Pezzi di vita

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Nebbia

Pubblicato da mimmi71 il 22 settembre 2007

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Nebbia


 


Un viale che costeggia il fiume. Passi svelti, rapidi, il rumore provocato dai tacchi delle scarpe nuove sull’asfalto lucido d’umidità; un ticchettio affrettato, irregolare. In fondo al viale una luce, la luce d’un’insegna. Un locale, forse un ristorante..


Non c’è in giro nessuno, e non perché sia tardi: sono solo le sette di sera, l’ora giusta per andare a cena.


È il clima. Sono settimane che piove. L’umidità trasuda dalle case, dai mantelli delle persone, dalla terra.


È una pioggerella lieve, sottile: non ha il vigore degli acquazzoni estivi, non scorre come nelle giornate autunnali. Pioviggina.


E sono settimane che persiste questa nebbia; sfuma i contorni delle case, degli oggetti, dei passanti. Sembra quasi che la città intera sia tenuta sotto assedio da quest’umidità stagnante, pare che quest’atmosfera rarefatta ne abbia rallentato il ritmo.


Le macchine passando non fanno il rumore di sempre, nemmeno lo sferragliare del tram ha lo stesso suono, nemmeno le voci della gente.


I lampioni non illuminano granché, e neanche i fanali delle automobili: sono solo tenui bagliori che danno all’ambiente un ché di surreale.


 


Sono passi di donna e s’ interrompono bruscamente, proprio ora che l’alone di luce gettato dal locale comincia a farsi più vicino.  Si può distinguere la scritta sull’insegna: dice “ Al Vecchio Porto”. Un ristorante dunque.


La donna appare titubante, indecisa se avvicinarsi o no al portone di legno chiaro. È come se preferisse restare nell’ombra, è come se quella luce avvolgente la intimorisse. E sì che tutta quest’umidità le sta entrando nelle ossa, la sta facendo rabbrividire. Eppure…


Forse per darsi un contegno, per avere una giustificazione al suo stare lì in piedi senza motivo, con una mano fruga nella borsetta elegante alla ricerca del portasigarette d’argento.


Sposta continuamente il peso del corpo da un piede all’altro, come chi non è abituato a camminare su scarpe dal tacco così alto e sottile.


Devono farle male i piedi e si capisce chiaramente che non si sente a suo agio.


Sembra che si stia domandando: 


“ Ma cosa ci faccio io qui?”


soprattutto


“Cosa ci faccio io su queste scarpe, con quest’abito?”


Probabilmente si sente un po’ ridicola, probabilmente quello non è il suo abbigliamento abituale.


 


Tiene lo sguardo fisso al portone, alla luce che esce dalle grandi vetrate delicatamente velate, di un rosa pallido: l’ambiente all’interno deve essere caldo e accogliente, invitante.


È che non ce la fa!


Tutte le volte che prova a  muovere un passo in quella direzione, si blocca di botto, porta la sigaretta alle labbra e dà una boccata veloce; fa uscire il fumo tutto in una volta, come uno sbuffo.


È arrabbiata con se stessa, inferocita. Nella sua testa si starà ripetendo quanto è sciocca, quanto è stupida: “Possibile? Tutta questa preparazione.. persino il parrucchiere! Per essere perfetta.. Scema! Stupida! Oca che non sono altro!”


Che poi adesso i capelli sono un disastro, anche il trucco non tiene più.. Per forza, piove!


Ha un bel ripetersi:


“Ancora un’altra sigaretta, e poi..”


I mozziconi scagliati in terra aumentano e il coraggio non arriva. Anche perché sarebbe pretendere troppo da una sigaretta.


Fa male al cuore vederla così, davvero: i lunghi capelli raccolti in un’elaborata acconciatura che ormai cade a pezzi, il nero intorno agli occhi sbavato, colato, come il rossetto; il leggero impermeabile, stretto in vita da una cintura, zuppo.


 


E pensare che quando si era guardata allo specchio, prima di uscire, si era trovata bellissima..


E lo era effettivamente: bellissima, a modo suo.


Ma adesso?


Oltre tutto è troppo tardi, si saranno stancati di aspettarla, avranno già ordinato.


E poi è impresentabile!


Quell’attesa può apparire inutile, senza senso. Ma lei in qualche modo la prolunga, come se si aspettasse un qualche cosa…


Magari un uomo che apre il portone, che le porge il braccio, che l’accompagna all’interno.


Così com’è adesso, com’è di solito. Senza più quella sciocca maschera che si era costretta a indossare, senza dover far finta d’essere chi non si è.


Certo si era sentita bellissima, affascinante, sicura di sé. In casa sua però, camminando nascosta nella nebbia. Ora quella luce le sembra troppo forte, sente di non poterla affrontare da sola.


Ma dal ristorante “Il Vecchio Porto” non esce nessuno.


 


Ecco che ricomincia il rumore dei tacchi delle scarpe nuove sull’asfalto; non più veloce ma lento, regolare, un po’ strascicato.


Si è lasciata alle spalle il calore soffuso, intimo del locale: una figura di donna che cammina, esile, sottile, le spalle leggermente incurvate.


 


La si può indovinare, sagoma sfumata, per un attimo ancora, il tempo necessario per altri soli due passi.


E poi più niente, scomparsa.


Inghiottita dalla nebbia e dalla pioggia, inghiottita da  quest’umidità che inzuppa, che infradicia, che dissolve, che smaterializza.


 


 

5 Commenti a “Nebbia”

  1. Andrea dice:

    Miriam, anche questo racconto mi lascia senza parole. La descrizione degli stati d’animo e’ impeccabile, e il modo in cui l’intrecci con la descrizione degli ambienti e’ impressionante.
    Grazie per avercelo fatto leggere.

  2. fabio dice:

    E’ piaciuto molto anche a me! Noto che spesso non dai un nome ai tuoi personaggi. E’ tutto più misterioso così! ^_^

  3. MOSTARDA dice:

    ciao, il metodo random mi ha permesso di leggere questo racconto, sono stato fortunato.
    A caldo mi ha dato una impressione di incompiuto, ma invece riflettendoci qualche momento mi sembra che sia la messa in prosa di una poesia.
    Complimenti a mimmi.

  4. MOSTARDA dice:

    questo racconto continua a camminarmi addosso.
    devo dire che lo ritengo un pregio.
    volevo addirittura mettere in poesia questa storia, poi ho soprasseduto ritenendolo di dubbio gusto.
    insomma mimmi, la tua storia è come la nebbia in val padana, ti avvolge e permane per una stagione.
    :)

  5. mimmi71 dice:

    Grazie mostarda!!! Davvero!!!!! Mi fa molto piacere.. Un salutone miriam

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