Andrea

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Unità Deposito Capsule (1)

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E’ l’inizio di un racconto lungo che sto scrivendo. Mi piacerebbe un’opinione da parte vostra…

L’Unità di Deposito Capsule sarebbe stata l’ultima tappa del suo giro per quel giorno.
Il grande edificio si ergeva, tanto imponenti le sue dimensioni quanto spoglio il suo aspetto, alla periferia nord della città. Nessuno sapeva bene perché fosse stata scelta quella particolare collocazione: vista la sua natura infatti sarebbe stato molto più ragionevole averlo in una posizione più centrale, da dove lo smistamento sarebbe stato più semplice. L’edificio era molto vecchio. Alcuni dicevano il più vecchio della città. Di sicuro non restavano più ricordi precisi circa la sua progettazione e costruzione, tanto meno del processo decisionale che aveva portato alla scelta del luogo dove edificarlo.
Oltre che vecchio era anche, semplicemente, brutto. Era quel tipo di sgradevolezza che non si riesce a ricondurre con precisione ad una caratteristica specifica. Non era il colore delle pareti, né le sue proporzioni. Non le dimensioni, né l’esposizione. Il passante che si fosse trovato ad osservarlo di sfuggita, l’avrebbe liquidato in pochi secondi come qualcosa che non merita un secondo sguardo. Un aspetto ricercatamente neutro, affettatamente non appariscente, ostentatamente insignificante, che finiva con l’ottenere proprio ciò che si proponeva di evitare: piuttosto che passare inosservato, era diventato famoso come l’edificio più brutto della città. Al punto che una battuta comune era che non fosse l’edificio ad essere stato costruito in periferia della città, ma la città ad essersi sviluppata quanto più lontano possibile da lui.
Bella o brutta che fosse, era certo che la città dipendeva dall’Unità quasi totalmente per l’energia che la alimentava ogni giorno.

Quello del Raccoglitore era uno di quei mestieri verso i quali la gente prova sempre sentimenti ambivalenti. L’unanime riconoscimento della loro utilità portava in generale a guardarli con rispetto. D’altronde, per motivi fin troppo ovvi, tutti si auguravano di non doversi mai servire di loro. Non si arrivava al punto di evitarli apertamente, ma certo si avvertiva sempre come un leggero accenno di commiserazione, quasi compassione per loro. Anche la commiserazione però era mischiata a qualcos’altro: quello che tutti pensavano ma che nessuno diceva apertamente, se non altro per una forma di buona educazione, era che i Raccoglitori operavano in fondo in maniera molto simile a parassiti, e con i parassiti quindi condividevano l’atavica avversione del genere umano. Volendo andare ancora oltre, c’era una vocina dentro ogni persona, che un po’ in sordina ma molto insistentemente ricordava che in realtà i veri parassiti non erano i Raccoglitori. Che loro erano solamente esecutori, che i veri parassiti erano tutti gli altri. Di nuovo quindi, all’avversione, si accompagnava un senso di complicità, quasi di simpatia, di cameratismo.

Insomma essere un Raccoglitore non era facile. E non era facile neanche frequentarne uno. Eppure erano così necessari che col passare del tempo si erano ritagliati un ruolo di rilievo nella società. Erano ben pagati, rispettati (almeno formalmente) e soprattutto l’Ente Distribuzione concedeva loro una serie di privilegi. Tutto sommato, quello del Raccoglitore non era il mestiere peggiore che si potesse fare. Certo non era in cima ai sogni dei giovani studenti, ma non era neanche troppo in basso nella lista, ed era generalmente considerato come una più che dignitosa soluzione di ripiego. Lo provava il fatto che l’Ente Distribuzione aveva sempre molte più richieste che offerte di lavoro, e poteva permettersi una selezione molto dura degli aspiranti Raccoglitori.

Atharin aveva fatto domanda quasi per gioco quindici anni prima e con sua grande sorpresa, dopo una lunga serie di test attitudinali, era stato considerato idoneo al servizio, assunto e sottoposto ad un periodo di addestramento di quasi sei mesi alla fine del quale si era trovato, il mattino del suo primo giorno di lavoro, con il distintivo, una serie di capsule, ed una lista di indirizzi da visitare.

Ai nuovi arrivati venivano sempre assegnati i casi più semplici, quelli già programmati da tempo, mentre la gestione delle emergenze era affidata ai membri più anziani ed esperti. Atharin ricordava ancora la sua prima visita, in una piccola villa in un quartiere residenziale nella periferia est della città.

Una donna sulla quarantina aveva aperto la porta.
“Prego, si accomodi, la stavo aspettando”, gli disse dopo aver controllato il distintivo che le aveva mostrato.
“Grazie signora. Non ci vorrà molto.”
“Sono quasi due giorni che vi abbiamo chiamato. Cominciavamo a chiederci se vi foste dimenticati di noi”.
Per questo tipo di lamentele gli avevano insegnato una risposta standard. Per prima cosa salvare le apparenze:
“Le chiedo scusa a nome dell’Ente, ma abbiamo avuto più richieste del solito in questo periodo”.
Poi, cambiare discorso:
“Spero che abbiate provveduto ad installare lo Schermo…”
“Sì, sì, certo, non si preoccupi, è tutto in ordine. Venga la prego, controlli lei stesso”.
Lo guidò verso quella che doveva essere la camera da letto principale. Sul letto, il corpo di un uomo giaceva immobile, circondato dal leggero alone color porpora che indicava la presenza di uno Schermo.
“Molto bene, sembra tutto a posto.” Prese dalla sua borsa il fascicolo con i casi della giornata e iniziò a cercare le informazioni necessarie, come gli avevano insegnato.
“Dunque si tratta di…”
Non poté fare a meno di rendersi conto che doveva sembrare un po’ impacciato. Prese nota mentalmente di studiare il fascicolo del prossimo caso prima di entrare in casa. Anche la donna dovette accorgersi delle difficoltà del Raccoglitore, visto che decise, forse per sbrigare la cosa nel più breve tempo possibile, di venirgli incontro.
“Mio fratello. Mio fratello maggiore. Lo Schermo è stato apposto prima del trapasso, come da procedura standard. La morte è stata certificata dal nostro medico. Non appena lei avrà finito qui, verranno a prelevare il corpo.”
Il tono della donna, specialmente nell’ultima frase, era un inequivocabile invito a sbrigarsi ed andarsene quanto prima possibile. Lo avevano preparato a quel tipo di freddezza, che si rivelava in maniera particolarmente intensa all’arrivo di un Raccoglitore in una casa, ma trovarcisi davanti era un’altra cosa. Non certo piacevole. Anche ora, dopo tanti anni, non riusciva ancora ad abituarsi a quello sguardo, a quel tono, che sottintendevano una tacita accusa, che rivelavano un’avversione celata a fatica.
Aveva preso una delle capsule vuote e sia era avvicinato al letto. Ai piedi del corpo, su un cubo nero di una ventina di centimetri di lato, una piccola spia verde indicava che lo Schermo era veramente stato apposto in tempo, e che era riuscito a prevenire la dispersione.
“Il generatore dello Schermo conferma che tutto è stato fatto a dovere. Col suo permesso, procederò immediatamente al prelievo”
“Faccia pure, la prego”
Infilò la capsula nella concavità emisferica che si trovava sulla faccia superiore del cubo, che la accolse con un leggerissimo bip. La capsula si illuminò e iniziò a pulsare debolmente di una luce color porpora. Atharin avvicinò il distintivo al cubo, schiacciò un pulsante su un lato, ed un lampo azzurro attraversò lo Schermo che avvolgeva il corpo. La capsula, ora leggermente più luminosa di prima, emanava la fredda luce azzurra che indicava che era piena, e che il prelievo era andato a buon fine.
“Perfetto” disse alla donna, che aveva già iniziato ad avviarsi verso la porta della stanza.
Spense lo Schermo, prese il generatore e la capsula e la seguì.
“I documenti sono sul tavolo” disse lei.
“Certo, potrebbe per favore firmare qui? Ecco. E anche qui. Perfetto.”
Si avviò verso il tavolo che lei gli aveva indicato, dove trovò i documenti necessari. Appose la sua firma sul certificato di avvenuto prelievo, una sulla ricevuta del generatore ed una sulla ricevuta della capsula.
“Dovrebbe essere tutto in ordine signora.”
Lei stava già in piedi accanto alla porta di casa, aperta.
“Grazie per essere stato così rapido”
“Le auguro una buona giornata” le disse mentre usciva dalla porta.
“Grazie, buona giornata anche…” a lei sarebbe stata l’ovvia conclusione della frase, che però venne troncata dalla porta che, frettolosa, si chiudeva alle sue spalle.

Dopo quel giorno, aveva avuto così tanti incarichi da non ricordarli più uno ad uno, ma quella donna, la sua voce, la porta che si chiude senza neanche dare il tempo di completare il saluto, non li avrebbe mai dimenticati. Non che atteggiamenti del genere non gli fossero più capitati in seguito, tutt’altro, ma grazie a quell’incarico comprese a pieno la misura della distanza che lo separava, in qualità di Raccoglitore, dalle altre persone.

Gli anni l’avevano pero’ in parte reso più forte, meno sensibile, e fu così che mentre varcava il cancello d’ingresso dell’Unita’, pensava solamente all’ormai imminente rientro a casa, alla cena che lo aspettava, alla compagnia di sua moglie. Quel giorno aveva raccolto sedici capsule, ed era veramente esausto. Per fortuna era stata una giornata tranquilla. Tutti casi standard, senza complicazioni di sorta.

Entrato nella hall del grande edificio, si diresse verso uno dei punti di raccolta. Si identifico’ col suo distintivo, poi immise una ad una le capsule nel foro che si apri’ sulla parete. Una voce sintetica lo informo’ di quanto aveva raccolto in totale, disse che il corrispettivo era stato correttamente accreditato sul suo conto, e gli auguro’ una buona serata. Tutto li’, semplicemente. Cosi’ finiva un’altra onesta giornata di duro lavoro.

Sedici anime scrupolosamente conservate, raccolte e convertite in energia da distribuire a tutta la città.

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Autore: andrea

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7 Commenti

  1. E’ un bel racconto anche se ha un finale a dir poco agghiacciante!
    Uno spazzino di anime e una societa parassita di anime per giunta ipocrita, una trovata geniale.
    Proprio un bel racconto.

    Bruno 62

  2. Molto bello e suggestivo, l’atmosfera creata e’ davvero eccezionale

  3. Bello davvero, aspetto il seguito e la possibilità si leggere il tutto nel suo insieme

  4. Fabio

    Ciao Andrea,
    credo che ormai sia proprio difficile tirare fuori una idea originale a tema fantascientifico, ma tu ci riesci sempre. Bravo!!! :)

  5. hai un modo cosi’ ricco e coinvolgente di scrivere…
    e poi l’idea mi sembra fantastica.
    spero di leggere presto di queste anime e dell’energia…
    e di tutto il resto.

    :)

  6. Anche se la Fantascienza non è il genere di lettura che preferisco, il tuo modo scorrevole di narrare e di descrivere rende gradevole ed intrigante la la lettura.
    Buon proseguimento,

    ADB

  7. dovrò stampare tutto e leggere in treno! :) … Andrea ma tu sei un fuoriclasse… per me hai due o tre cervelli!

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