Tra i rossi monti, che brevemente verdeggiano d’aprile,
i colchichi violetti fioriscono, d’autunno, tra i sassi,
povere querce, stente, si sorteggiano il giallo del vischio,
qualche cespo di rosa porta ancora i frutti scarlatti.
Tutti attendono la neve, che li riposi.
Nessuna memoria rimane dei morti lungo il cammino,
degli armeni, degli assiri, dei kurdi, dei turchi, ma non solo,
di tutti quei popoli che vissero, fecondandole, quelle valli.
Ciascuno fu vittima, ciascuno fu carnefice.
Qualcuno più s’industriò nello sterminio,
qualcuno fu artigiano e non fece che vendette.
Pure sono gli stessi, i tremuli pioppi che seguono le vie,
prima e dopo gli spersi villaggi, dove si parla,
o si parlò, tra gli altri, zaza, diverso idioma,
di antico, diverso ceppo.
Milano 4 Ottobre 2012
Ho corretto un errore di battitura, per questo sono tornato tra i racconti nuovi, mi spiace ma è un difetto del sistema.