John stava volando in prossimita’ di Giove. Adorava Giove, la sua maestosita’, quell’occhio rosso che si muoveva, pacato e turbinoso allo stesso tempo.
Mentre era al lavoro passava spesso del tempo li’, sospeso nel vuoto, ad una distanza che gli permettesse di avere una visuale completa dell’enorme mole gassosa.
Semplicemente se ne stava la’ a guardarlo. Di solito andava senza vestiti: gli piaceva sentire il freddo dello spazio sulla sua pelle. O almeno quella parte della sensazione di freddo che raggiungeva la sua coscienza.
Ogni tanto qualche detrito lo trapassava da parte a parte, ma anche questo veniva automaticamente attutito, in modo da permettergli di continuare in tutta tranquillita’ a rilassarsi, mentre il suo corpo procedeva nella sua orbita attorno al gigante del Sistema Solare.
Si accorse che gradualmente tutto attorno a lui diventava piu’ luminoso. Il cielo da nero andava facendosi pian piano grigio, fino ad arrivare ad un bianco quasi accecante.
Sapeva cosa stava per succedere…
All’improvviso si trovo’ seduto alla sua postazione: il turno di lavoro era terminato, ed il suo neurochip era stato disconnesso dal sistema che forniva alla sua mente i dati sensoriali artificiali. Ci sarebbe voluto ancora qualche secondo prima di poter riprendere il controllo del suo corpo.
Nel frattempo, osservo’ le sue mani che, precise e delicate come solo un umano puo’ essere, ma veloci come solo il controllo di un computer puo’ permettere, assemblavano i componenti elettronici di un’interfaccia per neurochip. Era l’ultimo grido in fatto di gadget tecnologici: poteva collegarsi con gran parte dei modelli di neurochip esistenti, anche i piu’ vecchi, permettendo, oltre alle funzioni base (controllo motorio e stimolazione sensoriale), anche operazioni tra le piu’ avanzate, come l’interazione con un Sognante.
Le sue mani smisero di lavorare sull’ ultimo pezzo di quella giornata, scollegarono i tubi che avevano fornito al suo corpo il nutrimento necessario durante il periodo di operativita’ controllata, e si misero a riposo sulle sue gambe. Un leggero formicolio sulla nuca era il consueto segnale che indicava che il computer della fabbrica stava per restituire il controllo del corpo al cervello. Con un rumore schioccante, il braccio meccanico dell’interfaccia si scollego’ dal neurochip, lasciando libero lo spinotto sopra l’orecchio sinistro di John. Lentamente, con le mani di nuovo sotto il suo controllo, ma esauste per il lavoro, John posiziono’ l’apposita copertura sullo spinotto per proteggerlo da polvere e umidita’, e copri’ il tutto con i capelli.
Si alzo’ e si avvio’ verso l’uscita.
Sua moglie lo stava aspettando a casa.
Nel parcheggio, invece, lo aspettava la sua macchina: si sedette e collego’ rapidamente il computer di bordo al suo neurochip. Alcuni trovavano ancora piacevole la guida manuale, e anche lui un tempo non disdegnava la sensazione che si prova stringendo in mano un volante, il corpo schiacciato contro il sedile dall’accelerazione. Nei periodi in cui era di turno alla fabbrica pero’, i suoi muscoli erano decisamente troppo provati dalle dieci ore di lavoro ininterrotto (anche se indubbiamente corroborati da quella roba che gli iniettavano nel corpo) per potersene fidare al punto da guidare una macchina. Percio’ semplicemente lascio’ al computer il controllo del suo corpo e prese lui il controllo della macchina.
Era come essere la macchina. Sentiva il vento sulla carrozzeria, la potenza del motore, captava le altre macchine intorno a lui. Bastava che guardasse in una direzione perche’ la macchina docilmente vi si dirigesse. Di accelerare o frenare ovviamente non ce n’era bisogno.
Dal parcheggio si immise direttamente in una delle superstrade sotterranee che, a raggiera, collegavano il centro con la periferia. La fabbrica dove il suo corpo lavorava era abbastanza rinomata, detentrice di diversi brevetti all’avanguardia, e quindi poteva permettersi uno stabilimento relativamente vicino al centro cittadino. Mentre cio’ aumentava certamente il prestigio della compagnia, di fatto rendeva la vita piu’ difficile ai suoi impiegati, che, come quasi tutti i Lavoranti, potevano permettersi solo un alloggio in periferia. Per fortuna quella sera non c’erano molte macchine in giro, e in venti minuti arrivo’ a casa. Non che di solito ci fosse traffico: a questo pensava la Regolazione del Traffico, che imponeva automaticamente la velocita’ di crociera alle vetture in modo da mantenere la circolazione fluida. Ciononostante non mancava mai qualche sprovveduto che volesse a tutti i costi provare la guida manuale quando il suo corpo non era in grado di sopportarla, oppure al contrario qualcuno che in stato confusionale decidesse di escludere il pilota automatico e connettere il proprio neurochip alla macchina. In questi casi la conclusione era sempre la stessa: una vettura schiantata contro le pareti della superstrada, carreggiata parzialmente impraticabile con velocita’ ridotta per tutti gli sfortunati che percorressero in quel momento quel tratto di strada.
Il malcapitato quasi sempre ci lasciava le penne, ma si trattava per la maggior parte di Lavoranti, quindi non era un grosso problema. Ovviamente la faccenda era molto diversa quando a perdere il controllo della vettura era un Sognante. In quel caso arrivava addirittura la polizia per controllare che si trattasse veramente di un incidente.
Quelle (rarissime) volte in cui poi moriva un Curvante, la superstrada veniva chiusa per giorni per accertamenti.
Il Lavorante (1)
settembre 29, 2006 | 3 Commenti
ottobre 2, 2006 a 8:11 am
Attendo con anzia la seconda parte. mi è sfuggito il ruolo dei Curvanti e quello dei sognatori, magari sarà chiaro più avanti. Molto carina l’idea di scrivere un racconto a puntate di fantascienza. Ciao, Fabio.
ottobre 3, 2006 a 12:49 pm
Ammetto che anche a me i Curvanti hanno creato un attimo di smarrimento, però spero che nella seconda parte questo dubbio sia chiarito. Interessante e particolare come storia, sopratutto se pensiamo che la tecnologia moderna ormai non ha più limiti !!! Gianluca
ottobre 21, 2006 a 1:49 pm
Estremamente interessante sebbene non prediliga la fantascienza. Buono stile e vivaddio zero dialoghi. Tornerò. Saluti. Yog