MITO e STORIA http://lnx.storydrawer.org/mariapace Storia, miti e leggende di tutto il mondo e di ogni epoca - Libri - Racconti e Romanzi - Fri, 29 Mar 2019 17:20:58 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=3.9.40 ANTICO EGITTO – La schiavitù in Egitto http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2019/03/29/antico-egitto-la-schiavitu-in-egitto/ http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2019/03/29/antico-egitto-la-schiavitu-in-egitto/#comments Fri, 29 Mar 2019 17:20:58 +0000 http://lnx.storydrawer.org/mariapace/?p=867
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Il falso storico più eccellente della Storia dell’uomo è senza dubbio la schiavitù in Egitto. La schiavitù degli Ebrei. Si legge nella Bibbia – Esodo
“Torme di schiavi assetati muovono giganteschi blocchi di pietra e schiene annerite dal sole e piagate dalle fruste si curvano nello sforzo immane; talvolta qualcuno cade sfinito dalla fatica per non rialzarsi mai più, mentre le gigantesche piramidi vengono innalzate lentamente…” e ancora:
“Vi sottrarrò ai duri lavori di cui vi gravano gli Egiziani, vi emanciperò dalla loro schiavitù”
Per secoli e generazioni si è prestato fede a questi “equivoci” E come sottrarsi a questa “verità”? Sulla Bibbia si giurava e da qualche parte si giura ancora. Da sempre si è creduto ed è stato fatto credere che la società egizia fosse una società schiavista: proveniva da libri, testi scolastici, incontri religiosi e da qualunque altra fonte.
I nostri occhi si sono riempiti di scene di sadismo e crudeltà, quelle riportate dalle illustrazioni di libri, da quadri di famosi pittori, film hollywoodiani e i nostri cuori si sono riempiti di compassione e di furore. Sprecata la prima, ingiusto il secondo.
Ma su che cosa ha fatto affidamento l’uomo comune, ma soprattutto lo storico e lo studioso, per così lungo tempo, nel sostenere questa affermazione? Su un libro che racconta che l’uomo è stato creato con un pugno di terra e che parla di un certo Giosué che ferma il sole con un gesto e un ordine.
Si riuscirà mai a rendere giustizia ad uno dei popoli antichi più civili, ma vilipeso ? Sono in molti a credere ancora che davvero Giosuè abbia comandato al Sole di fermarsi e che in Egitto davvero esistesse la schiavitù.
Oppure non sappiamo che cosa significa il termine schiavitù? Ecco cosa recita il dizionario: ” Condizione di chi è giuridicamente considerato come proprietà privata e quindi privo di ogni diritto umano e completamente soggetto alla volontà e all’arbitrio del proprietario.”
Senza addentrarci nella questione sotto l’aspetto antropologico o giuridico, una cosa la possiamo affermare, riguardo gli schiavi ebrei in Egitto: se uno schiavo forniva il lavoro senza trarne compenso alcuno, come potevano possedere… e ne possedevano, dice la Bibbia… beni e perfino servi?
Forse la risposta c’è! Forse perchè il lavoro di quegli “schiavi” era compensato da una retribuzione, un salario. Non solo. Quel lavoro era anche “tutelato” da un contratto: un contratto di lavoro. Non certo come quello dei giorni nostri. Diverso.Come diverso è il nostro concetto di “schiavo” rispetto a quello dell’antichità.
Mai, nell’Antico Egitto, proprio in quello più remoto, gli uomini furono considerati e trattati come merce che si potesse acquistare o vendere. Per indicarli, il termine era “hem”, che significa servo. I lavoratori, semplici operai oppure personale qualificato, beneficiavano perfino di assistenza medica.
C’erano, poi, altri lavoratori, nella qualità di prigionieri di guerra o di altra condizione che pestavano gratuitamente il loro lavoro e questi sono fatti assodati. Ma non era di certo una condizione che potesse chiamarsi schiavitù e la società non era certo schiavista. Si sa, invece, che questa seconda categoria di lavoratori, i servi., finivano sempre per integrarsi nella società stessa.
Che fossero mano d’opera o tecnici qualificati, gli operai beneficiavano di un contratto di lavoro e di un salario corrispondente alle loro competenze.
Varia la documentazione che riporta lamentele per mancato pagamento della retribuzione, per la richiesta di permessi e altro ancora, tutte situazioni assolutamente incompatibili con uno stato o condizione di schiavitù. In un papiro si parla addirittura di un operaio che chiede un permesso per curare l’asino ammalato e di un altro che chiede un alloggio più confortevole per la moglie che ha appena partorito.
A diffondere la diceria che la costruzione delle Piramidi si deve solo al lavoro degli schiavi, furono, soprattutto storici greci, come Erodoto…che però parlavano di qualcosa accaduto due mila anni prima. Oggi sappiamo che a costruire templi e palazzi non furono schiavi, ma lavoratori regolari, artigiani e contadini e personale qualificato, che percepiva un salario in natura corrispondente al lavoro ed alla qualifica.
Quanto agli ebrei costretti a lavorare sotto la sferza di capomastri sadici ed aguzzini, mentre alle spalle la Piramide lentamente si innalzava, è assolutamente falso: gli ebrei sono entrati in Egitto in epoca assai posteriore. Presumibilmente durante la XII Dinastia, come molti Asiatici,. Entrarono in massa, e come gli altri asiatici, inizialmente lavorarono come manodopera a buon mercato; in seguito riuscirono anche ad occupare mansioni di responsabilità. L’episodio di Giuseppe ne è uno degli esempi più lampanti.
A causa della loro mentalità e religione, assai diverse da quella degli egizi, non si inserirono mai nella società del paese che li ospitava. Erano arrivati bisognosi e quando non ci fu più bisogno, decisero di lasciare il Paese che li aveva ospitati. Probabilmente non onorando quei contratti di lavoro che avevano stipulato, che li faceva sentire schiavi perchè costretti ad un lavoro che non desideravano più fare. Questo ai tempi del faraone Ramesse II e di suo figlio Merempthha,.
E allora, chi erano i lavoratori “ebrei” citati nella Bibbia, costretti a lavorare alle Piramidi? Probabilmente popolazioni nomadi asiatiche che si spostavano lungo i confini egizi e che talvolta sconfinavano prestando occasionalmente la loro opera. Non è a questo tipo di prestazione, però, che si riferisce la documentazione egizia che ci è pervenuta, dove non si fa mai cenno a “schiavi” nella costruzione di templi e palazzi e monumenti, bensì ad una prestazione volontaria della popolazione, soprattutto contadini, durante il periodo di inondazione. Tre mesi, per la verità. Un obbligo per tutta la popolazione.
Assodato che la schiavitù, intesa come assenza totale di diritti legali, non esisteva in Egitto, quale era la condizione di coloro che occupavano l’ultimo grado della piramide sociale? Erano uomini e donne, spesso prigionieri di guerra o persone estremamente indigenti, privati della libertà, che si occupavano dei lavori più umili, ma che si vedevano riconosciuti i diritti più elementari.
Il loro status naturalmente mutò con il tempo. Così, nell’antico Regno, nell’epoca della costruzione delle piramidi, il lavoro era volontario, fatta eccezione dei pochi prigionieri di guerra, di razza libica e nubiana.
I primi “schiavi”comparvero durante il primo Periodo Intermedio, in arrivo dai mercato asiatici di schiavi, ma si dovette aspettare il Medio Impero per vedere le prime leggi in favore degli schiavi:con la disgregazione dello Stato Faraonico e il potere quasi illimitato dei funzionari di stato, sicuramente si verificarono degli abusi.Si comincia a parlare apertamente di schiavi, solo con la fine di questo periodo, ma un vero concetto di schiavitù lo si accettò solo con il Nuovo Impero. In questo periodo, infatti, affluì nel Paese una massa di prigionieri i quali col tempo si integrarono divenendo ad ogni effetto membri della società del Paese che li ospitava.
In quest’epoca, tutte le classi sociali potevano avere schiavi.

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LA MALEDIZIONE dei FARAONI http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2015/01/24/la-maledizione-dei-faraoni/ http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2015/01/24/la-maledizione-dei-faraoni/#comments Sat, 24 Jan 2015 04:25:23 +0000 http://lnx.storydrawer.org/mariapace/?p=861
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Qualcuno crede ancora nella “Maledizione dei Faraoni”? Probabilmente sì!
C’è qualcosa di vero? Naturalmente no!
Come e quando è sorta questa leggenda? Che cosa l’ha alimentata così a lungo?
Tutto cominciò quando l’archeologo inglese Haward Carter scoprì la tomba del celeberrimo faraone Thut-ank-Ammon, durante una spedizione archeologica finanziata dal magnate americano Carnarvon.
Rimanderemo ad altra occasione la straordinaria e clamorosa scoperta di questa tomba e resteremo nell’ambito della più colossale “bufala” (così la chiameremmo oggi), architettata ad arte per sfruttare un’inaspettata ingenuità, dilagante nel momento intero.

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Innanzitutto bisogna riconoscere l’uso che nel Mondo Antico si faceva di formule di maledizione per colpire o annientare un nemico. (uso che purtroppo persiste ancor oggi: basta seguire qualche programma televisivo)
Una delle forme più comuni di Maledizione, presso l’antico popolo egizio, era quello di scrivere una formula magica su un vaso o un coccio, facendola seguire dal nome del malcapitato: una formula con cui, naturalmente, si augurava ogni sorta di sciagura. Nel corso di una cerimonia si mandava in frantumi il vaso, accompagnando l’atto con le Parole Magiche: le He-kau.
Studiosi ed archeologi moderni, sia quelli seri, sia quelli che seri non erano affatto, conoscevano perfettamente l’uso di quelle pratiche.
Una di queste tavolette maldicenti fu trovata da un assistente di Carter. Fu dapprima catalogata come tutti gli altri reperti, ma in seguito, ripulita del terriccio, venne decifrata.
I geroglifici recitavano così:
“la morte colga con le sue ali
chiunque disturberà il sonno del Faraone.”
Fra il personale addetto agli scavi si diffuse un’immediata inquietudine: consapevoli delle paure ancestrali degli uomini del posto (manovali, sterratori, portatori) in primo momento si cercò di tenere segreta la notizia di quel ritrovamento e si fece perfino scomparire il reperto. Ancora oggi non si sa dove sia… né se sia davvero esistito.
Si trattava, però, di una notizia davvero ghiotta; impossibile da nascondere. Non passò molto tempo, perciò, prima che arrivasse a gente di pochi scrupoli e con conoscenze archeologiche e scientifiche praticamente nulle: avventurieri, truffatori e, immancabilmente, esoterici.
Quasi ad avvalorare le teorie di costoro, che sostenevano l’esistenza di una “maledizione”, una seconda iscrizione maldicente comparve all’interno della camera principale del sepolcro e recitava pressappoco così:
“Io respingo i ladri di tombe
e proteggo questa hut-ka (sepolcro)”
La notizia fece il giro del mondo e la leggenda della “Maledizione di Thut-ank-Ammon” ebbe inizio.
Come resistere a quell’affascinante storia di fantasmi e mistero?
Tredici, delle ventidue persone che componevano la Spedizione-Carter, persero la vita, si disse. Si disse e si ripeté per anni in tutto il mondo e in tutte le lingue, alimentando una superstizione che aveva il fascino del più profondo mistero. Si alimentarono ad arte un’inquietudine ed una paura sempre crescenti.
“Chiunque entri a contatto – si diceva – con la tomba del faraone Thut-ank-Ammon, resta vittima della sua Maledizione.”
Quel che si ometteva di dire, però, era il fatto che tutte quelle morti erano spiegabili, perché provocate da fattori naturali (cattiva igiene, malaria, morsi di serpenti, ignoranza). E si omise di precisare che molte di quelle morti erano avvenute in tempi molto successivi e per cause tutt’altro che misteriose.
La leggenda della Maledizione, però, era estremamente affascinante e quel fascino catturava molti… Troppi, forse. Catturò letteratura e cinema. Soprattutto il cinema, che girò una pellicola dal titolo suggestivo: “La Mummia”, che fece da battistrada ad un filone di genere nuovo e accattivante: il “fantasy”.
Cos’è, dunque, la “Maledizione dei Faraoni”?
Gli studiosi conoscono perfettamente la profonda religiosità dell’antico popolo egizio: religiosità permeata di magia e superstizione, prodigi e misteri.
Una elite di persone, però, si staccava dalla moltitudine e nella misura in cui la Conoscenza cresceva (Scienza, Astronomia, Matematica, Medicina, Architettura, ecc) crescevano anche il loro sapere e il divario con un popolo lasciato nell’ignoranza. ( come in tutte le culture, naturalmente. Non esclusa la nostra)
Gli studiosi moderni conoscono anche lo sforzo costante degli antichi Sacerdoti egizi per proteggere le tombe da profanatori e saccheggiatori, in azione fin dai tempi più remoti. ( la tomba di Thut, ad esempio, fu violata durante il primo anno successivo alla sua morte).
Congegni, trabocchetti, trappole: nulla di tutto ciò avrebbe tenuto lontano ladri audaci e con nulla da perdere.
Una sola forza poteva trattenerli e fermarli. I Sacerdoti egizi la conoscevano bene: la paura. La paura alimentata ad arte dalla superstizione; la paura dell’inspiegabile e dell’ignoto. In altre parole: la paura di una “maledizione”.
Per farlo, però, bisognava rendere credibili ed efficaci le minacce di una “maledizione”.
Quali mezzi avevano, gli antichi Sacerdoti egizi, per farlo? Possedevano conoscenze scientifiche e tecniche totalmente ignote al popolo e che custodivano assai gelosamente.
Un esempio? Gli antichi Sacerdoti egizi conoscevano gli effetti (ignorandone la causa) di sostanze radioattive come il radio o l’uranio; soprattutto quest’ultimo, che trovavano in profondità nelle miniere d’oro, (profondità in cui erano mandati a lavorare i condannati… soprattutto di reati gravi) . Conoscevano le proprietà allucinogene o letali di certe piante e sostanze: oppio, aconito, cicuta, arsenico, i cui fiori dai petali colorati rallegravano i famosi “giardini di Hathor”… e non solo quelli.
Nessun congegno, per quanto pericoloso, poteva essere efficace quanto un’allucinazione o una morte inspiegabile. Se ancora oggi esistono persone ingenue che credono nelle maledizioni e si affidano a responsi, (lo attesta la numerosa clientela di santoni, veggenti e chiromanti) come stupirsi che in un passato così remoto ne fosse vittima gente ignorante e superstiziosa?
Ed ecco la domanda cruciale: che cos’è, in realtà, la famosa “maledizione dei Faraoni”?
Sono le conoscenze scientifiche e tecniche che gli Antichi Egizi possedevano e mettevano in pratica per proteggere le loro tombe. Sone le misture di allucinogeni dei colori utilizzati nelle pitture murarie… sono gli oggetti resi radioattivi e poggiati in bella mostra, che toccati o portati via potevano condurre ad una misteriosa e sono accorgimenti di tale tipo
Com’è nata, in tempi moderni, quella leggenda?
Nacque dall’incredibile interesse mondiale sorto intorno a quella tomba, la più ricca mai scoperta prima, e fu alimentata da una stampa irresponsabile e da fantasiosi narratori, i quali cavalcarono l’emotivita, l’ignoranza e quell’inconscio desiderio di favole che è in fondo allo spirito di ognuno di noi. Esoterici e pseudo-studiosi fecero il resto, proponendo le più stravaganti ed improbabili fantasie e spacciandole per teorie che… se non sbaglio, sono cose che vanno dimostrate.
La “maledizione dei Faraoni” non è neppure una teoria, ma solo una fantasia per tutti quelli che credono in questo genere di favole.

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DUNE ROSSE http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2015/01/22/dune-rosse/ http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2015/01/22/dune-rosse/#comments Thu, 22 Jan 2015 17:14:14 +0000 http://lnx.storydrawer.org/mariapace/?p=859
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Il mitico mondo di Maria P
“DUNE ROSSE” – Saga avvincente ambientata nel posto più inospitale ed affascinante dl pianeta
“DUNE ROSSE”

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di Maria PACE
su AMAZON

Amore e passione – Avventura e Azione – Storia e consuetudini… una avvincente ed appassionante Saga ambientata nel posto più straordinario, affascinante ed inospitale del nostro pianeta. –
I primi due volumi
“DUNE ROSSE – Il Rais dei Kinda”
“DUNE ROSSE – Fiamme sul Deserto”

Seguiranno:
“DUNE ROSSE – Il Vascello Fantasma”
“DUNE ROSSE – L’Avvoltoio lasciò il nido”
PRESENTAZIONE
Il forte interesse e la grande ammirazione verso tutto ciò che era Orientale, creò nel XIX° secolo uno dei capitoli più complessi della storia intellettuale europea. Si trattò di un fenomeno assai diffuso a causa dello spiccato interesse per tutto quanto fosse orientale e per alcune caratteristiche in particolare: l’arte, la falconeria, i divertimenti (soprattutto danza del ventre).
Si giunse perfino a deporre l’abito europeo per preferire quello orientale. Molte personalità lo fecero: il pittore David, l’archeologo Belzoni, l’avventuriero Laurence d’Arabia, per citarne solo alcuni.
Si trascurarono, però, alcuni degli aspetti fondamentali di quella cultura; a volte si finì anche per ironizzarne.
Mancò spesso il rispetto per una cultura considerata piuttosto folkloristica e quel che è peggio, si trascurò la condizione assai precaria che la donna ricopriva in quella società.
Ossessione per una terra ed una cultura che, in fondo, non si conosceva affatto, ma che spinse tanti europei a travestirsi da arabi…
Nelle vicende narrate in questa che è una saga tribale, non si incontreranno solo figure storiche realmente esistite, ma anche personaggi partoriti dalla fantasia.

Che sapore hanno l’amore e la passione?… il sangue e l’odio? Nel posto più straordinario, affascinante e inospitale del nostro pianeta, i sentimenti non sono gli stessi che in altre latitudini… qui il sangue scorre nelle vene come liquido fuoco vivo.
Amore e passione, guerre tribali, razzie, intrighi e misteri, azione, avventura, fantasia, qui, hanno spazi infiniti… Storia e consuetudini.
Uno struggente sentimento lega Rashid, il Rais più temuto d’Arabia, alla principessa Jasmine, ma il suo tutore, il sultano-usurpatore di Doha la promette in sposa ad un uomo dal torbido e misterioso passato. Jasmine, cui è stato fatto credere che l’uomo che ama è responsabile del massacro della sua gente, fugge attraverso il deserto, adottando un travestimento che la rende irriconoscibile.
Si inserisce in queste vicende, la tenera e tormentata storia d’amore dello sceicco Harith per la bellissima Letizia e l’amore proibito di sir Richard lord inglese, per l’indiana Zaira.

Per chi volesse acquistarli:
Dune Rosse: Fiamme sul Deserto (Volume 2) (Italian Edition) (Italian)Paperback – December 24, 2014
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Dune Rosse: Il Rais dei Kinda (Volume 1) (Italian Edition) (Italian)Paperback – Large Print, November 15, 2014
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La Leggenda di CRIMILDE e SIGFRIDO http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2014/07/30/la-leggenda-di-crimilde-e-sigfrido/ http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2014/07/30/la-leggenda-di-crimilde-e-sigfrido/#comments Wed, 30 Jul 2014 08:00:31 +0000 http://lnx.storydrawer.org/mariapace/?p=826
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La leggenda di Crimilde e Sigfrido
Questa storia fa parte della mitologia nordica del popolo dei Nibelunghi. Inizia quando l’eroe Sigfrido giunge alla corte del Re dei Burgundi.

Sigfrido è un grande eroe, che ha compiuto grandi imprese: ha combattuto, vinto e ucciso il drago… nel cui sangue si è bagnato rendendosi invulnerabile, salvo una spalla su cui si era posata una foglia.
Ha conquistato la Spada Magica, la cui lama uccide al solo tocco ed ha ricevuto in dono da una maga un anello che moltiplica le forze.
Riesce anche a salvare la Valchiria Brunilde, vergine-Guerriera inviata da Odino, Padre degli Dei, a scegliere eroici guerrieri morenti da condurre nel Walhalla, dimora degli Dei.
Brunilde e Sigfrido finiscono per innamorarsi, ma il cattivo mago Hagen, con una pozione magica, fa infiammare il cuore dell’eroe per Crimilde, sorella di Gunther, re dei Burgundi, a cui Sgfrido consegna la bella Brunilde.
Furente, ma sempre innamorato del suo eroe, Brunilde è rosa dalla gelosia: Sigfrido e Crimilde sono molto felici e lei per vendicarsi del tradimento di Sigfrido, rivela ai suoi nemici il solo punto vulnerabile del suo corpo.
Responsabili della morte di Sigfrido, con una freccia scagliata in quel solo punto vulnerabile, sono il mago Hagen e lo stesso re Gunther, i quali vogliono impadronirsi del tesoro che l’eroe aveva sottratto al drago.
Brunilde, apprendendo del filtro magico, rosa dal rimorso, si getta sulla pira su cui Crimilde aveva fatto adagiare il cadavere dell’eroe.
La vendetta di Crimilde, invece, fu tremenda e seguiva un ben preciso disegno.
Si concesse come moglie ad Attila, Re degli Unni e si fece giurare che l’avrebbe assistita nella vendetta contro la propria famiglia.
La nuova Regina degli Unni invitò a corte il fratello Gunther con il suo seguito di nobili e cavalieri e il mago Hugen. Offrì loro un sontuoso banchetto, chiedendo, però, di lasciare le armi fuori del grande salone.
Crimilde chiese ai fratelli di consegnarle il mago Hagen, ma costoro si rifiutarono, poiché il mago era il solo a conoscere il posto, nel Reno, in cui Sigfrido aveva sepolto il suo tesoro.
Per ottenere quel tesoro, fa sapere il mago, nessuno del popolo dei Burgundi dovrà essere ancora in vita.
Crimilde non ebbe esitazioni e chiese da Attila, che non aspettava altro, lo sterminio della sua gente e dell’odiato mago Hagen, che si consumò durante quel banchetto fatale.

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SIGFRIDO e… il tesoro dei Nibelunghi http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2014/07/30/sigfrido-e-il-tesoro-dei-nibelunghi/ http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2014/07/30/sigfrido-e-il-tesoro-dei-nibelunghi/#comments Wed, 30 Jul 2014 07:55:48 +0000 http://lnx.storydrawer.org/mariapace/?p=819
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Sigfrido e il tesoro dei Nibelunghi

E’ l’eroe per eccellenza della mitologia germanica.
Allevato da Ragin, il fabbro, Sigfrido crebbe forte, coraggioso e di bellissimo aspetto. Ancora giovanissimo, il suo maestro lo spinse verso la sua prima impresa: la conquista del tesoro dei Nibelunghi, il mitico popolo dei Nani. di cui faceva parte lo stesso Ragin.
Questo tesoro era appartenuto a Hreidhmar, il padre di Ragin che Fafner, l’altro figlio, aveva ucciso per impadronirsene e dividerlo con il fratello.
Al momento della spartizione, però, Fafner si rifiutò di consegnare al fratello la sua parte, nascose il tesoro e in sembianze di un drago si pose di guardia.
Armato di una magica spada forgiata da Ragin, il suo maestro, Sigfrido affrontò il drago e lo uccise, poi si bagnò nel suo sangue per diventare invulnerabile.
Una foglia, però, si pose sulla sua spalla sinistra, che divenne il punto vulnerabile di tutto il corpo.
Compiuta l’impresa, l’eroe nascose il tesoro in un posto sicuro lungo il corso del Reno, poi si pose in cammino per affrontare un’altra impresa.
Da un falco, l’eroe conosceva il linguaggio degli uccelli, apprese che Brunilde, una delle più belle Valchirie, era stata relegata da Odino, Re degli Dei, sulla vetta di un monte circondato di fiamme.
Sigfrido riuscì a liberarla e si innamorò perdutamente di lei; anche Brunilde era profondamente innamorata del bellissimo eroe e i due decisero di sposarsi.

Per la bella Valchiria, però, ardeva d’amore anche Gunther, Re dei Burgundi, un popolo guerriero di stirpe Vichinga, il quale invitò l’eroe a corte per una partita di caccia.
Gunther, però, mirava anche ad impadronirsi del tesoro nascosto e chiese al mago Hagen
di aiutarlo nell’impresa.
Il mago preparò un filtro magico che fece accendere d’amore il cuore di Sigfrido per la bella Crimildde, sorella di Gunther.
Sigfrido abbandonò Brunilde che convinse a sposare Gunther, poi convolò a nozze con Crimilde.
La bella Valchiria, però, umiliata e tradita, mise ben presto in atto la sua vendetta: rivelò al mago Hagen il punto vulnerabile dell’eroe e questi durante una partita di caccia lo colpì a morte.


Venuta a conoscenza della verità, Brunilde, sopraffatta dal dolore e dal rimorso, si gettò sulla pira che Crimilde aveva fatto preparare per Sigfrido.
Spietata, invece, fu la vendetta di Crimilde nei confronti degli assassini dell’amatissimo marito.
Diventata la sposa di Attila, re degli Unni, Crimilde invitò ad un banchetto suo fratello e il suo seguito e anche il mago Hagen poi chiese ad Attila, il quale non aspettava altro, di farne strage.

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OMBRE e GELOSIE http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2014/07/21/ombre-e-gelosie/ http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2014/07/21/ombre-e-gelosie/#comments Mon, 21 Jul 2014 07:35:48 +0000 http://lnx.storydrawer.org/mariapace/?p=813
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………Seduti in circolo a gambe incrociate nel grande piazzale davanti alla tenda di Rashid, tutta la tribù era presente per festeggiare il suo ritorno e quello della principessa Jasmine: bianchi mantelli, abiti sgargianti, pugnali, fucili e strumenti musicali; alle loro spalle la luna illuminava la sabbia.
Sir Richard, gambe incrociate, pugnale infilato alla cintola, parlava con lo sceicco Harith seduto alla sua destra. Parlavano dell’ultimo acquisto di armi, una mezza dozzina di fucili provenienti dall’Italia da pochi decenni riunita, precisamente da quello che il professor Marco Starti chiamava Stato Pontificio, cui qualche trafficante d’armi era riuscito a portar via.

A Sahab arrivavano armi da ogni parte d’Europa, come ad ogni altra tribù del deserto, le quali facevano affari con italiani, francesi, tedeschi e inglesi, naturalmente.
Harith mostrò il fucile che teneva in mano e sir Richard non riuscì a trattenere la mordace e pacata ironia di cui era dotato:
“Ecco una canna che è passata dal servizio di Cristo a quello di Allah!” disse, da buon miscredente qual era.
Si aspettava la replica, naturalmente, ma le note del tandir di Selima, la Favorta di Rashid, lo salvarono dall’imbarazzo.
“Oh, brava Selima. – esordì sorridendo Zaira – Allietaci con la tua musica… é dolce e malinconica, ma assai bella.”
Selima restituì il sorriso.

“E’ una melodia che mi ha insegnato Letizia. – spiegò – E’ il canto d’amore di una fanciulla che si strugge per un amore non corrisposto…”

Di fronte al lord inglese, dall’altro lato del circolo, Letizia appariva assorta e distante. Irraggiungibile; neppure il suono del suo nome parve scuoterla.

Aveva di fianco le due donne di Rashid: la principessa Jasmine a destra e Selima alla sinistra; di fronte, invece, sedevano Harith e Fatima. Parve scuotersi, infine e fece convergere lo sguardo sulle corde dello strumento nelle mani di Selima.

Sollevò il capo e lasciò vagare d’intorno lo sguardo, sulle note dolcissimamente malinconiche della musica, ma finì per naufragare in quello di Harith, scuro e penetrante, che la fissava con intensità tale da contrarle la carne e procurarle quello stato di gaudiosa e tormentosa eccitazione.
Si guardarono, con quella tenerezza e quell’amore potente come la forza di una tempesta di sabbia, ma lei si sottrasse subito a quel richiamo e spostò lo sguardo sulla donna seduta al suo fianco.

“E’ bella! – pensava – E’ grassa e opulenta come piace a loro… agli uomini… Come piace ad Harith… ”

Guardava la rivale; fissava la sua figura fin troppo opulenta che si perdeva nell’ombra di sete e damaschi e su cui, qua e là, al lume della luna balenavano discreti orecchini, collane e bracciali. E pensava, mentre la guardava, di non avere strumenti per contrastarne le segrete, sapienti insidie amorose di cui la supponeva maestra: dietro quel velo sapientemente calato sul viso, ne era certa, dovevano nascondersi fascini segreti e pratiche amorose per conquistare un uomo, che lei, però, non conosceva.

Fatima era la sola donna col volto velato; tutte le altre portavano solo un velo sui capelli. Fu per questo, forse, che con un gesto di ribellione se lo lasciò scivolare sulle spalle, mettendo in mostra la luminosità dorata dei lunghi capelli biondi e attirando immediatamente su di sé tutti gli sguardi e cogliendo fuggevolmente quello di disapprovazione di Harith, che lei continuava ostinatamente a sfuggire.

E intanto, quel tarlo, la gelosia, correva nel sangue e nelle vene e raggiungeva il cuore, sottile e penetrante, capace di rodere l’animo con un sol respiro.

Soffriva e la mente vacillava. Una sola cosa riusciva a pensare: appartenere a lui le era necessario e vitale più della vita stessa e non poté impedirsi di tornare a rituffare lo sguardo in quello di lui, nero e ardente, colmo di illusorie promesse. E d’improvviso, un piacere quasi folle la colse: la sensazione che anche lui soffrisse.

Dopotutto, c’era una certa “giustizia morale” nella sofferenza di lui, si disse. Ma poi, Fatima che gli si accostava e lui che si chinava verso di lei, riaccese la sua pena. Chiuse gli occhi e si attanagliò le mani intorno alle braccia premendo con forza e provando un piacere sadico nel conficcarsi le unghia nella carne per placare la pena dello spirito.

Quasi si stupì che qualcuno ridesse e scherzasse, proprio accanto a lei, ignaro della sua sofferenza: la principessa Jasmine protesa in avanti per dire qualcosa a Selima.
Letizia le guardò entrambe; le fissò stupita e interdetta… Gelose! Non erano gelose l’una dell’altra? Soprattutto Selima, per le attenzioni che Rashid riservava quasi esclusivamente alla principessa Jasmine.

E Jasmine? Non era gelosa di Selima?

Avevano la stessa età, lei e Jasmine e quando Harith la guardava con quello sguardo inafferrabile, all’inseguimento di pensieri audaci e proibiti che la riguardavano e la facevano arrossire, lei sentiva la propria carne contrarsi dal piacere e non avrebbe voluto vederlo guardare un’altra donna con quello stesso sguardo.

Rashid non aveva mai guardato Jasmine a quel modo? Non era mai balenato, nella mente di Jasmine, il pensiero che Rashid avesse guardato la sua Favorita proprio a quel modo, facendole sentire quello spasimo proibito e furtivo nel desiderare le sue carezze? Lei sì! Non poteva evitarsi di pensare alle mani dolcemente brutali di Harith mentre percorrevano il corpo di Fatima, così come aveva fatto con lei; alla presa intensa e dolce, tenera e predace con cui le faceva intendere che la voleva solo per sé, mentre lei non sopportava che lui potesse volere per sé anche Fatima.
I fuochi dei bivacchi, d’intorno, baluginavano; a spezzare il suo taciturno disagio arrivarono risate, voci e gridolini: un gruppo di ragazze con piatti fumanti e vassoi pieni di coppe e brocche.

Si alzò e andò loro incontro. Prese dalle mani di una delle ragazze un grosso piatto di terracotta contenente del cus-cus, e cominciò a distribuire, con gentilezza aggraziata, muovendosi agile nella tunica di seta blu-indaco.

Gridolini, bisbigli, risate, confusione e il tintinnio delle brocche che si toccavano e l’allegria che aveva conquistato tutti.

Tutti meno lei. Cominciò a servire quelli che stavano seduti alla sua sinistra; riempì per primo il piatto di Selima, poi passò ad Ibrahim, che con disinvoltura cominciò a frugare nel piatto, lasciandovi, però, i pezzi migliori.

Era la volta di Fatima, che sporse verso di lei la piccola mano grassoccia per afferrare dal vassoio e portarlo nel proprio piatto una polputa coscia d’anatra; la ragazza sollevò su di lei lo sguardo e le sorrise.

Letizia rispose al sorriso e mentre si rialzava sul busto e distrattamente lanciava un’occhiata sulla sinistra, il vassoio, semivuoto, le tremò in mano, tanto che dovette sorregerlo con entrambe: le mani di Fatima e di Ibrahim erano teneramente intrecciate.

Letizia impietrì e il senso di ingiustizia morale fece emergere dai meandri più profondi del suo intimo quel sentimento di velato rancore che, una volta innescato, era impossibile da dominare: Harith la preferiva ad una donna che lo tradiva con un altro!

(continua)

brano tratto dal libro IL RAIS – su AMAZON.it

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IL RAIS – Misteri d’Oriente http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2014/07/03/il-rais-misteri-doriente/ http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2014/07/03/il-rais-misteri-doriente/#comments Thu, 03 Jul 2014 12:10:37 +0000 http://lnx.storydrawer.org/mariapace/?p=791
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Il forte interesse e la grande ammirazione verso tutto ciò che era Orientale, creò nel XIX secolo uno dei capitoli più complessi della storia intellettuale europea.
Si trattò di un fenomeno assai diffuso a causa dello spiccato interesse per tutto quanto fosse orientale e per alcune caratteristiche in particolare: l’arte, la falconeria, i divertimenti (soprattutto danza del ventre).
Si giunse perfino a deporre l’abito europeo per preferire quello orientale. Molte personalità lo fecero: il pittore David, l’archeologo Belzoni, l’avventuriero Laurence d’Arabia, per citarne solo alcuni.
Si trascurarono, però, alcuni degli aspetti fondamentali di quella cultura; a volte si finì anche per ironizzarne.
Mancò spesso il rispetto per una cultura considerata piuttosto folkloristica e quel che è peggio, si trascurò la condizione assai precaria che la donna (salvo poche eccezioni) ricopriva in quella società.
Ossessione per una terra ed una cultura che, in fondo, non si conosceva affatto, ma che spinse tanti europei a travestirsi da arabi…

In queste vicende, infatti, non si incontreranno solamente figure storiche realmente esistite, ma anche personaggi partoriti dalla fantasia, perché il tema principale e:

AMORE – PASSIONE – FASCINO – AVVENTURA – AZIONE – MISTERO – FANTASIA – STORIA

la mia prima pubblicazione e-book su Amazon.it

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Lo stupro che affrettò la caduta della Monarchia di Roma http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2014/05/12/lo-stupro-che-affretto-la-caduta-della-monarchia-di-roma/ http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2014/05/12/lo-stupro-che-affretto-la-caduta-della-monarchia-di-roma/#comments Mon, 12 May 2014 15:52:44 +0000 http://lnx.storydrawer.org/mariapace/?p=778
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Lo stupro che contribuì alla caduta della Monarchia di Roma

Naturalmente, quell’atto di violenza su una donna fu solo la scintilla scatenante di un fuoco che bruciava sotto la cenere.
Come andarono i fatti e chi furono i protagonisti di quella tragedia?
Regnava Tarquinio il Superbo, uomo assai superstizioso, oltre che assai superbo. Un inquietante prodigio aveva sconvolto la superstiziosa corte etrusca: un enorme serpente era comparso nella Reggia, provocando scompiglio e terrore.
Il Re consultò maghi ed indovini, ma, alla fine, decise di inviare a Delfi, (dove sorgeva il Santuario di Apollo) per un responso, due dei suoi figli: Tito e Arrunte, accompagnati dal nobile romano Lucio Giunio, figlio drlla sorella, detto Bruto, cioè: “stolto”.
Questi, che stolto non era, ma solo assetato di rancore verso la famiglia reale, responsabile della morte del padre e del fratello, li accompagnò di buon grado, ma dimostrò, sulla via del ritorno, di quale pasta era fatto.
L’oracolo, infatti, s’era espresso così:
“… il potere su Roma, spetterà a colui che per primo bacerà la Madre.”
Fu così che, giunti in patria, mentre i due fratelli discutevano su chi di loro avesse più diritto a quel privilegio, finendo col decidere che l’avrebbero fatto insieme, Giunio il “Bruto” finse d’inciampare e cadendo baciò il suolo, cioè la Madre-Terra, facendo fede alle parole dell’oracolo. Giunio non diventò Re, come si sa, ma contribuì decisivamente al crollo dellla Monarchia ed alla cacciata dei Tarquinii.

Che la Monarchia si trovasse in difficoltà, re Tarquinio il Superbo lo sapeva perfettamente: il cattivo andamento della guerra di Aricia, l’ostilità del popolo nei suoi confronti e non ultimi, i continui presagi negativi che avevano finito per convincerlo ad inviare messaggeri a consultare l’oracolo di Delfi; al precipitare degli eventi, però, contribuì anche la riprovevole condotta di Sesto, il maggiore dei suoi figli.

Le cronache raccontano che un giorno mentre si trovava sotto le mura di Ardea, cinta d’assedio, in compagnia del figlio Sesto e di Giunio Tarquinio Collatino, cugino e Legato della città di Collatia, la conversazione, come spesso accade in tali frangenti, si concentrò sulle spose lontane, finendo con lo scommettere sulla loro virtù.

“La mia Lucrezia é donna bella ed onesta.” deve essersi vantato il Collatino.

Lucrezia era davvero una donna bellissima e Sesto era un giovane prepotente ed alquanto libertino e accettò immediatamente la proposta di correre a casa a soprendere le proprie donne. Inforcati i cavalli, i due giovani raggiunsero la casa di Sesto e vi sorpresero la moglie che si lasciava consolare da un gruppo di giovani spasimanti; la bellissima Lucrezia, invece, trascorreva il suo tempo al telaio con le ancelle.

Scornato e perdente, Sesto pensò subito alla maniera di vendicarsi. Si presentò qualche giorno dopo nella casa di Collatino con il pretesto di fare visita di cortesia alla bella Lucrezia, in assenza del marito.

Ignara delle sue vere intenzioni, la donna lo accolse con tutti gli onori,ma durante la notte, mentre i servi erano addormentati, penetrò nella canera della donna, in compagnia di uno schiavo negro, insidiando la sua virtù.

Lucrezia lo respinse sdegnosamente, ma Sesto aggiunse intimidazioni all’oltraggio: prima le dichiarò la sua passiome e le offrì il trono di Roma, poi passò alle minacce. Le disse che se non avesse accettato le sue profferte amorose, egli non si sarebbe limitato ad ucciderla, ma l’avrebbe ricoperta di vergogna. Avrebbe- le disse – ucciso prima lei e poi lo schiavo negro che era con lui; l’avrebbe denutato e lasciato disteso accanto al cadavere di lei per far credere ad una turpe adulterio ed aggiunse che avrebbe giustificato l’uccisioone di entrambi come un atto di giustizia per la loro colpa.

Tito Livio e Dionigi, che nelle loro cronache hanno riportato questo episodio, ne parlano, in verità, con un po’ di ambigua superficialità, lasciando intendere che la donna, per paura e della morte e del disonore, sia stata consenziente alla violenza, mentre invece, Lucrezia intendeva salvare la propria memoria dalla vergogna e dal disonore. Il giorno dopo, infatti, come scrive Tito Livio:

“Io assolvo me dal peccato, ma non mi sottraggo al castigo.” dirà Lucrezia ai parenti raccolti in riunione per riferire della violenza a cui era stata costretta con la forza, dopo di ché si trafiggerà con il pugnale.

Tra i presenti c’é anche Giunio Bruto, lo “Sciocco” e sarà proprio lui, animato dal suo odio verso i Tarquinii, ad occuparsi di tutta la faccenda ed a rubare a tutti la scena: a Collatino, il marito offeso, a Sesto, lo stupratore e alla stessa vittima. Vittima ideale per il finto sciocco… per l’uomo che aveva nascosto sotto la maschera di una finta stoltezza l’odio bruciante contro la famiglia Tarquinia e che poteva finalmente smettere i panni del finto stolto ed indossare quelli del vendicatore.

Egli estrasse il pugnale dal petto della povera Lucrezia e giurò vendetta contro i suoi uccisori. Poi, mostrando quanta determinazione ci fosse in lui, sollevò il corpo esanime della donna ed a braccia lo portò fino al Foro e sull’onda di una grande emozione, spinse la popolazione alla rivolta. Al cospetto delle spoglie della virtuosa patrizia, infatti, tenne un discorso funebre dagli accenti tanto vibranti da infiammare i presenti: elogiò la virtù di Lucrezia e denunciò i delitti della famiglia Tarquinia.
Fu la fine della Monarchia: Tarquinio il Superbo e la sua famiglia furono cacciati via a furor di popolo e in sua vece fu invocata la Repubblica e proprio Giunio e Collatino, furono i primi due Consoli eletti.

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ANTICA ROMA – IL CAMPO SCELLERATO… la tomba delle “sepolte vive” http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2014/05/11/antica-roma-il-campo-scellerato-la-tomba-delle-sepolte-vive/ http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2014/05/11/antica-roma-il-campo-scellerato-la-tomba-delle-sepolte-vive/#comments Sun, 11 May 2014 14:59:54 +0000 http://lnx.storydrawer.org/mariapace/?p=774
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IL CAMPO SCELLERATO… ovvero, la tomba delle “sepolte vive”

Era un luogo lungo la strada selciata di Porta Collina dove le Vestali ree di inadempienza al proprio voto di castità venivavo sepolte vive. Si trattava di un seminterrato provvisto di un pagliericcio e di una porticina che veniva sprangata dall’esterno ed in cui la sventurata doveva vivere la sua angosciosa e lunga agonia, con solo un bricco di latte, una pagnotta ed una lampada ad olio .

La prima di queste sventurate, sotto re Tarquinio Prisco, accusata di aver attentato alla propria virtù, fu la nobile Pinaria, figlia di Publio. Seguì Minuzia, la quale attirò i sospetti su di sé per la cura eccessiva che dedicava alla propria persona. Ad accusarla fu uno schiavo e non le fu possibile dimostrare la propria innocenza.

Nella guerra di Roma repubblicana contro i Volsci, la sorte era decisamente sfovorevole a Roma e si disse che gli Dei erano insoddisfatti e corrucciati ed esigevano sacrifici.
Si pensò subito alla condotta delle sacerdotesse di Vesta: molte delle disgrazie che piovevano sulla città venivano loro attribuite. Qualcuno mise in giro la voce che la responsabilità era proprio di una delle Vestali: Oppia, colpevole di aver oltraggiato la sua virtù con due uomini. Sottoposta a giudizio e condannata, la ragazza fu sepolta viva e i due presunti colpevoli, uccisi a colpi di verghe.

Stessa sorte toccò ad un’altra Vestale, la giovane Urbinia, questa volta durante la guerra di Roma contro Veio. Poiché in città e nelle campagne donne e bambini si ammalavano e morivano di morti sospette, la pubblica attenzione si concentrò una volta ancora sulla Casa di Vesta e sul comportamento delle sue Sante Figlie. Ad essere accusata di non aver rispettato il giuramento di verginità fu, questa volta, la povera Urbinia ed anche lei conobbe l’orribile sorte di essere sepolta viva in quella fossa infame.
Anche per i due presunti colpevoli non ci fu scampo: processo e condanna a morte.

Altre quattro Vestali furono riconosciute colpevoli e condannate, ma tutte preferirono darsi morte piuttosto che affrontare il ludibrio di un processo e una morte orribile: Lanuzia, accusata da Caracalla, che si gettò dal tetto della sua casa; Tuzia che, accusata di aver avuto rapporti con uno schiavo, si trafisse con un pugnale; Gapronia che si strangolò e Opimia che scelse il veleno; Florania, invece, non riuscì a sfuggire alla terribile sorte.

Non mancarono casi di Vestali condannate nonostante la comprovata innocenza, come nel caso della bella e giovane Clodia Leta e la nobile Aurelia, le quali preferirono affrontare il martirio piuttosto che cedere alle profferte libidinose del loro accusatore: l’imperatore Caracalla.

Innocente era anche la bella Cornelia, ai tempi di Domiziano il quale, respinto, l’aveva accusata di aver attentato alla propria virtù con un certo Celere. Non potendo sostenere le accuse in Senato, l’Imperatore l’accusò in un improvvisato tribunale allestito in una casa di campagna senza dare alla povera ragazza possibilità alcuna di discolparsi e difendersi.
Riconosciuta colpevole, l’infelice Cornelia fu condannata e condotta sul luogo del supplizio.
Qui, mentre scendeva i gradini che la portavano in fondo alla fossa, il mantello si impigliò. Il Littore fece l’atto di tendere una mano per aiutarla, ma Cornelia lo respinse per non contaminarsi e dimostrare di possedere ancora la propria virtù e purezza.
Non ancora soddisfatto da questa condanna, Domiziano fece uccidere con le verghe anche il povero Celere, del tutto estraneo a quei fatti.

Singolare é la storia di altre tre infelici: Marzia, Licinia ed Emilia, Vestali ai tempi della Repubblica.
Marzia aveva una relazione amorosa con un giovane di buona famiglia che durava già da qualche tempo quando fu accusata; Lucio Metello, il Pontefice Massimo, si lasciò impietosire dalla loro storia d’amore e graziò la ragazza.
Sempre sotto il suo Pontificato, altre due Vestali, Licinia ed Emilia, vennero meno ai loro voti di castità concedendosi l’una al fratello dell’altra. Scoperte e accusate da uno schiavo, un certo Manius, comparirono davanti al tribunale, ma solo Emilia fu condannata, perché accusata anche di aver intrattenuto relazione illecita con alcuni schiavi per evitare denuncia da parte di quelli.
Il popolo romano, però, assai “bigotto” avremmo detto oggi, riguardo la virtù delle proprie Vestali, si mostrò assai scontento di quelle assoluzioni e pretese un nuovo processo.
Questa volta le tre infelici ragazze vennero tutte condannate e con esse anche quelli che le avevano protette e in qualche modo sostenute.

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DI CHE COSA PARLAVANO I MASCHI ROMANI ALLE TERME? http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2014/03/06/732/ http://lnx.storydrawer.org/mariapace/2014/03/06/732/#comments Thu, 06 Mar 2014 13:38:08 +0000 http://lnx.storydrawer.org/mariapace/?p=732
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Recarsi alle Terme era per Marco solo un pretesto per incontrare gli amici ma, all’infuori di Sabino, non avevano incontrato altri.
Dopo una breve sosta nel frigidarium, nelle cui acque si rinfrescarono, decisero di raggiungere il Gymnasium.
Ridiscesero in cortile e raggiunsero la Basilica, un grandioso edificio a forma di cupola che ospitava biblioteche e sale di conversazione. Si fermarono in una sala molto simile a un triclinio, con una via-vai di schiavi carichi di vassoi pieni di salsicce, pizze e focacce provenienti direttamente dai thermopolium.
Quello dei termopulai a Roma era uno dei mestieri più lucrosi!
Quattro colonne di marmo reggevano il soffitto decorato. Vicino alla terza colonna, sdraiato sul primo dei quattro lettini trovarono Cleonte il greco, impegnato con Metello Fabrio in una controversa conversazione sulla plebe e il suo “rancore sociale”. Il suo gesticolare impediva a una spaurita e incauta Psiche, sulla parete alle sue spalle, di contemplare le splendide fattezze di Amore. Accanto alla pittura, una scritta dissacrante recitava: “Cornelio Lepido è il finocchio del suo schiavo Rodomonte.”
“Per Ercole! Mi piacerebbe veder nudo il focoso Rodomonte.” rise Sabino, trascinandosi dietro la risata degli altri, che si divisero subito nel giudizio come se si trattasse di un gioco combinato.
“Merito alla Legge Scantinia, senza la quale certe sfrontatezze porterebbero al degrado dell’Amore.” osservò Marco che, provenendo dall’ambiente militare, mal tollerava l’omosessualità.
La Lex Scantinia era un insieme di norme che regolavano il dilagare delle pratiche omosessuali in Roma.
“Amore? – replicò Sabino – Ma quale Amore?”
“Chiediamolo al pedagogo Cleonte. – interloquì Metello – Chiediamogli se è Amore quello per una donna, necessario a perpetrare la specie o quello per un giovine, sollecitato da libido.”
“La Natura riesce sempre a far bene il suo mestiere.- esordì il
greco, chiamato in causa – L’Amore per donne e fanciulle?… La Natura suscita frenetiche passioni nei riguardi di donne e fanciulle, ma accende anche irrefrenabili ardori verso altri uomini o fanciulli…. E’ un altro, il richiamo da ignorare: quello che si prende nelle vesti o nel letto di qualcuno che ti è indifferente…. Quello il solo delitto in Amore!”
“L’intimità con un maschio è indecenza solo se la compiacenza fosse strappata con la violenza!”
“E Rodomonte? – domandò Sabino – Non mi pareva che approvassi il legame di Rodomonte con Cornelio.”
“E’ l’approccio che è disdicevole. – rettificò il filosofo – Per Cornelio Lepido è riprovevole subire gli appetiti del suo schiavo!”
“Soprattutto oggi che servi e schiavi accampano sempre nuove pretese. Parlano di giustizia e libertà… parole che hanno sempre ubriacato la gente!” fece osservare l’altro.
“Non ubriacato, ma dato la spinta a malumori apparentemente sonnacchiosi e pronti a sfociare in rivolta.” replicò Lucilio.
“Grano, spettacoli e robuste catene: così si tengono sopiti i malumori della plebe.” Silio Italico s’inserì nel dialogo fra il filosofo e il Prefetto.
“Malumori… rancori sociali! – interloquì Marco – Io sono un soldato e combatto con la spada, non con la parola, ma so che
esistono Leggi che danno regole alla società!”
“Leggi che assicurano privilegi a chi ne hà già!” replicò Cleonte.
“Ecco cosa intendevo! – intervenne il filosofo – E’ giusto che alcuni sperperino senza misura e ad altri manchi il necessario? Che alcuni si prendano potenza, onore e ricchezze lasciando agli altri processi e condanne? – una pausa, ma solo per riprendere fiato, poi Lucilio continuò, con parole, gesti e pause ben dosati – Il malcostume scende dall’alto, ma è dal basso che il malumore si manifesta per primo: liberti arroganti, strozzini, senatori asserviti e… e dall’altro versante, contadini scacciati dalle terre, gente strozzata da debiti… ”
“Basta così! – lo interruppe Metello – Sei sapiente nell’affilare le tue parole, ma hai offeso tutti, qui! Siamo nobili e senatori e non siamo come ci dipingi tu.”
“Io non dico nulla che non sia già stato detto con i fatti. Svegliatevi! Solo un atto di coraggio può fermare questa cancrena e togliere il male alla radice. Molti la pensano così, ma pochi hanno il coraggio di affermarlo.”
“E’ l’ordine attuale, quello che tu contesti, Lucilio. – insinuò il Prefetto – E’ il sovvertimento delle regole.”
“Parole pericolose per te che le dici come per noi che le ascoltiamo. – Silio serrò in una espressione minacciosa le gia strette fessure che erano i suoi occhi – Se continui a snocciolare il tuo “rancore sociale” con tanta sicumera, finirai male. Per cosa è che metti in gioco la tua vita, filosofo?”
“Metto in gioco la mia vita per qualcosa di molto prezioso!”
“E cosa sarebbe?” domandarono tutti in coro.
“La libertà di pensare! – rispose lapidario il filosofo – La capacità di liberarsi delle catene dello strozzino e del capestro degli interessi…. che poi è quello di cui avete bisogno voi tutti, se non sbaglio!… Per questo parlo di coraggio. Ci vuole coraggio per abbattere il malcostume. Il buon Seneca… gli Dei l’abbiano in gloria… diceva: Cum mori est nobis nullo auxilio sumus. E…”
“La tua lingua si muove troppo liberamente! – anche Metello lo ammonì, mentre continuava a battere nervosamente il coltello contro la coppa che gli stava davanti – Tienila a freno. Hai bevuto a troppe coppe imbevute di stoicismo: provvedi e non strozzarti!”
In fondo alla stanza, sull’uscio della grande porta d’accesso ai sotterranei, uomini sudati, sporchi di carbone, sepolti sotto carichi di legna, andavano e venivano gettando loro addosso stanche occhiate. Lucilio li additava di tanto in tanto, come a significare che era a gente come quella che si riferiva, ma quelli non si degnavano neppure di voltarsi a guardare.
“I fulmini della tua eloquenza vagano incontrollati – ancora Italico – e minacciano di incenerire questa allegra compagnia.”
“Le vostre sono solo pomposità verbali che servono a nascondere i vizi dei tempi in cui viviamo. – Lucilio era ormai lanciato – Parlate ma non dite! Spiegatemi… chi di voi ha scritto di Cornelio e del suo schiavo? E stato uno di voi… così, per ridere, ma non avete nemmeno il coraggio di attribuirvi ciò che dite per far ridere!”
“Lucilio mette sempre troppa passione nelle dispute.” intervenne a questo punto Marco, nel tentativo di allontanare l’amico dalla pericolosa logomachia in cui minacciava di affondare; dentro di sé, però, pensava che si commettevano più infamie là dentro nel giro di una giornata che in qualunque altro posto e temeva per l’amico.

brano tratto dall’ultimo libro di Maria Pace “LA DECIMA LEGIONE – Panem et Circenses”
nelle migliori librerie o da richiedere direttamente alla EDITRICE MONTECOVELLO

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