Mi giro e rigiro nel mio letto: non ho sonno. Decido di fare un salto fuori e prendere una boccata d’aria e schiarirmi le idee.Raggiungo il terrazzo e scruto l’orizzonte. La luna è offuscata dalle ceneri che aleggiano nell’aria. Anche se la città dorme non mi sento al sicuro in questo posto. Vivo in questo palazzo da tre anni e anche se non mi manca niente ho paura dell’oscurità. Ho i brividi.
Ho libri per riflettere.
Ho un vecchio walkmen funzionante: ascolto musica anni ottanta. Mi rilassa.
Ho cibo e acqua. Sono un privileggiato e non è poco di questi tempi.
Ci sono persone che vivono ancora per strada al freddo o in vecchie baracche.
Ho vestiti e scarpe nuove.
Ho un letto per riposare. Dormire è una illusione.Ho un muro che mi ascolta in silenzio.
Ho i miei ricordi che mi confortano quando la speranza si spegne come la fiammella di una candela al soffio delle mie labbra.
Oggi posso dirlo non mi manca niente: ho tutto per vivere ma non ho un motivo per farlo.
Sono al sicuro? No, nessuno lo è. Ci sono gli sciacalli che uccidono per un pezzo di pane. Ci sono Loro che sopravvivono da qualche parte e contiamo di stanarli e ucciderli al più presto. Desidero che la nostra Terra torni a essere un mondo sicuro per i nostri figli.
Dove vivo adesso? In uno scantinato modesto e umido consumato dalla muffa.
Lontano dai riflettori.
Lontano dalle news quotidiane.
Lontano dagli affetti più cari.
Ho trascorso l’ultimo mese in silenzio a riflettere senza riuscire a chiudere occhio. Troppe morti mi hanno reso più fragile.
Dormire è pericoloso: – Quando è stata l’ultima volta? – l’ho dimenticato.
La paura di essere catturato e torturato da quelle cose mi ha tenuto sveglio e vivo in questi ultimi mesi, con l’angoscia che ogni mio ricordo possa essere distrutto da un momento all’altro: – Non voglio dimenticare i volti di chi mi è stato vicino! Urlo a gran voce.
Se ti addormenti Loro entrano nella tua testa e si nutronono dei tuoi ricordi: diventano più forti e intelligenti.
Quando ti risvegli dall’oblio non mostri più alcuna emozione. Poco tempo dopo, massimo uno, due giorni, muori: ogni funzione primordiale è azzerata.
Quando succede portiamo le persone private della loro memoria in un vecchio hangar abbandonato, dove vengono soppresse con il potente siero B-22, sperimentato dal Dr. Groove. È indolore e immediato.
Forse è crudeltà la nostra ma se dovesse capitare anche a me di essere catturato preferirei la morte piuttosto che vivere nell’oblio per l’eternità, in attesa di una cura… se mai si troverà.
Quindi dico: – Amici… non giudicateci! – sospiro.
Questa mattina abbiamo bonificato la periferia di Annovera e resa agibile. L’eliminazione di questi esseri ha richiesto un dispendio di energia elevato e la truppa è esausta. Loro ci hanno teso un’imboscata. Si contano le vittime: una ventina. Mi ritengo fortunato: faccio parte della Resistenza da 5 anni e non ho mai riportato ferite gravi. Sorrido ma è solo un attimo prima di ritornare alla realtà.
Nella Resistenza ho conosciuto Asha. Le lacrime mi rigano il volto: il suo è un ricordo che mi rattrista.
Domani è in programma un’altra missione molto rischiosa: andremo a stanare quegli esseri nelle fogne della città. Nelle fogne, lontano dalla luce del sole, potrebbero annidarsi gli ultimi mostri sopravvissuti alla guerra. Ho timore che le perdite saranno maggiori ma dobbiamo controllare ogni angolo della città se vogliamo debellare il male che affligge il nostro mondo: se non li debelliamo il prima possibile ci estingueremo. Nelle fogne i rischi sono molteplici: la visibilità è limitata e non ci sono molte vie di fuga. In un ipotetico scontro a fuoco potremmo avere la peggio. Incrocio le dita.
Poi mi affaccio sul cornicione del terrazzo, guardo giù e inspiro: il sapore acre dell’aria mi irrita la gola e mi convinco che forse è meglio tornare di sotto. È quasi l’alba e tra qualche ora dovrò essere pronto per la missione.
I primi raggi del sole scaldano la mia città. Posso sentire i passi dei miei compagni che si avvicinano al mio rifugio: indicano che l’ora è scoccata ma le mie gambe non vacillano. È la mia ultima missione prima del congedo. Toccherà ad altri bonificare le aree ancora contaminate.
Lasciare il lavoro mi dispiace ma mi sento sempre più stanco. Prendo le pillole ma il morbo avanza e presto non sarò più in grado di impugnare un’arma. Sollevo il braccio e osservo la mia mano tremante. Nonostante gli sforzi che faccio non riesco a fermare il tremolio: la fine è davanti ai miei occhi ma non ho paura di morire. Mi consola che presto riabbraccerò Asha.
Qualcuno bussa con insistenza alla porta, deve essere Ramirez.
- Uno scatto è sarò uno dei vostri anche oggi, ragazzi! – per l’ultima volta insieme come una famiglia.
- Ti guarderò le spalle amico! – mi dice – tu guarda le mie – è solo un cenno ma ci capiamo al volo.
Di corsa, indosso il casco e impugno il mio fucile. Controllo le mie scorte di cibo e acqua. Prendo l’esplosivo: potrebbe servire nelle fogne.
- Sono pronto – sussurro.
Oggi è diverso, l’idea di distruggere quelle cose mi eccita. Mi sento carico, rabbioso.
Adesso sono fuori. Mi volto, è un istante, scruto la mia casa: potrei non rincasare oggi, è solo un pensiero che allontano sul nascere dalla mia mente. Sono teso. La tensione è mia compagna di viaggio, mi aiuta a restare concentrato, vivo.
Il furgone nero, blindato, è a pochi passi dall’ingresso del mio palazzo: salgo e con gli altri compagni raggiungiamo il luogo stabilito. Sono le otto del mattino.
L’aria è ferruginosa. Ha un sapore amaro e tagliente. Fatico a respirare.
- Non mi ci abituerò mai – penso ad alta voce. Ecco un altro motivo che mi spinge a combattere: la mia povera Terra è in ginocchio per colpa di questa invasione aliena.
Tossisco per liberare le mie vie respiratorie in cerca di sollievo.
- Maledette polveri che aleggiano nell’aria e offuscano il cielo! – urla a gran voce Ramirez mentre tossisco.
Concordo con lei. Sono grato a quei pochi raggi di sole che filtrano l’aria e mi scaldano il cuore; mi confortano l’anima: il desiderio di un abbraccio mi accompagna lungo tutto il tragitto. Guardo negli occhi i miei compagni e penso a loro come a dei fratelli. Oggi qualcuno di noi non farà ritorno a casa. Ho gli occhi lucidi ma cerco di trattenere le lacrime.
Eccole le fogne. Una rete di gallerie sotterranee che si estendono sotto la mia città.
Il furgone blindato si ferma: uno alla volta scendiamo impugnando le nostre armi.
Prima di addentrarci nelle gallerie sotterranee il comandande Torres ci mostra una cartina delle fogne di Annovera. Mentre parla capiamo che conosce ogni centimetro di quel posto e ha pianificato ogni mossa: non ha lasciato nulla al caso.
- Soldati! Tuona il comandante Torres – oggi è un gran giorno e come sapete qualcuno di noi potrebbe non tornare a casa. Voglio dirvi che sono fiero di voi e se c’è qualcuno che non se la sente può rinunciare ma deve dirmelo adesso. Una volta varcata l’entrata delle fogne saremo soli e nessun Dio potrà venirci a salvare.
- Siamo con lei, comandante! – urliamo compiaciuti.
- Controllate le armi, gli esplosivi e le provviste. Ogni cosa deve essere al suo posto e in perfette condizioni.
Il comandande Torres pensieroso continua a fissare la mappa mentre i miei compagni controllano che l’equipaggiamento è in ordine e funzionante.
Trascora un’ora il comandante ci indica l’entrata delle fogne e noi lo seguiamo. Sono l’ultimo a scendere ma prima di farlo guardo le rovine di Annovera. Poi l’oscurità ci accompagnerà per tutta la durata della missione.
Accendiamo le torce mentre Ramirez ci fa strada. Noi siamo pronti a colpire al primo movimento sospetto.
La galleria è lunga e buia. Tubature vecchie e malandate si diramano in ogni direzione mentre l’acqua sotto i nostri piedi ci bagna gli scarponi.
Cosa vedo? Scarafaggi e ratti. Carcasse ed escrementi. L’odore nauseabondo mi disturba così tanto: vomito succhi gastrici.
- Stai bene? – mi sussurra un mio compagno.
- Si… non preoccuparti – gli assicuro che non è nulla di grave.
Poi riprendo il mio posto in coda al gruppo.
Mentre procediamo l’unica cosa che osserviamo è il vuoto che si estende davanti ai nostri occhi. C’è silenzio ovunque interrotto da alcune gocce d’acqua che cadono dalle tubature logore e arrugginite.
Procediamo in fila. Ramirez cammina adagio. Dietro il comandante Torres ci invita a essere sempre vigili.
La tensione sale passo dopo passo. L’odore diventa sempre più nauseabondo. Escrementi di topo sono ovunque e le loro carcasse squarciate mi impressionano. Le loro budella sono sparse lungo i bordi della galleria mettendo a dura prova la mia vista e il mio olfatto.
Ramirez e gli altri sono a 100 mentri di distanza da dove mi trovo. Poi non li vedo più. Rimango indietro. Le gambe vacillano: mi blocco. La testa mi duole e il cuore mi esplode nel petto.
- Calma! – sospirò. Ho bisogno di prendere fiato anche se non è sicuro restare indietro. Trovarmi di fronte uno di quei mostri non mi entusiasma.
Hanno il corpo ricoperto da una corazza munita di aculei giganti e taglienti. Ogni aculeo contiene un veleno: essere punto da uno di quegli affari ti paralizza la muscolatura. Hanno occhi piccoli, incavati: due puntini rossi che penetrano l’oscurità. La loro vista è molto sviluppata e vedono attraverso i muri. Ti osservano. L’udito è superiore alla norma: ascoltano il tuo cuore pulsare e poi ti attaccano con due enormi tentacoli muniti di artigli con cui perforano la tua scatola cranica e si nutrono dei tuoi ricordi, cancellandoti la memoria. Quando ti risvegli cammini senza una meta precisa: passato e presente sono ricordi lontani che non ti appartengono più.
L’ansia mi assale. Allora mi guardo intorno e cerco un riparo: controllo di avere ancora con me l’esplosivo. Sospiro sollevato.
- Lo userò nel caso mi catturino – penso in cuor mio.
Un suono metallico mi sveglia dal torpore in cui ero caduto. Mi guardo le spalle: nessuno. Forse è solo suggestione. In ogni caso controllo che ci sia una via di fuga ma non trovo nulla che faccia al caso mio. Chino il capo sconsolato.
Poi urla e gemiti echeggiano nell’aria ponendo fine al silenzio. Inizio a correre in aiuto dei miei compagni ma è tutto inutile: i loro corpi sono ridotti a brandelli. Il loro cranio è fracassato e frammenti di materia cerebrale sono sparsi sul pavimento. L’acqua sporca di sangue mi invita a desistere e a tornare indietro. Per un attimo ho pensato di fuggire ma sarei un codardo se lo facessi. Ho un’idea: ho tutto quello che mi serve con me. Ho l’esplosivo e quello dei miei compagni: lo raccolgo prima che quelle bestie mi saltino addosso. Poi spengo la torcia e mi nascondo dietro un quadro elettrico e lascio che l’oscurità mi avvolga nel suo mantello. Trattengo il fiato mentre madido di sudore penso ad Asha: – Non è ancora giunta la mia ora amore mio – quasi mi scuso con lei.
I mostri avanzano adagio incuranti dei corpi dei mie compagni mentre i loro occhi rossi brillano al buio. Sento un brivido sulla pelle.
Suoni atoni fuoriescono dalle loro bocche munite di fauci. Ormai la fine è vicina: innesco l’esplosivo e lo lancio nell’oscurità. Poi a fatica corro verso l’uscita: ho tempo cinque minuti prima che la galleria salti in aria.
Allo scadere del timer un gran botto echeggia nella galleria e una nube di polvere mi avvolge. Vengo scaraventato nel vuoto dalla forte esplosione mentre intorno a me le pareti e le tubature si sbriciolano come se fossero di cartapesta.
Poi non ricordo più nulla.
Quando riapro gli occhi sono disorientato. Per un attimo ho pensato di essere in un letto di ospedale mentre Asha è accanto a me che mi stringe la mano e mi rincuora. Ma è solo una allucinazione. L’impatto è stato terribile e ho perso conoscenza ma non sono morto nell’esplosione. I compagni che vigilavano l’entrata delle fogne mi hanno estratto dalle macerie e mi hanno riportato ad Annovera dove il Dr. Groove mi ha curato le ferite.
Ho riportato un trauma cranico ed escoriazioni su tutto il corpo oltre a un braccio fratturato: riposo assoluto.
Assorto nei miei pensieri nella mia stanza, piccola e piena di cianfrusaglie, immobile, fisso il muro di fronte che cade a pezzi ma resiste al tempo. È sopravvissuto agli attacchi e mi ha dato un tetto dove poter vivere.
Un lieve sorriso compare sulle mie labbra ma è solo un riflesso incondizionato. Poi tutto ritorna alla normalità: il sorriso è un ricordo come tanti altri.
Nessuno sorride più; la terra che calpesto è intrisa delle lacrime di tutti noi superstiti.
Io sono un superstite. Un sopravvissuto alla guerra. – Quanti siamo? Non saprei dirlo.
Nella stanza ci sono scatoloni sparsi sul pavimento ricchi di ricordi che non mi appartengono: non è casa mia ma con il tempo lo è diventata per necessità. Da uomo curioso quale sono vorrei dargli una occhiata ma resisterò alla tentazione di farlo. Quelle cianfrusaglie appartengono a qualcun altro.
Scrollo le spalle: – Mi dispiace un mondo ragazzi! – chiudo gli occhi e piango.
Piango per tutte quelle persone che non ci sono più. Chiudo gli occhi mentre le lacrime mi rigano il volto.
Mi alzo dal letto a fatica e prendo a calci uno scatolone e il suo contenuto si riversa sul pavimento: adesso ci sono fotografie sparse ovunque. Volti di persone che non conosco e non conoscerò mai.
Persone che abitavano in questa casa e avevano una storia personale da raccontare.
Quando la vita sulla Terra era ancora possibile.
Quando il sole ancora splendeva e scaldava le nostre giornate invitandoci a uscire.
Quando potevamo mostrare le nostre emozioni senza alcun timore che qualcuno ci portasse via i ricordi.
Quando Asha ancora mi abbracciava.
Svelto prendo le foto e le ripongo nello scatolone mentre le lacrime mi rigano il volto. Poi qualcosa mi colpisce: la foto di una bambina che assomiglia ad Asha. Non è Asha, non sei tu… non puoi esserlo ma la foto mi ricorda te e mi rammarico.
Mi ricordo: noi due insieme che passeggiamo mano nella mano in una normale giornata di sole mentre tu mi ascolti silenziosa.
Chissà come si chiama la bambina che tanto ti assomiglia. Ha il tuo stesso sorriso. I suoi occhi come i tuoi sono stelle che brillano nel cielo e suscitano in me strane emozioni che ricaccio subito via. Troppo dolore. Troppa nostalgia di quei giorni.
Disperato cerco di allontanarti da me. Di seppellirti. I miei ricordi sono altrove. Sepolti in qualche parte della mia memoria ma ho il timore di averli persi per sempre. La mia infanzia, la mia adolescenza, la mia stessa esistenza sono nascosti nella mia mente e ho paura che Loro possano tornare e portarmeli via. Non voglio dimenticare quello che sono.
Oggi piove a dirotto. Ascolto la pioggia che cade sui tetti delle baracche. Piango ancora una volta.
Sono chiuso in uno scantinato di una famiglia qualsiasi e ho voglia di voltare pagina ma non posso. Frenato. Mi sento come una macchina in panne che non riesce a ripartire.
Non riesco a dimenticare il tuo volto ancora sorridente. Il tuo abbraccio infinito per dirmi addio.
Ho assistito alla morte dei miei compagni nelle fogne. Mio fratello Albert è morto durante una missione esplorativa sacrificandosi per salvare la vita dei suoi compagni. Albert era un combattente della Resistenza, abile e coraggioso. Ha pagato con la vita la sua generosità e non rivederlo più mi provoca un dolore immenso. Indescrivibile!
Anche se il cielo è plumbeo e l’aria è sporca di fuliggine fuori la città è pronta per ripartire: la gente chiede un nuovo inizio. Ha bisogno di un leader per ricominciare a cotruire le fondamenta di una nuova società. Ripartire è diventato un dogma: dobbiamo farlo per dare un senso alla nostra vita.
C’è chi vorrebbe riorganizzare una nuova società. È l’occasione tanto invocata dai perbenisti. Molti di noi invoca a gran voce un nuovo inizio per dare un senso alla nostra esistenza e cancellare le nostre colpe. Consapevole che il vecchio mondo non esiste più, ha voglia di ripartire anche se ha perso delle persone care.
C’è chi come me crede che Loro torneranno. I mostri torneranno ad attaccare la Terra e ci annienteranno. È solo l’inizio di una guerra che durerà molti anni prima di estinguerci per sempre. Moriremo tutti! Per fame, sete, stanchezza.
Loro hanno tecnologie e risorse che noi terrestri non disponiamo. La nostra Terra è agonizzante. Cibo e acqua scarseggiano. Alcuni uomini hanno incominciato a saccheggiare le altre città in cerca di cibo. La violenza è all’ordine del giorno. Dobbiamo difenderci anche dai nostri simili e io sono stanco di vivere alla giornata senza un domani. Il mio presente era Asha.
C’è chi pensa che sia tutto un disegno di Dio per metterci alla prova.
Ma io non credo più. Vado avanti anche se non ho alcun motivo per continuare a vivere. Non ho il coraggio di togliermi la vita. Ho provato a tagliarmi le vene: ho affondato la lama nella mia carne poi mi sono fermato. Una piccola goccia di sangue sporca il pavimento: la osservo silenzioso e con gli occhi gonfi mentre cade. Asha: è rossa come i tuoi capelli. Sorrido: anche se non è casa mia, è come se lo fosse. Ogni parte di questo scantinato è intriso dei tuoi ricordi più dolci. È un attimo. Un respiro. Poi l’oscurità mi culla come una mamma che stringe a sé il suo bambino.
Ho provviste per molto tempo ancora. Poi cercherò un altro rifugio sicuro. Vivrò di solitudine sperando che la nuova casa non profumi ancora di te.
Nel nuovo mondo la violenza è all’ordine del giorno: anche un bambino non esiterebbe a uccidere per un pezzo di pane e un po’ d’acqua.
La mia città è solo un ricordo. Annovera non esiste più. La Resistenza ha trionfato. I più fiduciosi sostengono che la guerra è finita.
Sono rimaste solo macerie e cadaveri.
Pochi superstiti. Isolati. In condizioni estreme.
Il mio cuore è a pezzi. La speranza non esiste.
Guardo il mio corpo e cosa vedo? Cicatrici.
- Asha, vorrei abbracciarti! Hai ragione come sempre!
Ma non posso credere che è finita, non ancora. Ho bisogno di tempo.
Cammino avanti e indietro. Calpesto le mattonelle.
Guardo il volto di quella bambina e penso a te. Mi riesce difficile dimenticare.
Osservo la stanza come se non ci fossi mai stato prima.
Crepe ovunque.
Tanfo di umidità.
Buio.
Freddo.
Quella macchia rossa sul pavimento non vuole andar via. – Lasciami stare… non torturarmi Dio!
Chiuso qui dentro. Solo con i miei pensieri più strani: – Vivere, è ancora possibile?
Ieri aveva un senso, oggi non più.
Ieri ero felice, oggi non più.
Ieri avevo un futuro, oggi non più.
- Asha! Asha! Asha! – urlo a squaciagola il tuo nome, ovunque tu sia adesso. Alzo lo sguardo al soffitto e ti immagino nel firmamento. Tutto quello che volevi è lassù: la tua memoria e i tuoi ricordi resteranno indelebili nella mia mente.
Il tuo sogno era viaggiare nello spazio e destino crudele oggi ne fai parte.
Il mondo che verrà
6 febbraio 2020 | 0 Commenti