per nascondere il suo cadavere e così nessuno poteva reclamare il suo corpo perché, io, il suo clone, ero lui. Nessuno poteva dubitare di me. Per la società non cambiava nulla perché, io, Guido Aloi, ero ancora vivo. Così agendo, potevo riprendermi il mio posto nel mondo.

A casa mia.

- Ciao, caro, tutto bene?
- Si, Manuela. Non poteva andare meglio di così. Mentii.

La baciai.

- A cosa devo questo bacio? Era da un po’, quasi non ci speravo più.
- Ti amo. Non dimenticarlo mai. A volte posso sembrare distaccato ma
non è così, credimi.
- Lo so. Stiamo insieme da tanto tempo ormai, ti conosco così bene!
Ti amo anch’io.

L’abbracciai intensamente. Ero felice di vederla. Ero felice di sentire il suo profumo e di incrociare il suo sguardo. Ero felice di stare insieme a lei. Andai a dormire presto quel giorno, dovevo essere in forma l’indomani.

Il giorno dopo mi preparai per andare al lavoro. Mi comportai come se nulla dovesse accadere. Era un giorno epico per me. Ero disposto a tutto pur di difendere il mio mondo. Ero una bestia ferita e come tale mi stavo comportando. L’istinto animale aveva preso il sopravvento sulla ragione. Vedevo le lancette dell’orologio scorrere, il tempo stringeva sempre più. Le mie pulsazioni aumentavano. Era giunta l’ora. Presi l’Audi e mi recai all’appuntamento.

Al bosco, in periferia.

Il bosco di sera era silenzioso, potevi ascoltare il fruscio del vento e sentire il rumore dell’erba che calpestavi. Era abbandonato e lontano dalla città, il posto perfetto per chi voleva fermarsi a pensare o meglio ancora commettere un omicidio.

- Buonasera, Guido.
- Buonasera a te, piuttosto.
- Allora, siamo da’accordo su tutto.
- Non ricorderò più nulla, vero?
- Meglio, ti sentirai rinascere.

Il dr.Guido Aloi, aveva in mano il suo portatile e la mia nuova identità. Il mio futuro era lì che mi aspettava. Ebbi un momento di incertezza perché non ero un assassino. Un bagliore di luce improvviso mi accecò per un attimo, e fu in quel momento che vidi il volto di Manuela. L’insicurezza svanì, e tutto divenne più chiaro. Mi avvicinai a lui, per prendere i miei nuovi documenti, e in quel momento con un calcio feci volar via il suo portatile. Poi con un balzo felino lo spinsi giù per terra. Lui, era lì disteso che mi guardava, quasi, incredulo. Non aveva mai pensato che potevo ribellarmi al mio destino. Seguì una breve colluttazione prima che gli afferrassi il collo con le mie mani. E anche se lui, con lo sguardo, sembrava che mi implorasse di non farlo, strinsi così forte da togliergli subito il respiro. La sua fu una resistenza inutile.

Per un po’ guardai il mio creatore privo di vita disteso per terra. Il suo sguardo era perso nel vuoto, il suo viso riportava i segni della lotta. Era come se mi vedessi allo specchio ma ad essere morto era lui e non io. Era tutto finito, la mia esistenza era salva. Benché, avessi appena ucciso un uomo, non provai alcun rimorso.

Dopo aver sepolto il suo corpo, tornai alla mia vita di sempre.

Autore: jolly76

Sono nato a Bari. Amo leggere libri di ogni genere. Amo scrivere... Accetto le critiche...

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