Pezzi di vita

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Lunedì

Pubblicato da mimmi71 il 25 settembre 2007

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Lunedì


 


Vorrei, vorrei, vorrei..


Come vorrei, quanto vorrei, vorrei tutta la vita che c’è. La vorrei solo per me, tutta per me.


Vorrei indossare un vestito lungo, di quelli che quando giri su te stessa fanno la ruota, e con quello vorrei ballare, ballare, ballare. Fino allo sfinimento, fino al sonno senza pensieri, fino al silenzio.


Ballare per essere viva, per vivere. Ballare per essere libera.


Ballare da sola.


Non è vero.


Ballare con un uomo, un uomo che mi dia il braccio, che mi stringa le mani, che mi tenga stretta, protetta, al sicuro. Un uomo che sia disposto a prestarmi le sue spalle, le sue braccia, la sua voce, il suo respiro, il suo sguardo.


Quanto lo vorrei.


Invece mi s’inumidiscono gli occhi, appena un pochino.


Cammino e penso.


 


Ho male alla testa, una leggera nausea, mi sento come se mi fossero passati addosso con un rullo compressore: a pezzi. In casa nostra non se n’è accorto nessuno. Forse non è un malessere evidente, forse da un pezzo non ci guardiamo più, forse in casa nostra non ci accorgiamo più di quello che succede all’altro.


Cammino e penso.


C’è nebbia, il sentiero immerso nel bosco si sfuma; inconsistenti gli alberi, le rocce, io che cammino a passo lento assieme al mio cane.


Cammino e penso.


Penso al dolore alla testa, insistente cerchio sopra agli occhi, leggero eppure così fastidioso.


Penso ai chili di troppo che mi sto portando dietro, penso a come mi piacerebbe essere magra, perché se fossi magra, allora..


Allora..


Allora cosa?!


Se fossi magra, se fossi alta, se fossi bella, se fossi più giovane, se fossi che?!


Cammino e penso.


Penso al mio cane. Ormai è vecchio. Guardo il suo passo trascinato, il cedere delle zampe posteriori alla minima pendenza del terreno. Penso al bene che gli voglio, penso a quanta vita abbiamo passato insieme, penso a quanto i suoi occhi hanno saputo guardare nei miei.


Penso che non voglio che muoia.


E che il mio “non volere” non ha nessuna importanza. Non voglio che muoia solo per me, non per lui: lui è vecchio, lui ha vissuto, è giusto che muoia.


Cammino e penso.


Penso a come vorrei sedermi sotto una pianta, una pianta solitaria in mezzo ad un prato. Vicino il mio cane, accucciato. Una sigaretta tra le dita, da fumare piano. Ma c’è quest’umidità, questa nebbia così spessa.


Lo faccio lo stesso, mi siedo nell’erba bagnata, l’odore della terra, delle foglie morte.


Mi accendo una sigaretta, ne aspiro il fumo denso, forte: queste non sono le mie sigarette.


Ero senza e il primo bar è a quattro chilometri; me ne sono fatta dare due da una vicina.


Fumo e penso.


Penso che mi piacerebbe piangere.


Non ne sono più capace, mi rendo conto.


Provo a stortare la bocca, a fare smorfie con la faccia: ridicola.


“Sono ridicola eh?!”


Il cane non mi sente, se non gli parlo vicino alle orecchie non può più sentirmi..


“Sono ridicola, eh?!”


I suoi occhioni scuri, lacrimosi, mi guardano.


Ci riprovo. Risultato: due lacrime.


Penso che dovrei proprio piangere, che mi darebbe sollievo.


Non ci riesco più, purtroppo.


Metto via, ancora una volta, il dolore, la rabbia, la frustrazione. Li nascondo ben bene, ancora una volta.


Fumo e penso.


Penso che bisogna che scenda, fino al primo paese degno di quel nome: “Paese”. Case, qualche baretto, una pizzeria, un ristorante, tre piccoli supermercati, un’edicola. Devo comprarmi le sigarette, due pacchetti.


Mi rimetto in cammino, diretta verso casa, assieme al mio cane.


Cammino e penso.


Penso a quanto mi sento sola.


Mi fermo e abbraccio il mio cane:


“Perché? Perché, cucciolo mio?”


Sono patetica, così, abbracciata al mio cane.


Mi sto commiserando, non mi piace.


Eppure lo stringo forte. Mi sembra che lui mi capisca, che mi abbia sempre capito.


Mi sembra. Magari immagino, lui è un cane.


Eppure lo stringo, lo accarezzo, gli sussurro nelle orecchie tutta la solitudine che mi sento addosso.


Tanto chi mi vede? Ridicola, patetica, che si commisera abbracciata ad un cane. Chi mi vede?! Nessuno, non passa nessuno. In una giornata come questa, con tutta quest’umidità che inzuppa, che trasuda dal bosco, pesante, densa. Chi potrebbe passare per questo sentiero?


Riprendo il cammino, s’intravedono le case del paese, ancora pochi lenti passi ed ecco comparire, tutta sfumata, la mia casa.


Il mio paese, la mia casa..


Un paese microscopico, in alto, sulle montagne. Lontano da tutto, soprattutto dalla gente: ci abitiamo in pochi e tra noi ci si saluta appena. Quattro case.


La parte vecchia – tutta contorta, le case appiccicate, i tetti che si toccano -, quasi completamente disabitata. Ci sono dei rustici in rovina, diroccati; tra i sassi dei muri a secco spunta l’erba d’estate. Ora no, ci marciscono le foglie. E a passarci di fianco si avverte un odore di putridume che prende alla gola. La mia casa, invece, è una bella casa: lontana dal nucleo, separata dalle altre da un ampio giardino con grandi alberi. Anche così sfumata conserva la sua bellezza. Una casa squadrata, precisa, che da una sensazione di sicurezza. Asciugo il cane con un vecchio asciugamano, lo strofino ben bene, con dolcezza. Prima di entrare lo bacio ancora una volta, sulla fronte, in mezzo agli occhi. Prendo un respiro che mi riempie i polmoni e appoggio la mano sulla maniglia.


 


Non faccio a tempo a richiudere la porta alle mie spalle..


“Porco dio! Ma dove cazzo sei stata..”


Come dove sono stata?! Ma lo sai dove sono stata!


Infatti non rispondo.


“Oh! Dove cazzo sei stata?! ..”


Bisogna che dica qualcosa, anche se non so cosa, bisogna proprio che risponda:


“Ma andavo col cane, te l’avevo detto..”


Ma di sicuro ho sbagliato qualcosa, sbaglio sempre; avrò dimenticato qualcosa, non avrò fatto qualcosa. Un motivo per urlare, bestemmiare, lui lo trova sempre.


Infatti prosegue, insiste, prepotentemente, muove il pugno vicino al mio viso, mi spintona.


E poi ci sono le bambine che cercano di abbracciarmi, che parlano, che mi chiedono..


E io sono talmente stanca..


Da un po’ non riesco più a gestire tutto.


Non riesco, non riesco.


Le mie figlie e io non riesco ad abbracciarle, ad ascoltarle, a rispondere.


Non riesco perché devo ascoltare anche lui e il suono della sua voce è troppo alto, il suo corpo troppo vicino al mio, le sue mani sono contratte a pugno, chiuse con violenza.


Mi metto ad urlare anch’io, ribatto, cerco di allontanarlo.


Le bambine non le guardo più, le respingo, urlo anche a loro.


Mi dispiace, non ce la faccio.


Sono talmente stanca..


Avrei solo voluto entrare e prepararmi un caffè.


Perché?


Me lo chiedo, in mezzo a tutto questo rumore, in mezzo a tutto questo frastuono.


Sono stordita, confusa. E poi ho mal di testa.


Lo dico: “Ho mal di testa, non mi sento bene!”


Non mi ascolta nessuno. Dovrei urlarlo, ma sono troppo stanca, non ne posso più.


Vorrei solo un caffè, un’aspirina.


Mi vengono le vertigini, mi sembra di soffocare, la gola stretta, mi viene da vomitare.


Non ne posso più, non ne posso più! Lasciatemi in pace, tutti quanti!


Soprattutto tu che urli, tu che non mi guardi, tu che non ti accorgi del mio stare male.


Non ne posso più..


Corro in bagno, alzo l’asse della tazza, cerco di vomitare.


Niente, non esce niente. Però mi tremano le gambe e le mani.


La porta si apre: è mia figlia, la media.


“Mamma, che cos’hai? Stai male?..”


Mi accarezza le braccia, mi guarda con i suoi grandi occhi rotondi, azzurri.


La mia bambina.


Ti voglio tanto bene, tanto! Anche quando urlo, anche quando non ti sto a sentire perché troppo presa dalle mie emozioni. Scusami, faccio del mio meglio.


Lo penso ma non glielo dico, lo farò stasera, nel letto, prima di dormire.


Glielo dirò, a lei, alle sue due sorelle: scusatemi, scusatemi, perdonatemi, ve ne prego. Non ho la forza, non ho il coraggio, ho tanta paura. 


Passerà un’altra giornata in questo modo e domani è già domenica: per fortuna.


Per fortuna?!


Ma quante, quante giornate ancora devo lasciar passare in questo modo? Quanta infelicità, quanta sofferenza, quanta?!


Per me, per le mie tre figlie, anche per lui, ne sono sicura.


Faccio del mio meglio?! Ma non facciamo tutti, in fondo, del nostro meglio?


Tutti a fare del nostro meglio, poverini; affannati in una vita d’incomprensione, di solitudine, incapaci di spezzare quelle catene che, chissà perché, ci legano, ci vincolano, ci obbligano. Catene che ci siamo messi noi, da soli, perché potrebbe essere diverso, potrebbe, volendo..


Io lo so, lo so benissimo e questo è anche peggio.


Il tempo di credere alle favole è finito, e poi non sono mai stata molto brava a raccontarmele.


Passerà anche la domenica, per fortuna.


 


Vorrei, vorrei, vorrei..


Vorrei tutta la vita che c’è, la vorrei tutta per me.


Le piccole dormono, anche lui dorme.


Fumo e penso, seduta sul divano.


Vorrei, vorrei, vorrei..


Un’altra sigaretta da accendere col mozzicone ancora incandescente di quella appena terminata..


Vorrei, vorrei, vorrei.


Fumo e penso.


Penso..


Forse se adesso, in punta di piedi, senza respirare quasi, adagio, piano, in silenzio..


Mi alzo, piano, non faccio nessun rumore.


Preparo due valigie, uno zaino, ci metto dentro lo stretto indispensabile.


Il cane.. Anche lui.


Piano, adagio, senza far rumore: metto tutto in macchina, nel bagagliaio.


“Aspetta qui! Arrivo subito!”


Le bimbe da portare in braccio, la più grande da svegliare..


Dio come mi batte forte il cuore, sembra che scoppi.


Ho tanta paura. Eppure no, russa, lo sento.


Smettesse di martellarmi nelle orecchie, nella gola, rallentasse il ritmo.


Perché mi gira la testa, mi sembra di svenire.


Ho tanta paura, tanta, tanta paura. Mi tremano persino le mani..


Una pastiglia, prendo una pastiglia.. Anzi due, due pastiglie.


Devo calmarmi. Come faccio a guidare in questo stato, come faccio?!


Aiuto, che qualcuno mi aiuti!


Mi verrebbe da urlarlo.


Urlarlo a chi? Non c’è nessuno, nessuno che mi possa ascoltare.


Oddio, devo scappare, in fretta, ma devo fare piano.


Solo le bimbe, ne prendo una alla volta, le carico in macchina..


E poi? Dove vado? E i soldi, non ho soldi..


E la più grande? E se poi non mi vuol seguire? E se poi lui si sveglia?


Magari faccio troppo rumore, ho l’affanno, probabilmente mi sente respirare così, devo calmarmi.


Devo calmarmi, devo pensare. Calmarmi e pensare.


Magari lunedì, forse è meglio lunedì, quando lui è al lavoro.


Allora, con più calma..


Allora..


Lunedì, lunedì mattina, certo..


Allora..


Allora..


 


Torno alla macchina, tiro fuori il cane, nascondo le valigie e lo zaino in cantina, tanto non si accorge, tanto dalla cantina non passa..


No, meglio svuotarle, mettere a posto tutto, in modo da essere sicuri che non s’accorga.


Si, meglio.


Ma devo muovermi, devo fare in fretta, se si sveglia..


No, russa. Tranquillo e regolare, non si rigira nemmeno nel letto: dorme.


Dorme profondamente.


L’unico suono è il battito del mio cuore, il mio respiro.


Presto, presto, in silenzio, ho quasi fatto, avevo messo proprio poco nelle valigie.


Fatto, fatto, Dio, ho fatto.


Ho fatto.


Sono in un bagno di sudore, un sudore freddo e acido.


Sono sfinita, sono stravolta, ma ho fatto: nessuno si è accorto di nulla.


Ho fatto?!


Mi siedo sul divano, il cane mi viene vicino, mi appoggia la sua testona sulle gambe.


Lo abbraccio, lo stringo forte, lo bacio.


Ho fatto?!


Fatto, fatto, fatto..


E non riesco nemmeno a piangere.


Ma passerà anche la domenica, per fortuna.


 


 


 


 


 


 


 


 


 

3 Commenti a “Lunedì”

  1. Andrea dice:

    Ciao Miriam. Non direi che sei ripetitiva… hai un tuo stile, e non lo nascondi. Ti si riconosce dal modo in cui scrivi, e anche da quello di cui scrivi. I tuoi racconti lasciano sempre un sapore amaro in bocca, e non si puo’ certo dire che siano allegri, ma tuttosommato io li trovo una lettura molto piacevole :)

  2. marilety dice:

    mi piace quello che scrivi ma a mio parere dovresti vivere di più senza prevenzione saresti più soddisfatta ciao

  3. JiM dice:

    nn so se sei ripetitiva
    è laprima volta che ti leggo!

    Siamo nel mondo dellacomunicazione,si puo comunicare ovunque immediatamente… ma nn si sfugge allasolitudine!

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