tra le radici di un pandano.
Sono il più grande,
cinque anni,
mi diceva mia madre,
tanto tempo fa,
quando era con noi
Così sono il padre,
no, non davvero,
solo fino a quando non torna,
sono il maggiore,
gli altri sono bambini
e devono ubbidire,
siamo riusciti a mangiare,
quasi sempre qualcosa,
ora però piovono bombe,
e io non so che fare.
Seduti sui calcagni, nel fango,
mia sorella e mio fratello stanno,
giocano, come facevo anch’io,
con una formica soldato e un rametto,
bisogna passarselo da una mano all’altra,
senza che ti morda, senza fine,
così facciamo anche noi,
avanti e indietro, tra i due fronti,
ora ho paura, più di prima,
sono cresciuto e non voglio,
non voglio andare con le Tigri,
non voglio combattere per loro,
non voglio lasciare i miei fratelli,
non voglio che l’esercito mi uccida,
penseranno che sia una Tigre,
anche se non lo sono…
Intanto qui non c’è niente da mangiare,
avessi almeno ancora il mio coltello,
potrei scavare le grosse larve bianche,
quei bruchi grassi e dolci,
nel legno marcescente,
ma l’ho perduto ieri nella frana,
ci siamo salvati a stento,
ha fatto cadere, il temporale,
il muretto di terra e di letame,
al quale stava appoggiata la lamiera,
chissà che non sia stato Shiva, il distruttore.
Chissà se i bombardieri hanno sulle ali,
o sulla pancia, l’immagine del Buddha,
che medita, ieratico, l’ascesi.
Ah, se avessi almeno il mio coltello!
veramente toccante e dolcissima, nella sua crudezza.
Attualissima, purtroppo…cruda ma efficace. Ciao!
toccante, molto.
Quanto dolore può contenere il mio cuore non so, mi sembra quasi ormai che ogni notizia di una guerra ne cacci un’altra, forse e su questo che fanno affidamento, che più che poche non ne possiamo sostenere emotivamente, così di qualcuna ci dimentichiamo, sei bravo a ricordarne tante…