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Generale Lorenzo Gabbati

Pubblicato da poetto il 3 giugno 2009

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Sabbia, quanta sabbia in questo deserto infinito.
Il nemico è a pochi chilometri da noi.
Dicevano che nel deserto c’è caldo, di giorno sicuramente ma di notte non è poi così caldo.
Un bengala, un altro.
Temo che questa notte sarà movimentata.
Sono passati cinquant’anni da quel giorno.
Quello era l’inizio di una triste prigionia durata cinque lunghi anni.
Cinque anni d’inferno, privazioni, sofferenze.
Mi sveglio ancora urlando il nome di persone che il tempo s’è portato via.
La mia vita non è stata più la stessa da quel giorno.
Quando tornai a casa trovai una città a pezzi, stentai a riconoscerla.
Macerie dappertutto, la nostra casa a pezzi, i miei costretti a vivere dentro una scuola.
La guerra ha colpito tanti, non solo me.
Tanti non sono più tornati.
Nel campo allestito in India, c’era Giovannino, il mio vicino di casa.
Eravamo partiti assieme, due ragazzini.
Ci siamo ritrovati assieme nella disgrazia della prigionia.
Quando se ne andato ho pensato alla madre, signora Pina.
Mi sono rivisto bambino, a casa di signora Pina.
Quando sono ritornato dalla prigionia, signora Pina non era più la stessa.
Mi guardava come se Giovannino l’avessi ucciso io.
Lessi, in un giornale locale, che il nostro comandante, il Generale Lorenzo Gabbati, era stato fatto prigioniero.
Un trafiletto di poche righe.
Ricordo di aver pensato :”anche lui prigioniero, povero!”
L’anno dopo, casualmente, trovai un giornale con le foto del luogo di prigionia del Generale.
Una villa nella campagna Inglese.
Non riuscivo a credere ai miei occhi, non riuscivo neanche a finire l’articolo.
Non poteva essere vero!
Un parlamentare denunciò il Generale per avere “venduto” la resa della nostra divisione in cambio di importanti “favori”.
In base a quella denuncia era emerso che le forze che il nemico aveva schierato erano molto inferiori alle nostre.
La mossa del Generale aveva, però, fatto vincere loro una battaglia che non avrebbero potuto vincere.
La guerra fredda ha lentamente, ma inesorabilmente, riabilitato il Generale.
Serviva gente esperta in campo militare, lui sicuramente lo era.
Ho sempre cercato di tenermi informato e di capire se le voci, soprattutto la denuncia, fossero fondate.
Quello che riuscì a sapere fu che il Generale era diventato, col tempo, un importante ufficiale della Nato.
Solo pochi trafiletti davano notizie di questa persona.
Non ero riuscito a sapere più nulla di importante fino a pochi anni fa.
Due anni fa, un settimanale, riportava la notizia che era stato riaperto il caso del Generale Lorenzo Gabbati.
“L’ufficiale, ormai in pensione da anni, è accusato di aver offerto la resa della propria divisione, in cambio di benefici personali”.
Il settimanale riportava un lungo articolo, dove lo sia accusava pesantemente non solo di alto tradimento ma anche di altri gravissimi reati.
“Che disgraziato!” pensai tra me e me.
E’ possibile, però, che lo si processi ora, a novant’anni suonati?
Non è giustizia questa!
Quel processo andava fatto tanti anni fa, per rispetto ai tanti poveri diavoli che hanno patito le pene dell’inferno per colpa sua.
Non avrei mai pensato che ci fossero persone così schifose.
Approfittare della disgrazia di migliaia di giovani soldati, per fare la propria fortuna.
Anche se lo processassero ora, sarebbe ugualmente troppo tardi.
Cosa possono fargli? Mettere in galera un vecchio di novant’anni, questa è giustizia?
Certo sarebbe una condanna simbolica, per rispetto ai tanti che in lui hanno creduto e combattuto, ma simbolica.
Leggo che il tribunale dove si terrà il processo è quello della mia città.
Voglio proprio vederlo in faccia questo disgraziato.
Dopo svariati mesi si apre il processo.
Le accuse sono pesanti, se fossimo in guerra, sicuramente, sarebbe finito davanti ad un plotone d’esecuzione.
Eccolo, lo vedo uscire dalla macchina.
Arzillo come un grillo.
Portamento marziale e camminata sicura.
Ha novant’anni ma ne dimostra venti in meno.
Durante la guerra non l’avevo mai incontrato.
Giovannino, che conosceva un tipo dello stato maggiore, mi disse che lui era una brava persona.
Giovannino aveva una buona impressione del Generale.
Michele, il tenente, mi aveva detto che lui aveva dei modi paterni.
Chi lo conosceva ne parlava bene, ne ammirava l’umanità dimostrata quando presiedeva la corte marziale.
Era tutta scena, evidentemente.
In realtà, la vera natura del Generale, era un’altra.
Era quella di un uomo pronto a vendere la vita di tanti poveracci in cambio di propri vantaggi.
Il processo prosegue.
Resto sconvolto davanti all’indifferenza dei media.
Pochi seguono il processo, che viene anche viene rinviato.
Anche se dovesse finire in una condanna questa, vista l’età, non verrà mai e poi mai scontata.

In biblioteca trovo un volume che parla, tra le altre cose, della “mia” divisione.
Lo porto a casa, inizio a leggerlo.
Secondo questo testo, solo 6000 uomini della divisione, rientrarono dopo la fine della guerra.
Una foto ritrae il Generale davanti alla sua macchina nera, sorridente come sempre.
Il libro conclude dicendo che il Generale si era arreso insieme alla propria divisione, senza, però, dire quali fossero le circostanze della resa.
Poi si sofferma a parlare della brillante carriera del Generale.

Da quando sono pensionato passo le giornate a leggere e fare passeggiate.
Prima, quando erano più piccoli, portavo i nipoti alle giostre, ora sono troppo grandi.
Il parco è il mio posto preferito.
Fino all’anno scorso ci andavo con Mario, ora lui non c’è più.
Gli anni portano via tanta gente, si resta sempre di meno.
Il numero di “facce” note, si assottiglia anno dopo anno, un processo lento ma inesorabile.
Prendo il quotidiano e, per almeno un’ora, resto seduto sulla panchina del parco a leggerlo.
“ Colto da malore il Generale Lorenzo Gabbati …ricoverato presso l’ospedale…” leggo con sadico piacere la notizia.
“Ben fatto!” mi dico mentalmente.
Sono curioso di vederlo in faccia a questo disgraziato.

Ore 19, orario di visite.
Entro nel reparto dove è ricoverato.
Eccolo!
Lo intravedo in una stanza, oramai il suo viso mi è noto.
È solo in stanza.
Mi aspettavo dei poliziotti fuori a sorvegliarlo, invece non trovo nessuno.
Mi avvicino, ha una flebo al braccio destro, dorme.
Lo guardo.
Questo farabutto ha venduto al nemico le nostre vite, la nostra dignità, non merita nulla.
Mi viene voglia di svegliarlo e dirgli che razza di farabutto sia.
Apre gli occhi.
. Buongiorno! – dice con voce flebile, impastata.
. Buongiorno- rispondo io.
. Mi scusi, forse ha sbagliato stanza.
. Cercavo proprio lei – mi guarda cercando di fare mente locale per ricordare il mio volto.
. Mi perdoni… non credo proprio di conoscerla.
. Sei un lurido farabutto! Hai venduto la nostra vita…io, per colpa tua, ho fatto cinque anni, dico cinque anni di prigionia.
. Come si permette ad entrare nella mia stanza? Fuori di qui- il Generale non ha molta voce, la debolezza, uniti all’età avanzata, gli fanno emettere un suono piuttosto flebile.
La sua arroganza mi irrita sempre di più.
Anche ora, davanti al poco tempo che gli resta, non mostra un minimo di pentimento per il gesto ignobile che ha compiuto.
Mi giro per vedere se entra qualcuno, intanto il Generale, ha preso qualcosa dal comodino e lo sbatte contro il letto, rumorosamente, per attirare l’attenzione del personale.
Preferisco uscire dalla stanza.
“Non può vincere lui! Ha sempre vinto lui, finora”.
Mi avvicino alla porta, mi giro verso di lui, ha ancora in mano qualcosa.
. Se ne vada! Non devo dare a lei spiegazioni del mio operato…ha capito?!
. Non riesco a credere a quello che sento! Sei un lurido schifoso.
. Fuori ! – tenta di gridare il Generale.
. No! Mi devi chiedere scusa per quello che hai fatto. Hai capito brutto schifoso?
Come risposta mi tira l’oggetto che ha in mano.
Non ci vedo più.
Preso da un raptus di nervosismo, che mi acceca, prendo il cuscino, lo premo contro il suo viso.
Premo con tutte le forze che ho.
Il Generale tenta di liberarsi, la sua presa diventa sempre più debole.
Le sue mani cadono ai bordi del letto.
Lo ucciso, mio Dio! Lascio immediatamente il cuscino.
Il cuore mi batte a mille.
Sono stravolto, non volevo arrivare a questo.
Il mio intento era solo quello di avere delle scuse, un modo per riscattare le memoria dei tanti che non sono più qui.
Sollevo la testa del Generale, gli posiziono il cuscino come era prima.
Esco dalla stanza, sperando che nel trambusto dei parenti in visita, nessuno mi noti.
Esco dall’ospedale con calma, anche se il cuore mi batte forte.
Salgo in autobus, mi siedo.
Una signora continua a guardarmi.
. Mi scusi, si sente male?! – dice la signora.
. Non sto molto bene, ma passerà. Grazie signora – devo avere un viso sconvolto. Le gambe mi tremano.

Non riesco a credere di aver fatto quello che ho fatto.
Esco, come sempre, a prendere il giornale, sono nervoso ed in casa se ne accorgono tutti.
Vado al parco, apro il giornale.
“ Dopo una breve malattia, all’età di 92 anni, è morto il Generale Lorenzo Gabbati…”.
A quanto pare nessuno si è accorto di me, la morte è passata come naturale.
Non volevo arrivare a questo per ottenere giustizia.
Mi porterò questo peso fino all’ultimo giorno della mia esistenza.

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