Pezzi di vita

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..non c’è ancora un titolo..

Pubblicato da mimmi71 il 1 ottobre 2007

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Appoggiava la fronte contro il vetro della finestra di camera sua, ci schiacciava per bene il naso e le labbra, poi sbuffava; gli piaceva la condensa di vapore che si formava, ogni volta con una forma differente. Senza accorgersi che il tempo passava: i minuti, i quarti d’ora, persino le mezz’ore. A lasciarlo fare avrebbe continuato anche più a lungo.


Non guardava fuori, non gli interessava. E poi c’era la nebbia: un muro bianco davanti alla finestra. Per scorgere la casa di fronte bisognava impegnarsi, prestare attenzione alle sfumature di grigio. Insomma una fatica. E per Giacomo non ne valeva assolutamente la pena. Ogni tanto disegnava col dito sulla condensa, come fanno i bambini.


Gli piaceva scriverci le iniziali del suo nome: G. G.


In tutti i modi possibili: stampatello minuscolo, maiuscolo, corsivo e sue interpretazioni personali di quelle che gli ricordavano le lettere delle miniature medioevali. Ci si divertiva un mondo!


Poi il vetro rimaneva sporco e pasticciato, sua madre glielo diceva sempre:


“Giacomo, guarda che porcheria! Poi mi tocca pulire..”


E infatti, poco dopo, arrivava armata di “Ajax  per i vetri chiaro” e spruzzettava esageratamente, strofinando di gran lena con uno straccio.


“Ajax per i vetri chiaro..” pensava Giacomo “ci sarà anche quello scuro? Servirà per i vetri neri? Ma chi mai metterebbe dei vetri neri alle finestre?! Forse per le chiese, per le vetrate delle chiese, che son di tutti i colori del mondo..”


Ormai l’ora era arrivata, lo capiva dal rumoreggiare di sua madre in salotto: l’ora del caffè del pomeriggio.


Giacomo si metteva a bisbigliare tra sé e sé, quasi solo un movimento delle labbra.


“Cribbio Giacomo, cribbio Giacomo, cribbio Giacomo!” E via con la manica della camicia a ripulire il vetro..


“Giacomo, Giacomo, Giacomo: ripulisci tutto, se no arriva l’ajax!”


Se lo ripeteva tante volte, velocemente, al ritmo del braccio che cancellava le tracce del suo divertimento.


“Giacomo, Giacomo, Giacomo: non si fa!”


Non si fa questo, non si fa quello..


“No, no, no!”


Il fatto era che lo stavano rimbambendo con tutte quelle pastiglie che gli davano da prendere! Perché si rendeva ben conto di comportarsi così, di ripetersi le cose all’infinito, di muoversi o a rallentatore – passando ore a sbuffare su un vetro, per esempio- oppure freneticamente, come un automa. Si rendeva ben conto, ma non poteva farci niente: gli veniva così.


“Rieducazione comportamentale!”


ma certo, questo fa la gente: è educata nel comportamento.


“Bravi, bravi, bravi, applaudiamo tutti le mani!” rideva Giacomo rivolto alla madre quando se ne usciva con queste frasi.


Che poi, povera la sua mamma, gliele avevano ficcate in testa i dottori:


“Se lo dicono loro.. Giacomo, serve per tenerti tranquillo, per riabituarti a stare con gli altri. Perché non vuoi capire?..”


Gli altri, quelli educati, quelli normali: era a loro che batteva le mani.


E per loro era facile! Bello sforzo!


E Giacomo doveva assomigliare agli altri.


Che a guardarli bene, questi altri, insomma..


Giacomo se lo ripeteva spesso nella sua testa, ci pensava a questi altri, li osservava con attenzione.


“Giacomo, preparati, andiamo al caffè..”


Eccoci! Il vetro sembrava quasi pulito; se Giacomo era fortunato sua madre non si sarebbe accorta fino al calare della notte delle sue pasticciate.


“Giacomo?!”


Si, si, il caffè, alle quattro del pomeriggio, tutti i giorni..


“Oh Giacomo?!”


“Sì, mamma, sì, ti sento, arrivo..”


“Ti preparo i vestiti..”


Perché?! Giacomo lo pensava: “Perché?!”


Era capace di vestirsi: jeans, maglietta, felpa. Forse, alle volte, gli capitava di dimenticarsi le mutande, perché stavano sotto, mica si vedevano, per quello. Era capace di vestirsi da solo!


“Pettinati..”


e Giacomo si pettinava..


“Lavati i denti..”


e Giacomo si lavava i denti..


“Giacomo, il giaccone, quello imbottito: fa freddo!”


e se lo infilava, tirava su la cerniera, si copriva tutto per bene: faceva freddo!


Alle volte Giacomo si soffermava a guardarla, tutta trafelata, tutta preoccupata, messa in agitazione da questo caffè delle quattro, dal doverci per forza portare questo suo figlio.


Fosse stato per lui..


E a guardarla gli s’ intenerivano gli occhi, gli si velavano di malinconia. Allora le prendeva le spalle, gliele stringeva con entrambe le mani, la fissava negli occhi e le borbottava:


“Mamma, mamma, mamma!”


Che stava a significare: mamma, ma cosa fai? Ma mi vedi? Ma sono io! Ma cosa stai facendo? Cosa stiamo facendo tutti? Andiamo a berci questo caffè e facciamola finita!


Ma non riusciva a dirglielo, gli usciva solo questo “mammammamma”, come un lamento.


 


E finalmente si balzava tutti in macchina, tutti insieme per andare al caffè.


La bettola – perché proprio di una bettola si trattava, ma non c’era di meglio nei paraggi! – stava a qualche chilometro di distanza, nel paese vicino.


Una bettola di paese, di quelle che guardando la televisione parrebbe non esistano più, e invece.. Ci sono, ce ne sono ancora: quelle col camino acceso e dei brutti tavolacci di impiallacciato marrone, di un marrone osceno e lugubre. Con le cameriere che, essendo il bar di famiglia, sono le figlie del proprietario e in quel locale pubblico ci trascorrono la loro vita. Lì dentro danno la merenda ai figli, gli fanno fare i compiti, litigano col marito e battibeccano tra di loro.


Conoscono i clienti per nome, sanno cosa vogliono bere, chiacchierano con tutti di tutto e di niente.


Quelle bettole fatte così: con i portacenere che, chissà perché, vengono svuotati raramente, con le carte da gioco buttate sui tavoli, con l’aria azzurra di fumo, quasi irrespirabile.


E pensare che ci vorrebbero gli impianti di ventilazione! Anzi, ormai ci sono spesso e volentieri i divieti. Ma in una bettola così.. Andare fuori a fumare? Macchè!


Il caffè delle quattro, in una bettola del genere: una vera botta di vita!


Giacomo lo pensava, lo pensava a quella velocità che era ormai diventata un’abitudine:


“Botta di vita, botta di vita! Giacomo che t’ intristisci a fare?! Giacomo, Giacomo, Giacomo, perché non capisci?! Perché non capisci?!..”


E chi lo vedeva? Dei suoi pensieri rapidissimi nessuno si sarebbe accorto, nessuno li avrebbe mai nemmeno sospettati. Avrebbe tutt’al più osservato, con sguardo interrogativo, quel quasi impercettibile movimento delle labbra. 


Chi lo vedeva.. Un uomo, un uomo ancora giovane ma molto più vecchio all’apparenza. Un uomo grosso e impacciato, con il viso arrossato e gonfio. Un uomo dai movimenti rallentati, dalle poche parole impastate e spesso incoerenti.


“Ma come sarà successo..?” si domandavano.


E, sottovoce: “Come si è ridotto..!”


E come si era ridotto? Com’era prima? Prima di che poi?!


“Ha dei problemi, è molto sensibile, per questo..”


Spiegava la madre, ripeteva, sempre le stesse frasi, sempre le stesse parole, sempre alle stesse persone oltretutto.


“Ma l’hanno ricoverato ancora?”


“Solo per un periodo, breve, qualche settimana, niente di che.. Più che altro un controllo..”


Un controllo, solo un controllo, certo, ribadiva la madre. Spiegava, ancora e ancora:


“Per il mio bambino è difficile stare al mondo, perché stare al mondo è difficile, per tutti. Per lui di più!”


E di nuovo,  per la centesima volta:


“È tanto sensibile!”


Lui non ascoltava, non gli importava. Almeno così sembrava.


Certo avessero avuto almeno la decenza di dire queste cose quando lui non era presente…


O che forse, l’essere malati, l’essersi ridotti in tal modo, desse il diritto agli altri di levarti la tua dignità?! Neanche fosse diventato un soprammobile!


Come fosse stato un bambino ancora incapace di camminare, intrappolato in un ingombrante passeggino. Da mostrare, del quale parlare.. mangia? Dorme? È bravo?


Solo che lui aveva trent’anni e se questa non è una differenza!


Solo che lui capiva il senso delle frasi, sapeva parlare, esprimere dei concetti; se lo erano dimenticati?


A poco serviva spostare la testa, avvicinare l’orecchio alla bocca, bisbigliare.


A nulla se non a farlo sentire ridicolo.


Ma appunto, Giacomo faceva finta di nulla; girava il cucchiaino nel caffè, lentamente. Sorseggiava il liquido caldo e nero, come nulla fosse. Si estraniava, la mente andava via, da un’altra parte, lontano: lui lì non c’era.


Veloci, veloci, i pensieri erano altrove. Probabilmente lo faceva di proposito, per non restarci male.


Soprattutto era un uomo solo. Ma questo non era evidente a molti.


Solo, solo, solo. Perchè l’essere soli è una sensazione più che una realtà dei fatti.


Lui al caffè era solo, solo in macchina, solo a fare la spesa, solo a casa.


Più solo che se lo fosse stato effettivamente.


E solo era anche adesso, con il suo caffè che chiedeva sempre con esagerata educazione alla cameriera. Solo, nonostante la presenza di entrambi i suoi genitori.


 


 


 


Questo “tanto sensibile” ripetuto all’infinito, a chiunque, era quella la cosa che maggiormente lo infastidiva. Che si sussurrassero pure tutto quello che volevano alle orecchie: le sue ultime strambrerie, i suoi strani comportamenti, i suoi discorsi che nessuno pareva capire..


“Ieri, ma forse aveva bevuto troppo, andava dicendo..”


bevuto troppo? Ma se Giacomo non toccava un goccio d’alcol da mesi!


“Esaltato: ancora un po’ si metteva in piedi sul tavolo! Diceva che..”


Giacomo era educato: mai si sarebbe messo in piedi su di un tavolo! Certo era che su determinati argomenti s’accalora, s’infervora. Avrebbe voluto dire tante cose.. Ma i pensieri viaggiano veloci e le parole escono più lentamente: una specie di schizofrenia. Il risultato era un discorso incoerente, ma non privo di senso.


“Cosa cianciava? Di ingiustizie subite? Di giusto e non giusto? Ma tu hai capito?!”


Come se d’ingiustizie non ce ne fossero!


Insomma, ci si poteva passar sopra a tutto questo. Giacomo cercava di passarci sopra, di lasciarselo scivolare addosso. Che gl’importava?


Ma “troppo sensibile” gli era intollerabile. Detto da sua madre oltretutto: intollerabile!


Come se ci fosse bisogno di una giustificazione, come se ci si dovesse vergognare, come se si dovesse rendere conto al mondo.. Troppo sensibile metteva a posto tutto.


Tutto un corno! Ma che tutto?! La vita fa schifo?! Siam d’accordo. Va bene: la vita è dura! Questa è una valle di lacrime: va bene anche questo. Versiamo tutte le lacrime di questo mondo e tiriamo avanti la carretta. E poi Giacomo con i suoi discorsi era incoerente!


Vedere il mondo da un’altra angolazione, questo faceva Giacomo. E forse, alle volte, metteva in difficoltà chi gli stava intorno.


Sua madre rabbrividiva tutte le volte che Giacomo prendeva la parola:


“Scusatemi, scusatemi, vorrei dire una cosa..”


Le si accapponava la pelle: perché Giacomo non diceva una cosa, partiva in quarta, di cose ne diceva dieci, venti, cento, mille, a seconda dell’umore, a seconda dell’argomento. E le diceva a mozziconi, a pezzi, a tratti, passando da una cosa all’altra per poi tornare alla precedente. Senza una logica apparente. Perché per Giacomo la logica c’era, c’era eccome!


Santo cielo, era ovvio! Ovvio, ovvio, ovvio: perché diavolo si fermavano a guardarlo con quello sguardo interdetto? Perché giravano la testa? Perché salutavano e se ne andavano?


Giacomo non capiva. Non capiva nemmeno sua madre e tutta la vergogna che provava.


Non capiva perché si ostinasse a portarselo appresso nonostante il disagio nella quale la metteva. Non capiva proprio.


Lasciami a casa mamma, lasciami prendere la macchina, lasciami telefonare, lasciami, lasciami, lasciami..


“Lasciami vivere mamma..”


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

2 Commenti a “..non c’è ancora un titolo..”

  1. Andrea dice:

    Ciao Miriam. non so se lo prenderai come un complimento oppure no (io lo intendo come tale ^_^), ma questo e’ quello che mi e’ piaciuto di piu’ tra tutti i tuoi racconti… Ricorda un po’ “L’ospite numero 465″, per l’incomunicabilita’ tra il malato e il mondo che lo circonda, ma la descrizione di Giacomo qui e’ molto piu’ convincente, direi quasi avvincente.
    Se posso essere sfacciato, io leggerei molto volentieri un eventuale seguito :)

  2. mimmi71 dice:

    Certo che lo prendo come un complimento!!..proverò ad andare avanti..non si sa mai..magari arrivo a finirlo.. Pure col mio piccolo libretto è andata così, quasi per caso: alla fine si è scritto da solo.

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