Andrea

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Unità deposito capsule (4)

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La sua vita continuò a seguire la solita routine per un altro paio di giorni fino a quando, una mattina, trovò nella sua casella personale all’Unità un messaggio del capo squadra che lo convocava nel suo ufficio. Una convocazione in carne ed ossa era cosa piuttosto rara, in un’epoca in cui ormai i mezzi di comunicazione consentivano di parlare e vedersi a distanza comodamente seduti nel proprio ufficio. Di più, indire una riunione di persona veniva da molti considerata una vera e propria intromissione nella vita privata dei sottoposti.
Se il capo aveva preferito discuterne di persona quindi doveva trattarsi di qualcosa di veramente speciale. Magari una promozione o un aumento, o forse il trasferimento ad un incarico differente, anche se quest’ultima possibilità un po’ gli sarebbe dispiaciuta, dato che il lavoro sul campo a Atharin non dispiaceva affatto.
Fu per questi motivi che si presentò alla porta dell’ufficio del capo squadra al’ora stabilita con un misto di curiosità e trepidazione, unite ad un leggero fastidio per l’insolita convocazione di persona che, detto francamente, era ai limiti della maleducazione.
Al suo bussare rispose prontamente un “Avanti!” deciso e vigoroso, forse anche un po’ troppo forte, velato però di una leggera incertezza come di chi non sente troppo spesso bussare alla sua porta, e non è sicuro di aver detto la cosa giusta, o di aver usato il tono esatto.
Esatto o meno, il messaggio era chiaro, e Atharin entrò senza perdere altro tempo.”Mi ha chiamato”
“Sì. Infatti. Scusami per la procedura insolita, sono mortificato.”
“Non si preoccupi.”
“E grazie infinite per esserti occupato di quella brutta faccenda l’altra sera.”
“Dovere, signore”
“In effetti” intervenne un’altra voce, “si tratta proprio dell’altra sera che vorremmo parlarle”
Atharin si accorse solo allora della donna seduta in un angolo della stanza, lungo la stessa parete della porta dalla quale era entrato, come se avesse voluto di proposito studiarlo senza esser vista prima di annunciarsi.
La cosa lo infastidì molto, e qualcosa nello sguardo che lanciò al capo squadra dovette rivelare il suo disappunto visto che questi, sempre più imbarazzato, procedette speditamente alle presentazioni.
“Atharin, ti presento la signora Kithen. E’ la responsabile della Sezione Investigazioni Speciali del Dipartimento per l’Energia”
Il quadro che si andava delineando gli piaceva sempre meno. Athanos era evidentemente in soggezione, ed aveva ben ragione di esserlo! Quella donna era a capo del ramo del Dipartimento che investigava su casi che, vuoi per il loro contenuto, vuoi per i metodi un po’ poco ortodossi che richiedevano, venivano classificati come speciali. In pratica una specie di servizi segreti interni. Rispondevano unicamente al Direttore Generale, ed avevano autorità su tutte le sotto sezioni del Dipartimento. Un donna molto potente, per dirla in parole povere. E anche molto pericolosa, a voler essere sinceri.
“Piacere di conoscerla, signora Kithen.”
“Piacere mio, Raccoglitore Atharin”
Seguì qualche istante di imbarazzato silenzio. Imbarazzato per lui e peri il capo squadra, almeno. La signora Kithen dava l’impressione di trovarsi perfettamente a suo agio, anzi quasi di gustare il loro imbarazzo come fosse un vino pregiato. Lentamente si alzò dalla sedia dove era rimasta seduta e si avvicinò ai due uomini.
“Allora, caro Athanos, forse dovremmo spiegare al Raccoglitore Atharin cosa ci aspettiamo da lui”.
Il tono autoritario, quasi arrogante, non faceva nulla per smorzare l’indelicatezza di quel ci aspettiamo che non lasciava molti dubbi su quanta scelta avesse Atharin…
“Senz’altro. Sediamoci e parliamone con calma. Posso offrirvi qualcosa da bere? No? Perfetto, allora procediamo. Ci sono stati degli sviluppi riguardo al problema del quale ti sei occupato l’altra sera, Atharin.”
“L’aristocratica Xiloniana?”
“Esattamente” rispose la donna, e senza esitazione prese in mano il discorso e continuò spedita e decisa.
“Abbiamo analizzato la memoria del computer dell’appartamento, e non abbiamo trovato nulla. Blindato. Non siamo riusciti ad accedere alle aree protette della memoria se non con un intervento hardware, e anche allora, i contenuti erano criptati con un algoritmo che non siamo riusciti a rompere.”
Evidentemente si aspettava una qualche reazione a questa notizia, ma Atharin non capiva proprio cosa ci fosse di strano. E infatti:
“Non capisco il problema…” disse.
“Il problema, Raccoglitore Atharin, è che non esiste nessun codice che non siamo in grado di infrangere. Anche solo il fatto che il software dell’appartamento si sia rifiutato di farci accedere a quelle aree nonostante il livello altissimo delle nostre autorizzazioni sarebbe abbastanza da mettere in allarme tutta la Sezione. Ma quel criptaggio… Quello è roba grossa. Dobbiamo venirne a capo assolutamente, e nel più breve tempo possibile.”
“Ci sono due cose che non capisco…”
“Mi dica”
“La prima è come mai nascondere quelle informazioni, quando avrebbero potuto cancellarle. Il computer afferma che non avevano intenzione di tornare, quindi non vedo il motivo di lasciare lì delle informazioni potenzialmente pericolose per loro…”
“Già, questo ha dato da pensare anche a noi. Non avremo una risposta precisa fino a che non li avremo presi, ovviamente. Abbiamo diverse idee però. La più probabile è che si tratti di uno specchietto per allodole: un modo per farci perdere del tempo e distrarci dalle ricerche. Personalmente non mi convince troppo. Un’altra è che quelle informazioni siano importanti e che per qualche motivo non abbiano avuto tempo di copiarle altrove. Allora le avrebbero criptate prima di fuggire, sperando che non arrivassimo al loro appartamento o che qualcun altro avesse il tempo di andare ed eseguire la copia.”
“Quindi pensate che ci siano dei complici?”
“Un codice come quello con cui abbiamo a che fare non è il prodotto di una innocua vecchietta e del suo maggiordomo. C’è dietro un’organizzazione abbastanza evoluta.”
“E la copia è stata fatta?”
“Non abbiamo modo di capirlo in maniera semplice. Resta il fatto che i dati sono lì, e noi non riusciamo a leggerli. Questo è pericoloso. La sua seconda domanda, ora.”
“Io cosa c’entro?”
“Vorremmo che collaborasse alla ricerca della cara vecchia Rothandra.”
“Io sono un Raccoglitore, non un agente speciale”.
“Sappiamo benissimo cos’è lei, Raccoglitore Atharin. Potrei dirle che siamo a corto di personale e che proprio non sappiamo a chi altro chiedere, ma la verità è che, paradossalmente, una agente speciale attirerebbe troppa attenzione su questo problema. Se abbiamo a che fare con un’organizzazione, allora non possiamo escludere la presenza di spie, neanche tra i miei uomini temo. Attivare un’indagine nella mia Sezione significa coinvolgere per lo meno una decina di persone tra personale amministrativo e agenti veri e propri, e non voglio correre il rischio fino a quando non avrò un’idea più chiara ci cosa abbiamo davanti.”
“E invece, se me ne occupassi io…”
“Se se ne occupasse lei sarebbe semplicemente un incarico speciale affidatole dal suo capo squadra. Gli unici ad essere a conoscenza della cosa saremmo noi tre, e anche se non vi conosco quasi per niente ho studiato i vostri fascicoli, e penso di poter correre il rischio”. La schiettezza di certo non le mancava, e la sfrontata sicurezza con cui dava per scontato che Atharin avrebbe accettato cominciava a spaventarlo. Veniva quasi da chiedersi che tipo di assi avesse nella manica per essere certa di averlo in pugno. Meglio non indagare troppo, decise.
“Qualunque Raccoglitore andrebbe bene, allora. Perché io?”
“Beh lei è già al corrente della faccenda, e meno persone lo sanno meglio è. Nel caso le servisse una scorta armata, avrà a disposizione gli stessi poliziotti che l’hanno accompagnata l’altra sera. Loro sono stati avvertiti e sono a sua disposizione. Ora, passiamo a discutere i dettagli tecnici.”
Spesero l’ora seguente dandogli una serie di istruzioni su come utilizzare al meglio, e soprattutto discretamente, i considerevoli mezzi che la Sezione Investigazioni Speciali gli avrebbe messo a disposizione in maniera non ufficiale attraverso l’intervento diretto della signora Kithen. Anche la squadra di polizia assegnatagli andava utilizzata con discrezione e sempre contattando direttamente il loro diretto superiore, mai passando attraverso i soliti canali.

6.

Benché fosse abbastanza esperto come Raccoglitore, Atharin non aveva la più pallida idea di come condurre un’indagine di polizia. Il suo lavoro iniziava tipicamente con qualcuno che gli diceva dove andare, mentre ora era lui a dover scoprire tutto da solo.
La signora Kithen aveva aumentato enormemente il livello del suo accesso alla rete informativa della città, così che dopo qualche ora di esercizio, era in grado di accedere praticamente ad ogni archivio della città, sia pubblico che privato. Pur avendo a disposizione tutti quei mezzi però, gli mancava l’esperienza necessaria ad usarli al meglio. Fu così che il suo primo giorno di ricerche si concluse con un nulla di fatto. Le indagini che gli era venuto in mente di fare riguardavano principalmente la vita privata di Rothandra e del suo maggiordomo, nonché i movimenti dei loro conti bancari e gli acquisti che avevano effettuato di recente. Niente di notevole da segnalare nella vita di Rothandra. Mai sposata, qualche flirt occasionale in gioventù, da tempo ormai conduceva una vita riservata, confortata dalla notevole ricchezza ereditata dai suoi genitori. Pochissime anche le sue apparizione sulla scena mondana, limitate a qualche cena di beneficenza e qualche prima all’opera, dove aveva acquistato un abbonamento per un palco riservato.
Il maggiordomo, un uomo di quarantotto anni di nome Ravin, era un’aggiunta abbastanza recente alla vita di Rothandra. Non restavano troppi dubbi sul fatto che entrambi fossero Xiloniani, data la quantità di funghi trovata nell’appartamento, ma a parte questo non c’era nulla che facesse sospettare una relazione tra i due diversa da quella strettamente professionale. Quello che restava ancor da appurare, anche se l’informazione era a questo punto irrilevante, era se uno avesse convertito l’altro o se si fossero conosciuti attraverso la setta.
Tutte le proprietà dei due erano state ispezionate dalla polizia, ma senza troppe speranze di trovarli. Se veramente gli Xiloniti avevano fatto il salto di qualità, dotandosi di un alto grado di organizzazione interna come sosteneva la signora Kithen, allora difficilmente sarebbero stati così stupidi da usare un nascondiglio noto alla polizia.
Tutto sembrava condurre ad un vicolo cieco, insomma.
Fattasi sera, decise di fermarsi e di fare una passeggiata in città prima di rientrare a casa, per chiarirsi un po’ le idee o magari perfino togliersi dalla testa per qualche ora la coppia di fuggitivi.
Le giornate nella città venivano scandite dal sistema d’illuminazione, che era da sempre programmato secondo cicli che venivano a loro volta suddivisi in 24 parti chiamate ore. Il motivo di questo numero, così come la suddivisione delle ore in 60 minuti a loro volta composti da 60 secondi ciascuno, non era chiaro a nessuno: semplicemente si era sempre fatto così. Altrettanto arbitrari risultavano, a ben pensarci, i raggruppamenti dei giorni: settimane, mesi, anni. Al di sotto del secondo, come al di sopra dell’anno, la familiare numerazione decimale prendeva di nuovo il sopravvento. Per quanto si fosse speculato a lungo in passato sulla questione, non c’era veramente niente di speciale nella lunghezza di tempo che si chiamava giorno, se non che il metabolismo di tutti gli esseri viventi sembrava essere regolato su un periodo simile, lasciando aperta la questione di quale fosse la causa e quale l’effetto: se le ventiquattro ore scelte per il metabolismo o il metabolismo adattatosi alle ventiquattro ore.  Per non parlare dei circa 30 giorni che costituivano un mese, o dei 365 giorni che componevano un anno. Numeri che sembravano del tutto casuali, la cui origine si era persa nella memoria della città. Come tante altre cose, a dire la verità.
Era opinione comune degli abitanti che la loro fosse una gran bella città. Non che ce ne fossero altre con cui fare il confronto ovviamente, ma bisogna ammettere che il centro cittadino con i suoi alti edifici, i larghi viali alberati, i negozi dalle vetrine scintillanti, i parchi rigogliosi, offriva uno spettacolo veramente notevole. Anche le periferie, benché per loro natura meno vivaci del centro e poco appariscenti, non erano mai squallide e i grandi palazzi dei quartieri dormitorio erano ben tenuti e forniti di tutti i servizi. Le campagne che fasciavano la città vera e propria poi erano per la maggior parte coltivate in ogni periodo dell’anno, creando un panorama piacevolmente ordinato che accompagnava l’occhio fino alla Barriera, la cui visione completa era ostacolata solo da qualche occasionale zona boschiva.
Il crimine non era un problema. Nessuno pensava di essere del tutto al sicuro, s’intende, ma tutti condividevano una stima molto alta per i reparti di polizia ed una generale soddisfazione per la qualità del loro lavoro. I mezzi tecnologici a disposizione dei poliziotti miglioravano di giorno in giorno, il che contribuiva a ridurre le attività criminali a livelli bassissimi. In questo aiutava senz’altro il fatto che la città fosse di fatto un sistema chiuso, completamente isolato, nel quale niente e nessuno entrava e dal quale niente e nessuno usciva. Ogni tanto qualcuno equivocava quest’efficienza con un’eccessiva sorveglianza e cominciava a protestare a proposito di privacy violata, ma un’esperienza lunga non si sa bene quanto (ma che di certo risaliva all’inizio della storia della città) aveva provato che il modo migliore di gestire quel tipo di richieste era assecondarle sul momento e poi pian piano, nel corso dei decenni, tornare ai livelli di sorveglianza che venivano ritenuti ottimali.
Uscito dal suo ufficio all’Unità, si fece portare dalla macchina fino al parco principale dove scese e continuò il tragitto verso casa a piedi, lasciando ordini alla macchina di continuare da sola. Il clima era piacevole, con una leggera brezza e una perfetta combinazione di temperatura e umidità che sembrava quasi invitare a camminare. Il parco occupava l’equivalente di una decina di isolati, ed era percorso da una fitta rete di viali, strade, sentieri, quasi tutti illuminati. Di tanto in tanto, qualche edificio più o meno grande, chiuso, tentava la fantasia dei passanti, quasi sussurrando un invito a tornare di giorno per vederlo aperto, per scoprire cosa vendeva quel negozio, o che specialità si potevano gustare in quel ristorante.
La calma, l’aria leggermente più fresca e umida grazie alle piante, la penombra, il profumo del sottobosco, rendevano il parco uno degli angoli della città che preferiva, soprattutto di sera. Il sentiero che aveva scelto l’aveva condotto nella vasta pineta. Amava quella zona del parco. Gli piaceva il profumo degli aghi, della resina, l’aspetto quasi desolato del terreno reso sterile dagli aghi caduti. C’era una luce diversa nella pineta. Sospesa tra il marrone degli aghi caduti e il verde di quelli ancora vivi, l’aria sembrava vibrare, tesa da quel contrasto, privata della confortante mediazione del sottobosco. Il deserto in basso sembrava quasi urlare all’ingiustizia di quel tetto verde che restava rigoglioso solo grazie al suo sacrificio. In quel colore indefinibile, in quell’atmosfera che sembrava sempre sul punto di spezzarsi in due, lo scricchiolio dei passi sul terreno era l’unico rumore che accompagnasse la sua passeggiata.
Rothandra non gli ci voleva proprio. Ad essere franchi, era una bella rogna, e avrebbe voluto non aver mai accettato quella prima chiamata di emergenza del suo capo squadra. Sarebbe bastata una scusa qualsiasi, sarebbe bastato che sua moglie non fosse uscita quella sera, e lui avrebbe potuto continuare con la sua solita vita, la solita routine, senza Investigazioni Speciali, senza Xiloniti, senza reticenti.
Invece ora si trovava a dover fare un lavoro che non era il suo, che non gli piaceva affatto e del quale non poteva parlare neanche con Milta. Le sue attività di Raccoglitore erano sospese per tutto il tempo che ci sarebbe voluto a completare l’indagine, e non riusciva a togliersi dalla mente che un fallimento avrebbe avuto di certo dell ripercussioni negative sulla sua carriera. La signora Kithen non l’aveva minacciato, ovviamente. Se ne era ben guardata. D’altronde, quelle come lei non hanno bisogno di minacciare esplicitamente: chi ha a che fare con loro sa istintivamente che è meglio non contrariarle.
Quello che non capiva era perché Rothandra si fosse presa tanto disturbo per sottrarre la sua anima all’Unità. Ecco, il problema era, a ben pensarci, questo: lui gli Xiloniti non li capiva proprio. Come poteva indagare su qualcuno le cui motivazioni gli apparivano completamente aliene? La loro setta era clandestina, anche se aveva un legame non ufficiale con un partito minore che portava avanti le loro istanze in maniera più convenzionale. I rapporti riservati custoditi nell’archivio della Sezione Investigazioni Speciali gli avevano rivelato parecchi dettagli che prima non conosceva. Tanto per cominciare era un fenomeno in crescita, non in diminuzione come lui aveva sempre creduto. Il proselitismo del gruppo procedeva ad un ritmo incalzante, e non si limitava ormai solo alle fasce più basse della società, ma sempre più spesso personaggi benestanti, perfino in vista, si convertivano al bizzarro credo. La cosa che l’aveva spaventato di più però era la mole del fascicolo dedicato alla setta: gli esperti della Sezione erano allarmati dal fenomeno, al punto da commissionare studi su studi ai più eminenti sociologi della città. Non lo prendevano sottogamba, insomma, e i rapporti degli studiosi sembravano giustificare tanta attenzione: era opinione più o meno condivisa che gli Xiloniti stessero per raggiungere il punto della loro maturazione in cui sarebbero stati tentati di abbracciare una strategia violenta. Fino ad allora si erano accontentati di sottrarre le loro anime ai Raccoglitori: si temeva che potessero decidere che valeva la pena di salvare anche le anime dei non Xiloniti, magari con la forza. Adesso cominciava a capire come mai la Kithen fosse così preoccupata della faccenda: l’ultima cosa di cui la città aveva bisogno era una banda di esaltati che andasse in giro ad impedire la regolare raccolta delle anime.
La passeggiata l’aveva ormai portato fuori dalla pineta, in un’area sgombra da alberi e coperta da un fitto prato. Il parco terminava a poche centinaia di metri da lì, delimitato su quel lato da una strada della quale vedeva i lampioni. Era ormai quasi mezzanotte, ed erano poche le macchine a viaggiare ancora a quell’ora. Il rumore improvviso dei suoi passi sull’asfalto del marciapiede, così diverso dal soffice sospiro della terra del parco, lo strappò via dalle sue riflessioni, ricordandogli che era tardi, che aveva una moglie che l’aspettava e un lavoro per cui svegliarsi presto l’indomani mattina. Si incamminò a passo spedito verso casa, i lampioni che si accendevano al suo passaggio per spegnersi subito dopo: l’energia era un bene prezioso, e non andava sprecata.

andrea

Autore: andrea

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9 Commenti

  1. E’ sempre ben scritto e molto scorrevole come tutti i tuoi racconti, stai trascinando il racconto verso una spy-story, o un giallo-poliziesco.
    Non ho letto il suo nome tra i tuoi autori preferiti ma vedo che Asimov piace anche a te , bello comunque l’artefatto della misurazione del tempo, semplice e ingegnoso.

    Ciao!

    Bruno 62

  2. finalmente!
    lo stavo aspettando.
    adesso tempus fugit, ergo…mi collego stasera.
    grazie a prescindere.
    :)

  3. Fabio

    La storia si infittisce sempre di più e tiene ben alta l’attenzione del lettore, ottimo lavoro! ^_*

  4. che belloooooooooooooooooooooooooooooooooo.
    ma adesso devo aspettare quanto per andare avanti?
    dai, Andrea, fa’ il bravo.
    sputa l’osso!
    Atharin mi e’ sempre piu’ simpatico.
    i personaggi sono cosi’ben delineati che in due e due quattro mi si inquadrano nella loro simpatia o antipatia.
    sei uno scrittore coi fiocchi.

  5. Mi sembra che stia venendo fuori un romanzo, con tutti gli ingredienti giusti… bravo Andrea!
    Alla prossima puntata! Ciao!

  6. Concordo perfettamente con Emmaus e aggiungo…sbrigati!
    Ciao ciao

  7. Andrea, anche se con grande ritardo, ti ringrazio dell’apprezzamento al mio ultimo pezzo pubblicato qui. Il mio ritardo si deve al poco tempo che ho per stare in rete, la stessa ragione per cui non riesco più nemmeno a organizzare scritti da pubblicare. Mi dispiace non poter seguire anche questo tuo racconto, è troppo lungo per me, per il poco tempo che posso stare al pc. Ne ho solo letta qualche frase…
    Ti lascio comunque i miei auguri di buon lavoro! Ciao!

  8. Ciao Andrea..
    mi piace come scrivi..fresco e scorrevole..senza inutili fronzoli a cui è difficile a volte rinunciare..
    Non ti fermare..a volte ci si scoraggia..ci si pianta a metà di un romanzo..è capitato anche a me..ma alla fine la piacevolezza di scrivere e di comunicare emozioni ha il sopravvento..
    Ciao..un caro saluto..
    Jan

  9. Ho voluto leggere le quattro parti dei racconti per commentarle insieme. Davvero complimenti. Subito, e continuando a leggere, ho avuto l’impressione che potrebbe essere un film. Molto bella l’ambientazione: un luogo ovunque nel cosmo in un tempo qualsiasi, non necessariamente la Terra in un futuro diverso. Bene.
    Ma la quarta parte è di tre anni fa ormai; il seguito?
    Grazie, Luigi

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