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Ultimo domicilio conosciuto – parte seconda

Pubblicato da poetto il 22 febbraio 2010

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23 maggio.
Il comandante ha indetto un briefing.
Alle otto e sette minuti ci troviamo nella sala conferenze.
Il colonnello Kennet ha vicino a se un tipo in borghese, un tale signor Horton, non ci vuole molto per capire dove lavori.
Quello che esce fuori dalla riunione è che un capo di una organizzazione terroristica è stato individuato in Pakistan.
Il mio compito è quello di guidare un drone armato per eliminare questa persona e la sua scorta.
L’esercito ha deciso di aumentare l’uso delle armi senza pilota; ha deciso, inoltre, di utilizzare le nostre basi, in modo da garantire la maggiore sicurezza possibile agli operatori e creare il minor impatto possibile derivato dalla presenza di uomini e armi nel territorio di operazioni.
Le informazioni in nostro possesso danno come certa la presenza di questa persona, il numero due di una brutale organizzazione terroristica, assieme alla sua nutrita scorta, in una zona tribale.
Questo tipo, un tale Yabur, sarebbe in procinto di prendere le redini dell’organizzazione, il che vorrebbe dire un aumento considerevole dell’attività terroristica.
Mi padre era pilota di B52 in Vietnam.
Non amava raccontare le sue avventure di guerra, così le chiamavo io quando ero bambino.
Un giorno mi disse che lui non sapeva quanta gente era morta per colpa sua; loro volavano alti nel cielo, non avevano percezione delle vittime che le bombe, inevitabilmente, causavano, sicuramente dovevano essere tante.
Per dare il via all’operazione manca solamente l’ordine operativo.
Un giorno sono andato a seguire, tra il pubblico, un’intervista televisiva al pilota dell’Enola Gay, Tibbets.
Aveva causato, con lo sgancio della bomba atomica, un numero incredibile di vittime. Raccontava di dormire tranquillo, non aveva perso neanche un’ora di sonno e non aveva rimorsi per quello che aveva fatto.
Alla fine della giornata le frasi di Tibbets mi risuonano nella testa.
Non mai ucciso nessuno e, a dire il vero, stando qui in America, non pensavo neanche di farlo.
Tutto è cambiato quattro anni fa.
Un nuovo e formidabile drone è apparso.
Lo abbiamo testato nel deserto del New Messico; non era in grado di sostenere distanze elevate e non aveva una grossa possibilità di carico, inoltre andava guidato nei pressi del punto di partenza.
Si sa, la tecnologia va avanti a passi da gigante.
Alla fine dello scorso anno è apparso lui, il drone in dotazione alla nostra base; un vero e proprio mostro, in grado di essere pilotato a migliaia di chilometri di distanza e con la possibilità offensiva di poco inferiore a quella di un aereo da caccia.
La notte non riesco a dormire.

24 maggio.
Il generale From, assieme al colonnello Kennet, si avvicina, ha in mano una cartellina.
- Buongiorno! – mi dice il generale facendo il saluto militare.
- Buongiorno signore! – gli rispondo alzandomi in piedi.
- Allora sergente…ho appena firmato l’ordine operativo. La prima linea è arrivata fino a noi…non è vero Kennet? – dice il generale girandosi verso il colonnello – So che per la base questa è una novità. Non è semplice sentirsi in prima linea stando a pochi chilometri da casa. Siamo militari e conosciamo l’evoluzione dell’approccio con il nemico. Ok! Procediamo.
- Si signore!

La telecamera del drone ripropone la visione di una strada in mezzo alla montagna, c’è ancora della neve.
Una colonna di tre Suv scuri percorre quasi solitaria questa strada, sono loro il mio obbiettivo.
Probabilmente non si sono neanche resi conto di quello che gli stava succedendo.
In un attimo e tutto, per loro, è finito.

25 maggio.
Compro il giornale locale per vedere se ci sono notizie.
Nulla.
In un quotidiano nazionale trovo un trafiletto che recita: Ucciso, durante un’incursione aerea, il numero due dell’organizzazione terroristica…
Neanche la televisione ne parla più di tanto.
Il telegiornale della Cnn ne parla brevemente in modo vago.
Probabilmente si è scelto di minimizzare la notizia.

20 luglio.
Mio figlio, Robert, dice di aver visto un signore davanti a casa nostra.
Secondo lui ha messo qualcosa nel palo della luce, gli ha visto fare degli strani movimenti.
Lui è appassionato di spionaggio e secondo lui ha messo un segnale per qualche spia.
Sorrido, gli spiego che difficilmente delle spie sceglierebbero il palo della luce davanti a casa nostra come punto d’incontro.
A dodici anni la fantasia porta a conclusioni strampalate.
Alle dieci di sera torniamo dal cinema.
Robert aveva insistito tanto per vedere quel film, alla fine l’abbiamo accontentato.
Fa caldo.
Manca la luce in tutta la zona, apriamo le finestre per fare un po’ di corrente d’aria.

21 luglio.
Mancano cinque minuti alle sei.
Un brutto sogno mi fa svegliare di colpo.
Pilotavo un B52 assieme a mio padre, all’improvviso un missile colpisce un motore e noi precipitiamo, cerco il paracadute ma questo non si trova.
Sono un militare, ho scelto io questo lavoro, inoltre avendo dichiarato guerra al terrorismo, quei tre Suv, con relativi equipaggi, rientravano a pieno diritto nei bersagli leciti, non dovrei avere questo genere di conflitti interni, invece li ho.
Mi affaccio alla finestra, vedo una berlina grigia che attraversa l’incrocio davanti a casa.
Come arrivava davanti al “nostro” palo della luce sento un click, tutto è rapidissimo, questione di attimi.
Una luce, un boato investono la casa.

Un commento a “Ultimo domicilio conosciuto – parte seconda”

  1. andrea dice:

    Ciao poetto,
    ecco ora sono completamente confuso…
    Staremo a vedere.

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