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Ultimo indirizzo conosciuto – parte prima

Pubblicato da poetto il 6 febbraio 2010

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Quando accettai quell’incarico non intuivo, neanche lontanamente, in quali pasticci mi sarei cacciato.
Era una calda mattina di luglio, verso le due del pomeriggio un amico mi chiama al cellulare.
. Ciao, sono io. Senti ho un lavoretto per te.
. Dimmi, di che si tratta? – Carl, un amico di vecchia data, era solito fornirmi dei lavoretti, così li chiamava lui. Solitamente si trattava di piccoli furti oppure il trasporto di qualche cosa che scottava.
. Ci possiamo vedere domani mattina al Green?
. Certo! – il Green è un pub, il “nostro” pub.

20 luglio.
Alle 10 Carl varca la porta del pub, gli faccio un gesto con la mano, lui si avvicina, mi sorride.
Assieme a lui entra un tizio che si siede a poca distanza da noi; prima che entrassero ho visto Carl parlare con lui, forse voleva solo un’informazione.
Il locale è praticamente vuoto, a parte noi due, il gestore ed il tizio seduto dietro di noi.
Il lavoretto richiestomi è quello di portare una macchina al 2020 della ventiseiesima strada.
Devo parcheggiarla proprio davanti all’ingresso della casa.
Solitamente non faccio domande, eseguo e poi riscuoto, questa volta, però, il lavoretto è particolarmente insolito e il compenso piuttosto elevato.
Devo portare, per mille dollari, la macchina il giorno dopo alle sei del mattino.
. Alle sei? Che fretta!
. La macchina è di un dirigente di una grossa azienda. Quando l’abbiamo portata via c’erano dei documenti importanti. In pratica lui ci sta pagando per rendergli quelle carte. Sicuramente sono, per lui, molto importanti. Allora tu parcheggi davanti al 2020 della Ventiseiesima strada, poi chiamiamo il tipo per dirgli dove si trova la macchina. Il tipo abita lì vicino.
. Va bene! Alle sei!
. Sai dov’è la zona?
. Certo! Prima c’era un locale, ora non ricordo il nome…comunque ho capito dov’è.

Le sei del mattino sono un’ora decisamente insolita.
I mille dollari fanno sparire qualsiasi domanda o perplessità.
Come finiamo di parlare, Carl, mi accompagna nel retro del locale dove è parcheggiata l’auto.
È una berlina grigia.
Il Green è proprio dietro casa mia, ci sono arrivato a piedi.
Ore venti, il telefono squilla.
. Pronto!
. Buona sera, sono il sergente Brucke della stazione di polizia di Albany. Senta suo figlio Mark…
. Oh no! Cosa ha combinato questa volta?
. Guida in stato di ebbrezza.
. Magnifico!
. Ha avuto un incidente e ora lo stiamo portando al General Hospital di Albany. I medici mi hanno detto che non è grave, però, come può capire, è ancora presto per…
. Il tempo di prepararmi e parto.
Il poliziotto mi rassicura sulle condizioni di Mark, secondo i medici che l’hanno soccorso se la caverà con una gamba ingessata.
Per fortuna non ha creato danni ad altri.
Mi sono sempre considerato un abile professionista ed ho sempre cercato di non dare nell’occhio con spese folli, forse è anche per questo che non sono mai stato preso.
Questa storia mi costringe a rivedere i programmi per domani.
Devo assolutamente trovare qualcuno che porti l’auto al posto mio.
Non ritengo questo un lavoro di particolare pericolo, quindi lo delegherò a qualcuno di fiducia.
Il candidato ideale è mio cugino George.
Sicuramente sarà “parcheggiato” al Green.
Esco di casa con 300 dollari.
Come previsto lui è lì.
Ho fretta, gli spiego velocemente di cosa si tratta, lui sorride; talmente il lavoro è facile che pensa che lo stia prendendo in giro.
500 dollari, 300 subito e 200 a lavoro finito, per parcheggiare un’auto. La cosa la trova comica.
Comunque accetta.
Anche lui conosce la zona dove si trova la casa, anche lui frequentava quel locale che esisteva una volta in quei pressi.
Parto verso Albany, lontana un’ora d’auto, circa.
Ho divorziato con Mary da tre anni, solo Mark ci lega.
Lei abita in una cittadina a pochi chilometri da Albany, si è fatta una nuova vita.
La chiamo per informarla dell’incidente.

21 luglio.
George attraversa la Main Street diretto verso la Ventiseiesima strada, mancano dieci minuti alle sei.
Non c’è traffico.
L’auto entra nella Ventiseiesima, rallenta in prossimità dell’incrocio con Howell Street, fa pochi metri.
In corrispondenza del civico 1800, l’auto esplode.
Apprendo la notizia in ospedale, verso le otto del mattino.
Sono dentro la stanza con Mary e Mark quando il telegiornale dice che un’auto bomba è esplosa verso le sei del mattino nella Ventiseiesima.
Resto di sasso.
Probabilmente impallidisco, mi siedo per riprendermi, intanto la tivu’ continua dicendo che l’esplosione ha fatto crollare anche un edificio a due piani.

22 luglio.
Carl non risponde al telefono.
Non è rintracciabile da molte ore, il suo cellulare squilla a vuoto.
I sensi di colpa mi fanno star male.
Volevo bene a George, non avrei mai chiesto, e tanto meno sarei andato io, a lui di fare questo lavoretto se avessi saputo a quale pericolo andava incontro.
Mark ne avrà per diversi giorni.
Rientro a casa, la madre resta a guardarlo in ospedale.
Passo al Green.
Il cameriere, Fred, mi da un’altra orribile notizia.
Carl è stato trovato morto nella sua casa.
Un colpo di pistola.
Si è ucciso.
Chiedo altri ragguagli, ma nessuno sa più di tanto.

23 luglio.
Il telegiornale del mattino apre dicendo che i terroristi hanno rivendicato l’attentato con l’auto bomba.
La persona che, assieme alla famiglia, abitava nella casa era un esperto di guerra elettronica di Fort Galland, una base a pochi chilometri dalla città.
Lui aveva guidato, dalla base, un drone senza pilota per uccidere il numero due di una organizzazione terroristica.
Capisco di essere in un mare di guai.
Temo che quello che è successo a Carl possa succedere anche a me.

24 luglio.
Capisco di essere entrato in un “gioco” più grande di me.
Non so, però, cosa fare per uscirne.
Decido di sparire per qualche giorno, giusto per capire come stanno le cose e se corro pericoli.
Andrò verso Albany.
La cosa mi pesa parecchio. Vorrei andare ai funerali di George e Carl.
Mi secca non andare da Mark.
Il fatto è che qui rischio grosso anch’io. Fino a quando non avrò capito come stanno le cose, mi eclisserò per un po’.
Sono in cucina a fare colazione quando sento dei rumori.
Tutto si svolge in modo rapido, non mi rendo quasi conto di quello che sta accadendo, mi ritrovo a terra con delle manette ai polsi.
Mi portano via dentro un’auto dai vetri oscurati.
Nessuno mi dice nulla.
A nulla serve lamentarmi, chiedere dove mi stanno portando.
A nulla serve far presente che questo è un sequestro di persona.
Mi portano dentro una grande stanza di una vecchia abitazione.
Un tipo robusto si avvicina a me, ha in mano un fascicolo dalla copertina rossa.
. Allora…vedo che lei è di origine irlandese…signor O’hara…giusto?
. Spero che almeno lei mi dica per quale motivo mi trovo qui…contro la mia volontà.
. Suppongo che l’abbia intuito. Comunque…lei è sospettato, diciamo così, di essere implicato nell’attentato al sergente Carter. Abbiamo tutta una serie di elementi che, direi inequivocabilmente, ci portano a lei.
. Senta io non c’entro nulla con questo attentato – il tipo sorride. Mi guarda con una faccia cattiva. È evidente che non mi crede. Pensa, sicuramente, che io ci sia dentro fino al collo in tutta la vicenda e ritene, probabilmente, di avermi preso prima che tentassi la fuga. La realtà invece è un’altra. Sono stato incastrato e due miei amici ci hanno anche rimesso la vita.
. Stavamo pedinando una cellula terroristica…le dice niente il Green? Guardi queste foto – mi mostra una serie di fotografie dove si vede in modo chiaro la persona che seguiva Carl. Alcune foto sono fatte all’interno del Green, si distingue in modo chiaro la mia figura assieme a Carl e allo sconosciuto. In un’altra foto ci sono io e Carl davanti all’auto che poi è esplosa.
. Non è come lei pensa…non conoscevo quell’uomo. Lo conosceva Carl, non io.
. Che è morto e non può più dire nulla. Senta non ci faccia perdere tempo. Guardi, sono convinto che lei l’ha fatto per soldi, non credo che sia un fanatico terrorista. Pensava di avere più tempo, invece noi eravamo alle calcagna dello sconosciuto, come lo chiama lei. Forse, per lei, è stato il male minore il fatto che l’abbiamo trovata prima noi, guardi cosa è successo al suo amico Carl.

Un commento a “Ultimo indirizzo conosciuto – parte prima”

  1. andrea dice:

    Ciao Poetto,
    interessante come inizio, ma un po’ poco per dare un’opinione più completa…
    Resto in attesa del seguito :)

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