“Signore, c’è un problema urgente”
Così era cominciato (o forse sarebbe meglio dire finito) tutto.
Stava
presiedendo una riunione con i suoi consiglieri, e il suo segretario
era entrato, trafelato, interrompendo bruscamente la discussione. I
collaboratori del principe erano tutti scelti con grandissima cura per
la loro efficienza, affidabilità e lealtà, e Jorbin lo sapeva troppo
bene per non interrompere immediatamente la riunione e dedicare tutta
la sua attenzione al nuovo problema.
Sapeva che un rapporto ben
fatto non era compatibile con lo stato di agitazione del segretario
quindi, congedati i consiglieri, lo fece sedere, lo rassicurò che non
era stato un problema aver interrotto la riunione, gli fece portare
qualcosa da bere, e quando finalmente si fu calmato, si fece raccontare
esattamente cosa stava succedendo.
“La settimana scorsa è arrivato un rapporto dal controllo spaziale.” iniziò a raccontare.
“Riportavano un’anomalia nei valori del campo gravitazionale interplanetario.”
“Qualche asteroide vagante?” chiese Jorbin.
“E’
quello che pensarono tutti sul momento, anche se l’entità della
fluttuazione era piuttosto insolita. Ad ogni modo non sembrava nulla di
cui preoccuparsi, quindi invece di dare l’allerta abbiamo assegnato un
paio di esperti al problema.”
“Avete fatto bene, direi. E immagino che ora questi esperti abbiano tirato le loro conclusioni…”
“La situazione è molto peggio di qualunque cosa possiamo immaginare, Principe. Il Principato sta per essere distrutto”.
Jorbin
si concesse qualche istante di silenzio per assicurarsi di aver capito
bene. Forse qualcuna delle galassie vicine aveva finalmente deciso di
annettersi il Principato e li stava attaccando in forze?
“Se si tratta di una guerra, sono sicuro che potremo affrontarla come tutte le altre…”
“No,
Principe, non è una guerra. Il fatto è che le fluttuazioni nel campo
gravitazionale erano troppo grandi. Incompatibili con qualsiasi causa
indotta dall’uomo. Dopo diverse misure di precisione, gli esperti sono
giunti alla conclusione che un corpo di massa enorme, circa duecento
volte l’intero nostro sistema, si sta dirigendo dritto verso di noi.”
“E’ assurdo, come può qualcosa di così grande essere sfuggito a tutti quanti?”
“Si
tratta di un buco nero, Principe. Non si può rivelare se non a causa
del suo effetto sul campo gravitazionale, che è quello che stiamo
facendo noi ora. Proviene dallo spazio intergalattico, quindi nessuno
dei nostri vicini se ne è mai accorto. Se avesse attraversato anche
solo una delle regioni periferiche delle altre galassie, almeno saremmo
stati allertati con secoli di anticipo. Purtroppo invece siamo in
assoluto i primi esseri senzienti a trovarsi sul suo cammino”
“Ti rendi conto di quello che mi stai dicendo?”
“Completamente, signore”
“Quant’è la probabilità che si tratti di un falso allarme?”
“Zero, signore”
“Abbiamo un’idea di cosa succederà esattamente?”
“Diverse simulazioni, signore”
Jorbin sospirò: “Sentiamo, allora.”
Il
colloquio col segretario era andato di male in peggio. Dopo aver
appreso tutti i dettagli che lui era in grado di dargli, convocò
immediatamente i suoi consiglieri, e invitò il gruppo di esperti
incaricati del caso a presentare di persona i loro risultati.
In
sintesi, come aveva preannunciato il segretario, il principato stava
per essere distrutto. Il buco nero non avrebbe urtato contro alcun
pianeta, né con i soli. Avrebbe attraversato le regioni esterne del
Sistema senza trovare ostacoli e avrebbe proseguito per la sua strada.
A questa notizia alcuni consiglieri (i meno ferrati in fisica) tirarono
un sospiro di sollievo. Gli altri li guardarono come si guarderebbe uno
che si mettesse a russare ad un concerto di gran classe.
Gli
esperti continuarono inarrestabili a snocciolare i risultati dei loro
calcoli. Nessun urto diretto non significava nessun danno. Ogni sistema
planetario era frutto di un equilibrio piuttosto delicato tra i campi
gravitazionali di tutti i corpi in gioco. Nel caso di un sistema
binario come Ol’Rad, il tutto era ancora più complicato. Il passaggio
del buco nero avrebbe semplicemente annientato quest’equilibrio,
distruggendo il sistema.
I pianeti (almeno due) che si fossero
trovati più vicini alla sua traiettoria, sarebbero finiti in pezzi a
causa delle fortissime sollecitazioni gravitazionali alle quali
sarebbero stati sottoposti. I due pianeti più interni si sarebbero
salvati per qualche decina di anni, dopo di che la perturbazione della
loro orbita li avrebbe portati a trovarsi troppo vicini ai due soli, e
ad essere alla fine annientati.
Un destino molto speciale toccava ai
soli e ai tre pianeti intermedi. i cinque corpi avrebbero smesso di
formare un sistema legato, e si sarebbero trovati su traiettorie che li
avrebbero portati ad allontanarsi nello spazio profondo, soli, ognuno
in una direzione diversa.
Mano a mano che il rapporto degli
scienziati continuava, il morale generale precipitava. Alla fine, tutti
guardavano Jorbin, aspettando una sua decisione.
“Vi ripeto una
domanda che ho già fatto, ma spero che capirete che è di importanza
cruciale. Quante probabilità ci sono che vi sbagliate?”
“Non posso
dirle zero, signore, perché una probabilità di errore, seppur piccola,
c’è sempre. Le dirò però che domattina lascerò il mio lavoro, la mia
posizione accademica, i miei amici, le mie proprietà, e mi trasferirò
in una delle galassie vicine.”
“Mi sembra una risposta abbastanza esauriente, grazie. Quanto tempo abbiamo?”
“Circa
vent’anni prima del punto di massimo avvicinamento. I pianeti esterni
dovrebbero iniziare ad avere problemi tra circa quindici anni.”
“Bene
allora. Contattiamo in segreto le galassie, spiegando loro la
situazione. Negoziate le condizioni per una migrazione in massa di
tutti i sudditi del principato in qualche altro sistema. Tra tre giorni
vi voglio tutti di nuovo qui con un piano di evacuazione, che
inizieremo tra due settimane. Fino ad allora niente deve trapelare al
di fuori di questo comitato. Qualche domanda? Bene, potete andare,
buona serata.”
Giunto nelle sue stanze, si preparò per la notte,
e si stese nel letto. Non aveva appetito. Per la prima volta nella sua
vita, si trovava di fronte ad un problema che non poteva risolvere.
Dormì come un bambino.
Vent’anni erano appena sufficienti per
evacuare un intero sistema planetario. Per fortuna tutte le galassie
vicine si erano mostrate comprensive, ed avevano offerto un certo
numero di sistemi planetari periferici in attesa di colonizzazione.
Ovviamente il Principato avrebbe perso la sua indipendenza politica,
riducendosi ad un piccolo protettorato di second’ordine, ma almeno la
gente avrebbe saputo dove andare.
Scelto il sistema che sembrava più
vantaggioso, poterono essere preparati dei piani dettagliati per
evacuare prima i pianeti esterni, poi quelli interni, e per ultimi
quelli intermedi, che non correvano comunque rischio di distruzione
immediata.
Nelle settimane che seguirono l’annuncio nell’imminente
catastrofe, Jorbin ebbe occasione di esser fiero dei suoi sudditi.
L’ondata di panico che tutti temevano ebbe dimensioni molto minori del
previsto. L’annuncio che un piano di evacuazione dettagliato era già
pronto, e che un nuovo sistema planetario si preparava ad accoglierli,
in qualche modo fu abbastanza per impedire a quella gente pragmatica e
concreta di farsi prendere dallo sconforto, e ne concentrò invece le
energie nel facilitare in ogni modo il processo di evacuazione. Ronde
civili furono organizzate spontaneamente per aiutare le forze
dell’ordine ad arginare i fenomeni di saccheggio. Le industrie più
importanti, sicuramente fiutando l’occasione di fare affari d’oro,
trasferirono immediatamente e a proprie spese le proprie attività nel
nuovo sistema, occupandosi anche del trasferimento della forza lavoro.
Insomma
l’evacuazione procedeva tranquilla. Nel nuovo sistema, il tessuto
sociale ed economico si andava lentamente ricostituendo. La diplomazia
ottenne anche di mantenere per il governo locale la forma monarchica
così peculiare di Ol’Rad. La ghiandole dei membri della famiglia reale
erano state sincronizzate con i campi magnetici del nuovo sistema, e
così tutto sembrava pronto a continuare come prima, solo in un posto
diverso.
Jorbin ebbe anche occasione di essere fiero dei suoi
consiglieri. Ognuno sapeva cosa fare a come farla. L’enorme macchina
dell’evacuazione, una volta messa in moto, marciava speditamente senza
che lui dovesse intervenire se non in casi sporadici, tipicamente per
risolvere con la sua autorevolezza qualche piccola disputa.
In
breve, si trovò a guardare il suo regno da un punto di vista totalmente
nuovo. Non ne faceva più parte, non ne era più il centro nevralgico.
Tutto sembrava auto organizzarsi e auto gestirsi in maniera miracolosa.
Sapeva bene che le cose non stavano proprio così, e che questa auto
organizzazione alla lunga non sarebbe durata, perché indifesa di fronte
ad ogni minaccia di autoritarismo, ma restava comunque ammirato,
sbalordito, nel leggere i rapporti che continuamente arrivavano sulla
sua scrivania.
Così, lentamente, Ol’Rad si svuotava. L’ultimo
pianeta ad essere evacuato fu Rad, naturalmente. Fu allora che a Jorbin
venne in mente la sua strana idea. Non se ne sarebbe andato. Sarebbe
rimasto sul suo pianeta, solo, a vagare per lo spazio buio fino a che
il suo corpo l’avesse assistito. Dal punto di vista tecnico non c’erano
grossi problemi, ovviamente. Un pianeta intero poteva tranquillamente
contenere sufficienti risorse alla sopravvivenza di un solo uomo. Il
problema fu più che altro politico/emotivo. La notizia che il Principe
non se ne sarebbe andato innescò come prevedibile un effetto a catena,
e in un batter d’occhio il pianeta era pieno di volontari che volevano
restare anche loro con Jorbin, in parte per lealtà, in parte forse
stregati dall’idea romantica di un pianeta che vaga solo nello spazio
profondo. Fu in quell’occasione che Jorbin prese l’unica decisione
coercitiva della sua vita: l’evacuazione di Rad doveva essere completa,
anche a costo di costringere la gente ad andarsene. Nessuno doveva
rimanere. Una volta persi i soli, Rad si sarebbe trasformato in un
grosso blocco di ghiaccio, e nessuna popolazione poteva ragionevolmente
sperare di sopravvivere serenamente in quelle condizioni. Lui solo
sarebbe rimasto. In fondo ne aveva il diritto: aveva dato la sua vita
al regno, ora voleva indietro almeno la sua morte.
Ecco come mai
il Principe si trovava ora solo, nel suo palazzo, nel suo pianeta, nel
suo sistema. I pianeti esterni erano andati in frantumi un paio d’anni
prima, e l’evacuazione era stata completata ormai da due mesi, con la
partenza dell’ultima nave dalla capitale. Da allora Jorbin passava le
sue giornate a fissare il cielo stellato. La mancanza di atmosfera
faceva sì che le stelle si vedessero sia di giorno che di notte, e il
panorama si era arricchito di tre nuovi sbuffi luminosi, tutto cio’ che
restava dei pianeti distrutti.
Avevano proposto a Jorbin di lasciare
per lui una nave da usare in caso di ripensamento, ma la soluzione non
era praticabile per via del suo DNA modificato. Il viaggio per arrivare
al nuovo sistema era troppo lungo, e il Principe non sarebbe
sopravvissuto. D’altronde, la distruzione del sistema di Ol’Rad avrebbe
significato comunque l’innesco delle tossine e la morte di Jorbin. Da
qualunque punto la si guardasse, Jorbin sarebbe morto. L’unica
possibilità sarebbe stata farsi modificare le ghiandole come gli altri
membri della famiglia reale e partire col resto della popolazione, ma
questo
non voleva farlo. In realtà aveva acquisito un sereno distacco rispetto
alla questione della sua sopravvivenza. Lui era il Principe di Ol’Rad.
Per questo era stato concepito, allevato, educato. Per questo aveva
vissuto per molte decine di anni. Senza Ol’Rad, lui non aveva più uno
scopo, un perché.
“Potrei trovare un nuovo scopo…” si era
detto diverse volte. In fondo quello che provava era comune a
moltissimi dei suoi sudditi, e loro avevano comunque trovato la forza
per andare avanti. Quello che glielo impedì fu la consapevolezza di
quanto tutta quella situazione fosse ridicola, di quanto fosse assurda,
divertente, in un certo senso. Un sistema che si trovava dove
non avrebbe dovuto stare veniva colpito da un proiettile proveniente da
chissà dove… Quante probabilità c’erano che questo avvenisse? Da dove
veniva il buco nero? Quante deviazioni, accelerazioni, frenamenti,
aveva subito prima di adagiarsi lungo la traiettoria che lo avrebbe
alla fine portato a passare esattamente in mezzo a tre galassie,
abbastana lontano da ciascuna da non essere rivelato, ma con la giusta
direzione per annientare il Principato Libero di Ol’Rad? E il
Principato: quali strane coincidenze avevano piazzato quel grumo di
materia cosi’ lontano dal resto delle stelle abitate, esattamente dove,
milioni di anni dopo, un buco nero nomade lo avrebbe poi annientato?
Fu
questo che azzerò la sua voglia di sollevarsi. Se siamo in balia del
caso, se il tutto è regolato dal niente, se non c’è alcun perché,
allora forse non vale la pena di regnare su un nuovo sistema.
I
soli e i pianeti intermedi avevano iniziato ad allontanarsi gli uni
dagli altri. Questo Jorbin lo sentiva, senza bisogno dei suoi astronomi
a dirglielo. Ancora qualche settimana, e non si sarebbe più svegliato.
Si era fatto lasciare delle sostanze contro il dolore: quello sì,
pensava di poterselo risparmiare.
Attese l’oblio solo, mentre il
suo regno veniva smembrato come in un immenso biliardo cosmico, dove
però nessuno teneva in mano la stecca.
novembre 13, 2007 a 7:49 am
Ciao Andrea, mi è piaciuto molto il modo in cui hai caratterizzato il personaggio principale, esplorando in modo efficace la sua personalità. Beh, il finale è degno di nota, direi… ottimo colpo! ^_*
novembre 13, 2007 a 2:45 pm
già concordo!
aspettavo con ansia il finale!
e non sono rimasto deluso….
jim
novembre 16, 2007 a 2:22 pm
invidio la capacità di descrivere situazioni così complesse!!!Complimenti Andrea!
dicembre 9, 2007 a 6:28 pm
Un bel finale, con un’ottima descrizione dello stato d’ animo del principe fatto con tatto e sensibilità. Il personaggio mi ricorda il comandante del Titanic quando decide di affondare insieme alla sua nave.
marzo 4, 2008 a 1:09 pm
L’avevo già letto, ma l’ho riletto volentieri. Bravo Andrea!
marzo 19, 2008 a 5:09 pm
Oltre che il comandante del Titanic mi ricorda anche Novecento, il protagonista dell’omonimo di Baricco. é una via di mezzo tra l’autorevolezza del primo e la vulnerabilità del secondo.
Credo che sarebbe stato valorizzato ancora di più se messo a confronto con gli altri personaggi all’interno del racconto, che restano un po’ delle ombre del protagonista.
Molto bello comunque, complimenti Andrea.
maggio 10, 2008 a 4:45 pm
Ho letto di seguito le tre parti di questa storia. Non mi è piaciuto molto nello stile (io amo i dialoghi), ma questa è solo questione di gusti. Apprezzo invece il contenuto. Ci ho sentito la solitudine. Tutto così perfetto, e programmato, e sommamente evoluto. Eppure alla fine tutto riconduce alla più scontata delle realtà: la morte. Appunto la stessa situazione di un “banale” capitano di una nave che affonda. Nel tuo Principe mi pare di cogliere un atto di ribellione proprio alla grande evoluzione e perfezione raggiunte. Nella sua scelta mi pare che egli rivendichi il diritto a lasciare che sia la sorte, e non un evoluto programma, a decidere. Come se nella sua scelta egli divenisse un Terrestre, un Umano. Alla fine la Morte ci caratterizza, e chissà che non ci sia “invidiata”. Oserei dire che infine anche Dio ha scelto la morte per essere uno di noi. Chiudo qui. Questo racconto conduce a molte riflessioni.
novembre 6, 2008 a 11:47 am
Davvero prezioso questo racconto, non pende da nessuna parte.
La storia di un uomo-re che accetta il suo destino, semplicemente e con saggezza.
Se una volta bisogna morire, meglio farlo per scelta, dove il destino ci ha infilato e dove abbiamo avuto un ruolo.
In un altro pianeta il Principe sarebbe stato uno dei tanti previlegiati, ma senza il ruolo che lo aveva reso quello che era. N.