Dal tuo respiro madre
mi accorgo potremmo fare economia.
Respirare di rado e leggero,
lasciare gli occhi socchiusi,
su mondi diversi,
sogni ultrauranici o ricordi.
La tua bocca spalancata,
ferita e spaccata,
con l’unico incisivo
che, stalattite, scende,
chiaro, sul suo buio,
aumenta la parvenza
di grotta all’Ade
che ora ti aspetta.
Altro fu l’oltretomba che aspettasti,
altro il declino,
qualcosa di lucido e sereno,
un falsopiano che conducesse,
pur con qualche sosta,
al paradiso del tuo dio,
chissà cosa ti aspettavi,
parlammo di tanto,
non mai di questo,
ma forse lo so cosa vorresti:
il tuo giardino al mare
e fuori un gran bazar
con merci sempre nuove
e venditori sempre gli stessi,
o, forse, questo è il mio paradiso
se fossi io con te bimbo;
pure viaggiare, imparare, fare
sempre ti piacque finché potesti
e ancora ci provasti quando ormai…
ultima cosa che io ricordi
fu per te umiliazione somma,
tagliasti assai diverse le gambe
dei pantaloni nuovi di cui ti chiesi l’orlo.
Ma con che forza fosti sostegno al babbo,
con quanto affetto ci seguisti,
anche sbagliando, adolescenti inquieti,
tre figli diversi eppure eguali
nell’affetto che tu ci portavi
facendoci sentire tutti “speciali”.
E discutemmo e litigammo assai,
quando l’Alzheimer colpì più duro
il segno fu che al confronto ti sottraevi
con astio e rabbia, che faticai a giustificare,
finché non compresi che con te stessa l’avevi,
per non essere più in grado di sostenerlo.
Ma non così ti ho ora nel cuore.
Ti ricordo a giustificare il babbo
e a stemperare la mia ira
che ti voleva convincere a divorziare:
oppure ricordo i biglietti che, partito,
mi trovavo in tasca con qualche soldo extra,
o che mai mi facesti pesare le partenze
o le assenze, lunghe o brevi che fossero,
o forse io non raccoglievo,
solo coglievo che un poco mi invidiavi,
ma tardi potei un poco porvi rimedio.
(Milano settembre 2002)
Un commosso, tenero ricordo. Ciao.