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Ricordi Complessi – 5 – Simona: I brutti anatroccoli

Pubblicato da piehasen il 25 settembre 2010

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*** “Ricordi Complessi” è una raccolta di racconti che un piccolo editore fa scrivere a quattro vecchi amici rintracciati dopo molti anni (siamo nel 1989 – 1990) per comporre un’opera sugli “anni folli” del Sessantotto. Inframmezzati tra i racconti sono riportati anche i verbali delle riunioni di redazione.  ***

I  BRUTTI  ANATROCCOLI

 

Mi consideri un amico? chiese Puccio a Patrizia una sera. Che razza di domanda: Puccio era amico di tutte le ragazze, che si confidavano con lui proprio perché non era pericoloso. Lei non aveva mai sentito il bisogno di un padre confessore, ma quella sera era particolarmente giú, e forse lui lo aveva capito e cercava di aiutarla in quel modo goffo.

Certo, disse lei per incoraggiarlo, e dei piú cari.

Ti rendi conto in che situazione di schifo viviamo tu ed io in compagnia? continuó Puccio. Che fosse lui che voleva sfogarsi? In tal caso non era in vena di starlo a sentire: diamogli spago e poi vediamo come  butta, semmai lo liquido con una scusa. Che intendi dire?

Non ti sei stufata di essere la Cenerentola di questo schifo di giro? Non c’era che dire, il ragazzo stava andandoci giú pesante. Se ne accorse perché corresse subito il tiro: No, intendimi bene, non é una critica, é  che credo che siamo un po’ sulla stessa barca.

Su questo non c’era da discutere: in due parole aveva colto nel segno. Ma che gli era preso? Un discorso del genere era per lo meno imbarazzante, e soprattutto non era da Puccio. Ció che Patrizia non poteva sapere era che proprio quel giorno lui s’era fatto un bel monologo davanti allo  specchio.

Sulla stessa barca? disse evasivamente, Non ci avevo mai pensato, ma in effetti… 

Riflettendoci sopra con obiettivitá e senza pregiudizi, Puccio doveva concludere che la sua situazione in compagnia era dovuta, piú che a deficienze o errori da parte sua, ad una serie di sfortunate circostanze.

Si guardava allo specchio: né bello né brutto, meglio comunque di tanti altri. Un po’ grassoccio, ma si vedeva poco; soprattutto senza occhiali né brufoli. Giustamente trasandatello nel vestire, come tutti gli altri. Carattere fondamentalmente allegro e disponibile, comunque piú di tanti musoni del giro. Intelligenza vivace e brillante, battuta pronta, andava anche bene a scuola, ma senza l’aria del secchione; per dirne una, solo pochi giorni prima aveva pianto insieme a tutti gli altri la tragica morte di Jochen Rindt a Monza. Poteva forse essere considerato un po’ eccentrico, ma nulla di grave, almeno non era quello il punto. L’eccentricitá serviva a nascondere una profonda fobia nell’approcciare l’altro sesso, ma anche questo non era un fatto raro in quel giro. Insomma, un quadro normale, senza infamia e senza lode.

E allora cosa c’é che non va? si chiedeva davanti a quello specchio  come Amleto davanti al teschio paterno. La risposta era chiara:  circostanze, soltanto una dannata serie di circostanze.

Diciassette anni e mezzo e manco una ragazza, questo era il vero guaio. I primi approcci, due-tre anni innanzi, falliti per timidezza e inesperienza, poi il buio, almeno per quanto riguardava questo giro. Le ragazze si erano ormai abituate a considerarlo come un orsacchiotto con cui si gioca quando se ne ha voglia, ma niente di piú serio. E i ragazzi, beh, si sa come si é a quell’etá: piú ci si vanta e meglio é, il prestigio arriva soprattutto dalle tacche sul calcio del fucile. 

Era quindi fatale che il buon Puccio rimanesse ai margini della compagnia. C’era una festa? Solo la sua assidua presenza nel giro lo faceva invitare. C’era un posto in meno sui motorini? Era lui che doveva restare a piedi. E cosí via. Si organizzava uno scherzo? Nove volte su dieci era a danno suo, che oltrettutto sapeva incassare cosí bene…

Un altro avrebbe piantato quella massa di cretini e si sarebbe rinchiuso in sé stesso, o avrebbe cercato un altro giro. Ma Puccio non era il tipo. Buona parte di quella gente la conosceva dall’infanzia, non voleva perdere quelli che nonostante tutto continuava a considerare i suoi amici.  E poi c’era il fatto di Cinzia.

Questa era riuscito a nasconderla bene: nessuno se n’era accorto, anche  perché nessuno pensava il buon Puccio capace di pigliarsi anche lui la sua brava cotta come tutti i cristiani. Ma la sveglia c’era, e di quelle forti, da sudore freddo ogni volta che le si avvicinava. Bionda, appariscente, ma abbastanza riservata, non dava molta confidenza ai maschi del giro, stava in una media di due ragazzi per estate (mentre ce n’erano altre come Paola che non erano contente se non raggiungevano almeno quota otto!), e come al solito era legata a Puccio da una bella e sana amicizia. Di quelle che fanno dire: gli voglio bene come ad un fratello. Maggiore o minore? aveva ribattuto lui una volta che si sentiva abbastanza depresso per mettere le cose in chiaro. E lei s’era salvata nel corner anagrafico: hai due anni piú di me, quindi… Ma la battuta aveva colto nel segno: non sono, o meglio non appaio,  grande come gli altri. Non se n’era mai reso conto come quella volta. 

E tutto per una dannatissima serie di circostanze! Era un circolo vizioso: la sua cattiva fama lo condannava alla solitudine e quindi ad  aggravare la sua giá cattiva fama…

Invece al mare la faccenda era stata ben diversa. Lí non lo conosceva  nessuno, nessuno era di Milano, doveva fermarsi soltanto dieci giorni, e poi l’immensa, incredibile fortuna di una ragazza che lo aveva puntato sin dalla prima sera. Non aveva dovuto far nulla: gli era bastato non  respingerla, ed ecco fatto. Al secondo giorno il nuovo arrivato stava giá  insieme alla sorella di uno dei boss locali. Altro colpo di fortuna: al  settimo giorno lei era dovuta partire, e con sua somma sorpresa si era aperta la caccia al Puccio. Quegli ultimi tre giorni erano stati di straordinaria follia, era riuscito a mettere in piedi – e mantenere – quattro storie diverse, giocando su orari, madri severe, gite in barca, e sulla tendenza di quella compagnia a farsi i fatti suoi; insomma, non era stato beccato da nessuna delle quattro in situazioni da Feydeau. Quattro cuori infranti, quattro addii (era stata la parte piú difficile!), cinque esperienze in dieci giorni: si poteva dire che aveva recuperato buona parte del tempo perduto. 

E dopo tutto questo debbo tornare qui in campagna e ritrovarmi nella solita merda? si diceva davanti allo specchio. Gli veniva voglia di sputarsi in faccia. Bisognava assolutamente farci qualcosa, per adesso e per il  futuro. Ora sapeva che, nelle circostanze giuste, anche lui era capace di  essere come gli altri. E credeva di aver individuato il tipo giusto per una cosetta che gli era venuta in mente.

Il caso di Patrizia era uguale a quello di Puccio nella sostanza, ma differente nella causa. Perché Patrizia era irrimediabilmente brutta, o almeno lei si sentiva tale. Piú che brutta era scialba, priva di risorse naturali, il classico tipo che fa tappezzeria. Timida, introversa, riusciva a mascherare molto bene le sue qualitá intellettuali e morali. E del resto doti del genere non avevano molto peso in quegli anni e a quell’etá. 

Anche lei aveva una cotta per un ragazzo della compagnia: Francesco, il  piú posato del gruppo dei ficacci, che stava con una per un’intera estate e magari anche a Milano, dal sorriso abbagliante, sportivo, appassionato di vela. Le vedeva, le ragazze con cui stava: scattanti come gazzelle, flessuose, spigliate, dalla risata franca e aperta, tutto il contrario di lei, insomma. 

Patrizia era anche una delle poche ragazze che non avesse delle amiche. Le giudicava ipocrite e stupide, piuttosto che ridurmi cosí preferisco farmi monaca. Ma poi, in serate come quella, in cui nessuno la invitava a ballare, si faceva riprendere dalla malinconia, e pensava alla favola della volpe e l’uva. 

Ed ecco arrivare il buon Puccio, probabilmente un po’ bevuto, a farle quel discorso strano: siamo sulla stessa barca. In effetti erano entrambi  tagliati fuori sia dal proprio sesso che dall’altro. Non ci aveva mai pensato in questi termini. 

Ormai Puccio aveva preso l’aire. Siamo due emarginati qui dentro, diceva, lo vedi anche tu. Peró non ce ne siamo andati, né tu né io: ci teniamo a restare in mezzo a questa massa di stronzi anche se ci trattano a pesci in faccia. 

Adesso cominciava ad infastidirsi. Era tanto palese da accorgersene persino uno come Puccio? O il ragazzo era meno scemo di quanto non si credesse in giro e voleva farglielo capire? Tanto valeva mettere le carte  in tavola… e cosí, guarda un po’, anche lei c’era cascata: padre, perdonatemi perché ho peccato. Se faceva cosí con tutte, non c’era da stupirsi che non riuscisse a farsi una ragazza. Che fosse finocchio? Per quanto mi riguarda, rispose, sono gli unici amici che ho. 

Appunto, é lo stesso per me. Ma hai pensato a come potrebbe essere se  le circostanze ci avessero favoriti invece che ostacolarci?

Ma quali circostanze? Quando una é brutta é brutta, non é questione  di circostanze. E quando uno é fesso é fesso, pensó, ma non lo disse. Mi  hai guardata, in confronto alle altre?

Ah ah! esclamó lui. Sembrava che avesse previsto la risposta, tanto pareva soddisfatto. Qui ti volevo: tu non sei affatto brutta, hai solo la fama di essere brutta. Ed io non sono un ragazzino scemo, ho solo la reputazione del ragazzino scemo. Il guaio é tutto qui: viviamo portandoci  appresso una fama immeritata.

Doveva aver fatto una faccia tra l’incredulo e il compassionevole, perché lui sogghignó con aria astuta. Non mi credi? disse. Allora ti  racconto quel che mi é successo quest’estate al mare. Non l’ho mai detto a  nessuno, e se ne parlo con te non é per spandere, ma per farti capire cosa ho in mente e come mi é venuto in mente. 

La storia era incredibile, cioé lo era se si pensava che il protagonista era proprio il buon Puccio. Per il resto, santiddio, li conosceva benissimo i meccanismi di competizione che scattano tra le ragazze quando c’é di mezzo un maschio ambito. E questo ha sempre permesso ai figli di puttana di comportarsi da figli di puttana. Come Puccio al mare; ma bisogna pur dire che aveva qualche attenuante. Strano: se la stessa storia glie l’avesse raccontata una ragazza, sarebbe senz’altro insorta contro quel mascalzone. Cosí invece si trovava quasi a simpatizzare con quel povero Cristo che non aveva l’esperienza necessaria per rifiutare le ragazze che gli cascavano nel piatto. 

E allora, concluse lui, ti pare che ho ragione a parlare di  circostanze?

Sí, ma non vedo cosa ci si possa fare: le circostanze si subiscono  come tanti altri fatti della vita.

Ah ah! Di nuovo quell’esclamazione. Qui ti volevo: io sono invece convinto che circostanze come queste si possano anche fabbricare, se ci si  mette d’accordo. É per questo che ho pensato a te.

Ma che c’entro io?

Tu sei l’unica ragazza nella mia stessa situazione, che ci tiene ad uscirne, e abbastanza intelligente e di spirito da accettare un’idea pazzesca come quella che mi é venuta. E poi non c’é neanche il rischio che, se non ci stai, tu mi vada a sputtanare in giro: non ti crederebbero neanche. 

Grazie mille! No, hai ragione, non tradiró la fiducia che hai riposto in me. Ma adesso sono curiosa di sapere cos’hai pensato.

Guarda che non sará facile riuscirci. E forse non sará neanche facile per te capire il vero spirito della cosa.

Tu provaci lo stesso, poi vediamo.

Senti, per me é una cosa dannatamente seria. Prometti di non dare giudizi avventati, e lasciami finire di parlare prima di dire come la  pensi.

Prometto, prometto, ma tu sputa il rospo! Altrimenti ti faccio il  solletico!

Tieni giú le mani e stammi a sentire.

Tutta la conversazione si era svolta nella penombra della tavernetta del circolo dove il giro si riuniva. Giradischi a tutto volume, coppie che ballavano, altre coppie ammucchiate su divanetti e poltroncine, nessuno aveva fatto caso a Puccio e Patrizia che chiacchieravano in un angolo. Adesso peró, vedendo lei ridere spigliata e lui difendersi con malizia, molti occhi si erano voltati verso di loro. Occhi increduli, qualche brusio di commento, la sensazione diffusa che forse un certo equilibrio stava per rompersi e presto la compagnia avrebbe dovuto cercarsi degli altri capri  espiatori. Puccio se ne rese conto e provó un brivido di trionfo: il piano funzionava prima ancora di iniziare!

Meglio che ci eclissiamo, se vogliamo parlare con calma.

Tutte scuse, adesso mi hai incuriosita e voglio sapere tutto.

Si alzó, la prese per mano e la tiró su dalla sedia. Quanto pesi, dannazione! E lei continuava a ridacchiare. Traversarono tutta la saletta e  sparirono nella darsena.

Oh, eccoci soli. Hai visto come ci guardavano?

Nulla di speciale, secondo me. Ci guardano sempre quando ci spostiamo.

Sí, ma stavolta sembrava che avessero scoperto all’improvviso che la terra é piatta. E anche questo fa parte del mio piano.

Sentiamolo una buona volta, o non parliamone piú.

É giá tutto avviato: noi due adesso dobbiamo metterci insieme.

Cosa, cosa?

Aspetta: solo per finta.

Cioé senza far niente?

Puccio appariva imbarazzato. Non proprio, anzi, dovremo ostentare il piú possibile il fatto che stiamo insieme, arrivare a scandalizzarli.

Come, come?

Beh, insomma, non farmi entrare nei particolari, oppure sí, meglio parlar chiaro: dobbiamo fare tutto quello che fanno le coppie che stanno  insieme, e anche di piú, ma solo in pubblico.

Per finta? Non ti capisco, come si fa? E che ne ricaviamo?

Rispondo in ordine inverso. Ne ricaviamo una fama diametralmente opposta a quella che abbiamo. Non capisci? Varrá per tutti e due. Puccio non ha mai battuto un chiodo, adesso si mette con Patrizia e fa i numeri cinesi: che avrá Patrizia di cosí speciale? Patrizia ha sempre fatto tappezzeria, arriva Puccio e si scatena: che avrá Puccio di cosí speciale? Se facciamo le cose per bene e per gradi, non se ne accorgerá  nessuno che é tutta una commedia.

Comincio a capire. Poi ad un certo punto ci piantiamo, come é nella  logica delle cose…

…e si apre la caccia a Puccio e Patrizia, come mi é successo al mare! Avrai solo l’imbarazzo della scelta, e anch’io.

Cinzia?

Uh uh. Francesco?

Sí. Ma tu sei un genio! Mi chiedo come non ci pensino anche altri nelle nostre condizioni. 

Ci vuole una certa faccia tosta a proporre ad una ragazza una cosa del  genere.

Non mi hai ancora spiegato come faremo a farli fessi, cioé a fargli credere che facciamo chissacché mentre invece non facciamo niente.

Questa é la parte piú difficile.

Dimmi.

Niente, non si puó.

Non si puó cosa?

Far finta. Dovremo farlo sul serio, tutto quello che facciamo.

Ah. Ma allora che finta é?

Noi non stiamo veramente insieme, cioé non siamo innamorati, va bene? Quello che facciamo lo facciamo per finta.

Ma se mi hai appena detto che non si puó fingere…

Cioé, lo facciamo sul serio perché non si puó fingere, ma lo facciamo per finta perché non stiamo veramente insieme. É un po’ contorto, ma non riesco ad essere piú chiaro. Abbi pazienza, sono anche  imbarazzato.

Figurati io! Mi stai dicendo che, senza stare insieme, dovremmo baciarci, toccarci, etc. come una coppia vera?

In sostanza sí, ma solo per pochi attimi alla volta. Pensa a questa scena: Puccio e Patrizia si baciano appassionatamente, lui le accarezza il seno, lei gli tira via la mano e gli sussurra qualcosa all’orecchio, lui annuisce, si alzano e si vanno a chiudere in una cabina. Dopo mezz’ora escono  scarruffati e languidamente abbracciati, e si rimettono in compagnia come al solito. Cosa pensano tutti?

Non me lo far dire.

E invece noi in cabina ci siamo fatti quattro risate e una partita a briscola. Con dieci secondi di scena ci siamo guadagnati mezz’ora di credito. Ma la scena iniziale bisogna farla, altrimenti il gioco non vale la candela. Non dobbiamo farci credere una coppia di ragazzini che non sono in grado di andare oltre le vignette di Peynet: é quello che si aspettano  da noi.

Non so, sono perplessa. E non so, appunto, se ne valga la candela.

Ti prometto alito fresco tutti i giorni.

Non c’entra, ci devo pensare su: nessuno mi ha mai fatto una proposta del genere, che da un lato mi lusinga e dall’altro mi offende. Non so se vale la pena di fare tutto questo solo per guadagnare credito in questa compagnia. 

Io penso di sí, e sono disposto a provarci.

Bella forza, tu sei…

Cosa, un maschio? E tu invece una femmina? Ah, capisco, dimenticavo che le ragazze si stropicciano piú facilmente, poi é una seccatura stirarle col vapore. Ti credevo scevra da questi pregiudizi.

Senti, é inutile che ti nascondi dietro un dito. A te andrebbe bene comunque vadano le cose, invece io potrei barattare la fama di zitella con la fama di puttanella, il che non mi andrebbe proprio a genio. Le cose stanno cosí, e non si possono cambiare. 

E invece proviamo a cambiarle, dato che ci siamo. Insegnamo a questi stronzi cos’é un rapporto sano e sincero.

Sincero? Mi vien da ridere.

Volevo dire schietto, senza ipocrisie. Non siamo coinvolti emotivamente, ci troviamo nella posizione migliore per farlo. Iniziando da quando torneremo di lá: dobbiamo prepararci ad affrontare le inevitabili  battute e frecciatine dei curiosi.

Non ti ho ancora detto che accetto.

Lo farai, la mia idea é troppo buona. Ma anche se rifiutassi, ormai la  cosa é avviata.

Non lo so, mi fa un po’ orrore quest’amore progettato a tavolino.

Chi ha parlato di amore?

Oh, insomma, tutti desiderano un po’ di spontaneitá. Io non sono mai  stata con un ragazzo, pensavo che la prima volta sarebbe stata un po’ piú  coinvolgente.

E cosí sei arrivata ancora in bianco a sedici anni passati. É un  errore che ho fatto anch’io. Pensa che ti posso insegnare tutto ció che  ancora non sai.

Per esempio?

Lo vedi che accetterai? Non mi hai mandato a quel paese, la cosa ti  interessa.

Puccio, non ti riconosco piú. Ma sei proprio tu?

Te l’ho detto, quello che mi é successo al mare ha cambiato la mia vita. E voglio offrire la stessa opportunitá a te. Posso insegnarti quello che ho imparato, cosí quando ti capiterá il primo amore non sarai del  tutto sprovveduta.

Io pensavo che sarebbe stato il primo amore ad insegnarmi tutto.

Accetta il mondo per quello che é: i ragazzi non hanno pazienza, non so perché ma é cosí. Vi vogliono intonse ma esperte, é un bell’equilibrismo. 

A pensarci non hai torto. E non hai torto nemmeno sul resto.

Dobbiamo fare prima un po’ di prove. Non possiamo mica presentarci di lá e fare la scherma coi nasi. 

Come, la scherma coi nasi?

Adesso ti faccio vedere.

Ripensandoci, quella sera stessa, Patrizia si rendeva conto che, passando dalla teoria alla pratica, la cosa non era stata cosí terribile come aveva temuto. Anche svuotato del suo contenuto emotivo, una volta fatto il salto, il bacio era stato un esercizio piacevole e divertente. Non le aveva assolutamente fatto schifo, anche perché Puccio aveva dato il meglio del suo umorismo per far riuscire la cosa. Aveva imitato il comportamento degli altri del gruppo, ragazzi e ragazze, dimostrando un acuto spirito di osservazione; aveva dato consigli utili, paragoni buffi (pensa a quando ti lasci leccare dal tuo cane). Soprattutto le aveva dato l’idea che la cosa fosse sana, pulita, allegra. Dovevano aver dato un’impressione bizzarra: due che si sbaciucchiavano ridendo come dei matti, certo avevano dato nell’occhio. E anche questo faceva parte del famoso piano. 

Quando lui aveva deciso di tornare di lá, il fatto era giá sulla bocca di tutti. Aveva aspettato apposta un lento, cosí da potersi piazzare a ballare avviticchiati in mezzo alla pista, continuando a baciarsi e  sussurrandosi all’orecchio commenti ed impressioni. Al terzo lento qualcuno aveva staccato il giradischi all’improvviso ed acceso tutte le luci. Lei era trasalita, sebbene fosse stata avvertita che c’era il pericolo di qualche scherzo; ma lui l’aveva abbracciata saldamente ed aveva continuato a ballare come se nulla fosse. La delusione degli autori della burla era stata evidente: si aspettavano pudici rossori e una fuga di Bach. Invece Puccio le aveva sussurrato all’orecchio che era il momento di darci dentro, e si erano incollati bocca a bocca. Era accaduto tutto cosí in fretta che  pareva che si stessero baciando giá da prima. E cosí continuarono a ballare senza musica, soli in mezzo a mille watt di luminarie, senza  palesemente curarsi del mondo circostante.

Infine le luci si erano rispente, la musica aveva riattaccato, e tutto era proseguito come prima. Patrizia, che all’inizio avrebbe voluto sprofondare, adesso iniziava a divertirsi per davvero, e soprattutto  ammirava il sangue freddo di lui: doveva essere veramente deciso.

Adesso ci separiamo: non so, tu vai alla toilette, ed io a bere qualcosa. Ricordati il sorriso della Gioconda. Furono le sue ultime istruzioni per quella sera. Il sorriso della Gioconda era quello che lei avrebbe dovuto fare in risposta alle domande volutamente imbarazzanti che le sarebbero senz’altro arrivate non appena si fosse trovata da sola: per fortuna anche in questo Puccio ci aveva visto giusto, cosí era potuta essere preparata a quello che accadde nel corridoio dei bagni. 

Paola, Laura e Stefania, tre ragazze tra le piú svelte del giro, la stavano aspettando al varco, parevano i bravi con Don Abbondio. Senti un po’, dimmi una cosa, e giú risolini maliziosi e domande imbarazzanti. Patrizia non s’era mai divertita tanto: com’era prevedibile la gente! 

Il sorriso della Gioconda funzionó alla perfezione come risposta alle domande piú scabrose. Quanto ce l’ha lungo? Sorriso malizioso ed alzatina di spalle. Te le ha toccate le tette? Altro sorriso malizioso. Alla fine si rassegnarono e la lasciarono passare verso la toilette. Da dietro la porta  poteva ancora cogliere il brusio sorpreso e scandalizzato di quelle tre  galline.

A Puccio al bar andó ancora meglio. Certo non era stato facile, aveva  voglia di un buon whisky, ma ordinó il solito skiwasser. Ed ecco piombargli addosso il gruppo dei falchetti e versargli mezzo bicchiere con una pacca sulla schiena. Cordialitá affettata, vieni qua, dicci tutto, e  giú domande se possibile ancora piú scabrose, pronti allo sfottó a qualsiasi risposta. Puccio tace, sa bene che qualsiasi cosa dica la butteranno in presa per i fondelli, si limita a sorridere, alzare le spalle, rispondere: eh…, o: ah…, o al massimo: mah… agli incalzanti quesiti dei ragazzi. E alla fine se ne esce con il classico aforisma: un  gentiluomo ‘ste cose le fa, ma non le dice.

Gelo: una risposta del genere non se l’aspettavano proprio. É stato un grosso rischio (il solito Puccio che vive fuori dal tempo etc. etc.) ma ha sortito lo scopo: a questo non sanno proprio cosa rispondere. Soprattutto brucia di non essere riusciti, in tanti, ad intimidirlo o imbarazzarlo. Due parole ancora e poi con una scusa o con un altra il gruppetto si disperde. 

Puccio e Patrizia si rincontrarono poco dopo in un posticino appartato, e nessuno venne piú a rompere loro le scatole: ormai l’ordalia era superata. 

Com’é andata? Come avevi detto tu: sono arrivate a chiedermi quanto ce  l’hai lungo. Pensa che a me hanno chiesto se sapevo dove ce l’avevi. Che  manica di stronzi. Beh, é una reazione allergica: quanto é successo li ha scioccati. Ma se non abbiamo fatto né piú né meno di quello che fanno gli altri! Li ha scioccati il fatto che fossimo noi due: i brutti anatroccoli  che scoprono vicendevolmente la loro natura di cigni. E adesso che si fa? Ci si dá un bacio e si menano le ruote: andiamo a casa. Ma sono solo le undici! E chi lo sa dove andiamo? Ci crederanno imboscati da qualche parte.

Li vidi allontanarsi insieme sui motorini, ridendo felici. Anch’io ero rimasta scandalizzata da quest’improvviso amore tra i due paria della compagnia, ma pensavo che fosse una naturale evoluzione delle cose: a Roma  dicono che Dio li fa e poi li accoppia.

E dato che da questo momento entro in questa storia in prima persona, non vi dispiacerá se mi fermo qui sino alla prossima puntata.

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