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IL RISVEGLIO

Pubblicato da rossanocrotti il 21 aprile 2008

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IL   RISVEGLIO 

Tutto quello che fino a pochi istanti prima era la realtà, diventò improvvisamente il buio. Un buio sempre più reale. Il sogno svanì e dopo un lento risveglio, rimase soltanto un vago ricordo sempre più lontano. La realtà di Roberto iniziava ora. Alle sette e trenta di un Sabato mattina di fine inverno, dopo un sogno che gli sembrava fosse durato una vita. Ora Roberto non sapeva da che punto del sogno partire. Non ricordava la realtà della sua vita. Gli sembrava di dormire da un secolo e non sapeva nemmeno cosa avesse fatto la sera prima. Era confuso. Alzò la persiana. Quel mattino si presentava con una nebbia fitta che non lasciava nemmeno intravedere  il palazzo di fronte appena costruito.Roberto viveva in città, una città troppo grande per lui. Una città che odiava, perchè, come diceva lui: “era impossibile capire l’essenza dei rapporti umani nella loro semplicità”. Questi venivano condizionati dalla frenesia, dalla freddezza e dalla distaccata  diffidenza di chi, vivendo in una metropoli, era quasi obbligato a gestirsi la sua vita come un automa. Vivendo in un condominio dove non si conosceva neanche il vicino di casa. Palazzi a perdita d’ occhio, i bar pieni di gente, il  traffico che scorreva lento e rumoroso sotto enormi cartelloni pubblicitari e la metropolitana piena. Questa era la realtà di Roberto. Quella realtà a cui era improvvisamente ritornato dopo una notte nella quale il suo cervello l’ aveva portato chissà dove. Ruggero? Giovanni? Valeriana? …………….Chi erano ?….Era tutto un sogno. O forse almeno in parte. Qualcosa di vero Roberto l’aveva vissuto realmente. Ma non sapeva cosa. L’ascensore scese veloce i quattordici piani  del palazzo in periferia. La Uno color oliva sbiadito si mosse agile nel traffico di un’insignificante mattinata nebbiosa di una città nella quale avere un’identità è sempre più difficile. I muri del palazzo sulla destra sono pieni di scritte e i cassonetti dell’immondizia trasbordano di sacchetti. Roberto salì da Cristiano. Lo trovò steso per terra con le gambe su una sedia mentre cercava di fare ginnastica. E contemporaneamente mangiare uno yogurt.  Lo stimava per quello e perchè alla sua età, da intraprendente neodiplomato di periferia se ne era andato a vivere da solo in quel piccolo, ma ben arredato bilocale. Mentre lui continuava a fare le sue flessioni, il nostro amico  guardava fuori dalla finestra. L’appartamento era al decimo piano e dava sulla città. Da li si poteva vedere tutto. Tanto cemento gli dava l’angoscia. Cristiano alla parete aveva un poster di Cuba, col sole e la spiaggia con le palme. Si misero d’accordo per il giorno dopo, sarebbero andati in montagna. La serata la passarono indifferente fra insegne, fiumi di gente, pioggia e rumore. Roberto aveva voglia di urlare, pensava ancora a quel sogno, quel sogno dove era protagonista, dove stava bene. La vita che gli si era ridimensionata attorno al risveglio quella mattina, era la vita che avrebbe voluto dimenticare, dove tutto andava bene ma dove non era lui il pilota. Tutto era senza emozioni, tutto era piatto. E i sentimenti non trovavano il loro spazio. Roberto stava cercando lavoro e suo padre stava facendo di tutto per convincerlo a mettere il camice e aiutarlo nel suo negozio di alimentari . Quella sera la luna non si vedeva.   Quella sera, fra il rumore di sirene della polizia e prostitute lungo il viale sotto la luce dei lampioni sommessa dalla nebbia, Roberto incontrò un barbone. Senza averlo mai visto, questo tizio  vestito di stracci e con un cappellino in testa si avvicina a lui, lo guarda negli occhi e gli dice: “A volte i sogni possono essere la stessa realtà, devi essere tu l’ artefice del tuo destino”.  Era di corporatura robusta, aveva uno sguardo di ghiaccio e portava un pizzetto ben curato . Assomigliava incredibilmente al Ruggero. Per Roberto, i personaggi che aveva sognato, erano diventati così familiari da confonderli con la realtà. Dopo aver detto quello, il barbone sparì, senza lasciare traccia.E Roberto tornò nel suo appartamento dopo aver fatto passare l’ennesima serata senza sapore, un’ altra serata come tante, una serata che non lascia dentro niente. E pensava a Valeriana, a quel personaggio così reale, quella storia d’amore che aveva sognato  la notte precedente . Ore due e quaranta. L’ascensore salì  rapidamente i quattordici piani.  

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