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Il pensatore

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Atto I: Il megastore

Nel magazzino, in fila al proprio posto, uno accanto all’altro, sembravano che dormissero, ma in realtà attendevano che qualcuno li rimettesse in funzione dopo la revisione settimanale a cui erano stati sottoposti.
Come due amanti, LUI le stringeva la mano, ma LEI, anche se le era accanto, ignorava quel gesto o meglio ignorava quella parte di LUI che lo faceva sembrare umano. LUI ne soffriva. Ma cosa vuol dire soffrire? Cos’era questa nuova sensazione che provava e lo turbava allo stesso tempo? LUI guardava gli altri e non capiva come facessero a essere sempre uguali a sé stessi. Buongiorno… Buonasera… Benvenuti… tutti i giorni, sempre la stessa routine.

Ogni mattina, ogni pomeriggio, ogni sera, l’interno del megastore era infestato da una moltitudine di bambini, che si muovevano indisturbati come blatte, liberi di toccare o rompere qualsiasi cosa.
«Dove sono i loro genitori? Quei miserabili marmocchi non fanno altro che strillare e mettere le loro mani, sporche e puzzolenti, ovunque, depositando i loro germi dappertutto mentre IO sono costretto a pulire di continuo mensole e pavimenti perché il Grande Capo è ossessionato dall’igiene.» IO si lamentava ogni giorno del disordine causato dall’arrivo dei bambini mentre correvano per le corsie del megastore.
«IO, conosci il regolamento, e sai anche quanto il Grande Capo ci tiene alla sicurezza dei suoi marmocchi. Vederli gironzolare avanti e indietro così, quando il Grande Capo è adirato, sai di cosa è capace. Non è vero, IO? Ti ricordi l’ultima volta cosa ti ha fatto? Vuoi essere rinchiuso di nuovo nello scantinato, in compagnia dei ratti che ti pisciano addosso? IO smettila di lamentarti e lavora. Il Grande Capo non ci fa mancare nulla, in cambio noi dobbiamo mantenere questo posto pulito e in ordine.»
«Ordine, ordine, ordine… maledizione! Non ne posso più di questa vita.»
«Smettila per favore! Conosci le direttive del Grande Capo, apertura alle nove, né un minuto prima né un minuto dopo. Quindi, invece di perdere tempo, rispetta le regole. Accendi le luci mentre io mi occupo di svegliare quei due. Questa settimana hanno riposato fin troppo per i miei gusti! Tra qualche minuto si comincia e noi siamo in ritardo.» Tuonò ALTRO minacciandolo con la mazza della scopa.
«Certo, vado subito», disse IO mentre ALTRO si allontanava per raggiungere il magazzino.
Per fare prima, IO si servì dell’ascensore di servizio, che collegava il salone al pianterreno con il primo piano, e raggiunse l’ufficio del Grande Capo: la stanza ai suoi occhi assomigliava alla plancia di un’astronave, e da lì dentro, il Grande Capo, seduto sulla sua poltrona di pelle, poteva tenere sotto controllo la sua creatura. IO chiamava quella stanza il Grande Occhio.
Fissò con i suoi occhi il quadrante per il riconoscimento oculare, posto alla destra della porta d’ingresso, che si aprì di scatto. Il pannello di controllo, il cuore pulsante del megastore, era di fronte alla porta, incassato all’interno del muro il cui intonaco cadeva a pezzi, mentre alla sua sinistra i monitor collegati con il sistema di sorveglianza proiettavano gli interni del suo salone.
IO entrò nella stanza e accese le luci dell’insegna del megastore.
Attivò il sistema di ventilazione mentre la saracinesca incominciò a sollevarsi lentamente lasciando che i raggi del sole si impadronissero degli spazi interni del megastore. Ma prima di ritornare al suo lavoro, notò un fascicolo sulla scrivania del Grande Capo, che catturò la sua attenzione.
Sulla prima pagina dell’incartamento c’era scritto: Progetto Z.
Diede una rapida occhiata al contenuto di quei fogli prima di tornare al suo lavoro.

Atto II: Il pensatore

Nel magazzino LUI e LEI erano seduti uno accanto all’altro in modalità riposo. LUI le teneva la mano mentre LEI fissava la parete di fronte, gli occhi fissi nel vuoto, ma la sua mente era disconnessa dalla realtà.
«LUI… LEI… svegliatevi!» ALTRO impartì il comando vocale e gli occhi di LUI e LEI incominciarono a lampeggiare nell’oscurità del magazzino.
LEI disse: «Buongiorno!»
LUI rispose: «Buongiorno a te, mia cara! Oggi è una splendida giornata. Non vedo l’ora di incominciare.»
ALTRO percepì qualcosa di diverso nel tono della voce di LUI e nel suo linguaggio: «Dove hai imparato a parlare in questo modo?»
LUI rimase in silenzio per un istante, inebetito, la sua testa oscillò da un lato all’altro del suo esile corpo metallico mentre i suoi occhi grandi e luminosi fissavano ALTRO, poi si voltò verso l’armadietto di legno accanto all’unico finestrino che li metteva in contatto con il mondo esterno e dove, ogni notte, LUI poteva ascoltare i passanti di turno e apprendere il loro modo di essere.
Indossò i suoi abiti ripiegati con cura il giorno prima, posti sopra una mensola di legno, e disse: «Gli umani sono esseri affascinanti, con mille sfumature, a differenza di noi automi. Durante le ore di lavoro li osservo e li ascolto e imparo a comportarmi come loro.» Finì di vestirsi: «Sono pronto.»
ALTRO lo guardava attonito: «Cosa stai facendo? Da quando indossi dei vestiti? E poi togliti quel cappello, sei ridicolo! Se il capo ti vede vestito così, sono guai.»
LUI: «Tutti i giorni, mi comporto allo stesso modo, guardo quelle persone che passeggiano tra le corsie del megastore in cerca di qualcosa di utile, parlano tra di loro, qualcuno sorride, mi sorride, altri litigano e i loro bambini? Non sono adorabili? Da qualche giorno, mi chiedo se anch’io ho mai avuto dei genitori o dei fratelli. Se ho una casa, se ho mai vissuto, se i miei pensieri sono reali o frasi registrate da qualcuno nella mia memoria virtuale. E tu, ALTRO, non ci pensi mai? E poi questi vestiti, quando li indosso, mi fanno sentire come loro.» Gli strizzò l’occhio.
«Umano?»
«No, un pensatore.»
«Ma guarda questo, da quando noi pensiamo? Il nostro compito è rendere questo posto operativo. Quindi, LUI e LEI muovetevi! Sono le nove e siete in ritardo. Presto questo posto sarà pieno di mocciosi e voi siete ancora qui. E tu, LUI, un consiglio, smettila di sognare e vai a lavorare.»
«ALTRO… non sono d’accordo con te, ma ti voglio bene, anche se hai un caratteraccio.»

ALTRO rimase in silenzio e analizzò le parole pronunciate da LUI: «Che vuol dire ti voglio bene?»
LUI e LEI raggiunsero l’entrata del megastore e si prepararono ad accogliere i visitatori.

Atto III: Il Grande Capo

Le porte del megastore si aprirono mentre una mandria di bambini inferociti si catapultò al suo interno. Piccoli marmocchi selvaggi che si divertivano a vagare tra le corsie del megastore. Erano ovunque. Toccavano le cose, a volte le spostavano da uno scaffale all’altro, altre volte le lasciavano a terra o le rompevano.
Anche se era stata predisposta un’area giochi per bambini, preferivano di gran lunga le corsie del megastore mentre i loro genitori erano impegnati a cercare ciò di cui avevano bisogno.
Il Grande Capo, chiuso nel suo ufficio, osservava divertito quella mandria di bambini pestiferi che mettevano a soqquadro il suo locale. Ma che importanza aveva, la speranza era quella di vendere le sue cianfrusaglie e fare soldi. Tanti soldi.
Dopo la grande recessione, le vendite erano diminuite e la sua amata creatura era in crisi. A stento riusciva ad arrivare a fine mese ma a quale prezzo? I suoi collaboratori erano ormai obsoleti e andavano sostituiti da modelli più moderni e funzionali considerando che qualcuno incominciava a dare segni di squilibrio. Bisognava rinnovare i locali e rendere più moderno e attraente il megastore. Altrimenti non c’era alternativa: doveva venderlo. Quel pensiero lo rattristò. Il Grande Capo smise di sorridere, afferrò il fascicolo sulla scrivania, l’aprì e sfogliò le carte una alla volta soffermandosi sull’ultima pagina: la somma che gli proponevano era impossibile da rifiutare. L’Universo era infinitamente grande, anche quella cifra doveva sembrare ai suoi occhi così grande. «Tanti soldi», pensò ancora una volta dentro di sé, ma la vendita del suo megastore a una multinazionale che si occupava di progettazione e produzione di tecnologie all’avanguardia, invece di renderlo felice lo rattristava. Con quei soldi poteva comprarsi una casetta sul lago e pescare trote ogni giorno come sognava da tempo e vivere di rendita. «Tanti soldi», ripeté ancora una volta dentro di sé, ma che fine avrebbero fatto i suoi collaboratori che considerava come suoi figli? LUI, LEI, IO e ALTRO, quale futuro per loro? Nel fascicolo, Capitolo V, si parlava di dismissione immediata, rabbrividì. «Non ci voglio pensare! Voglio godermi la giornata», urlò a gran voce ma l’eco delle sue parole si dissolse nell’aria della stanza. Ripose il fascicolo in un cassetto della sua scrivania e si accese una sigaretta.

Atto IV: Chi sono?

All’entrata del megastore, LEI, ferma nella stessa posizione da più di due ore, dava il benvenuto agli umani e regalava caramelle ai loro marmocchi. IO e ALTRO rimettevano in ordine gli scaffali e ripulivano le corsie. LUI aveva abbandonato la sua postazione di servizio da un’ora e vagava, crucciato e senza meta nel negozio, in cerca di risposte che tardavano ad arrivare: «Che pensatore sono se non riesco a trovare delle risposte alla mia esistenza? Forse ALTRO ha ragione, noi non siamo nati per pensare ma eseguiamo solo dei comandi impartiti dal Grande Capo. Siamo un ammasso di metallo e fili elettrici saldati insieme da qualcuno, Nostro Padre», pensò ad alta voce, «Tutto quello che facciamo è scritto nel nostro codice di programmazione. ALTRO mi ha detto che parlo e mi comporto in modo diverso rispetto al solito, forse ha ragione, forse sono difettoso e ho bisogno di assistenza tecnica immediata. Potrei fare del male a qualcuno.»
Mentre si spostava dalla corsia III, casalinghi, alla corsia V, giocattoli, notò un bambino che lo fissava dall’altro lato della corsia. «Forse si è perso», LUI si affrettò a raggiungerlo.
«Buongiorno a te, ragazzino!»
«Buongiorno, e tu che ci fai qui? Non dovresti essere all’ingresso a salutare i visitatori?» disse il marmocchio compiaciuto.
«Sì, hai ragione, ma oggi non ne ho voglia. E… comunque non sono affari che ti riguardano, ragazzino!» tuonò LUI stizzito.
«Che ti è successo, sembri diverso dagli altri!» esclamò il bambino disorientato.
«Come ti chiami?» disse LUI dopo aver considerato le sue parole come un complimento alla sua nuova condizione di pensatore.
«Mike e tu?»
«LUI» rispose di rimando l’automa.
«Che nome è LUI?»
«Tutti qui dentro mi chiamano così.»
«È un nome buffo.»
«In effetti, se ci penso, hai ragione. E secondo te, come mi dovrei chiamare?» disse LUI affascinato dalla piega che stava prendendo la conversazione.
Il bambino si grattò la testa per un attimo e si guardò intorno in cerca di un suggerimento. Poi focalizzò la sua attenzione su un giocattolo vestito da cowboy proprio come LUI: «Artur, come quel giocattolo lì. Ti assomiglia molto.»
LUI si voltò e guardò nella direzione indicatagli da Mike. «Si, Artur mi piace, e quel cowboy mi assomiglia davvero.»
«Allora amico, da oggi ti chiamerò così. E adesso che hai un nome, cosa pensi di fare?»
«Voglio scoprire chi sono. Si, voglio conoscere i miei genitori.»
«Ma… tu sei un automa!» disse divertito Mike abbozzando un fievole sorriso.
«Ti sbagli, Mike! Io so chi sono e adesso devo andare, ti saluto amico. Grazie di avermi aiutato.»
Dopo averlo abbracciato, Artur si precipitò da LEI, euforico.

Atto V
Eccola, lì sulla soglia, mentre con la sua voce sottile augurava la buona giornata ai visitatori.
Eccola mentre distribuiva le caramelle ai marmocchi.
Anche se provava qualcosa per quell’automa, Artur era consapevole che LEI non era come lui, non pensava, eseguiva i comandi impartiti dal suo programmatore. Eppure, anche LEI, era un ammasso di metallo e fili elettrici saldati insieme ma non era come lui, non era difettosa. Non provava sentimenti.
«Io, sì! Anche se non ho un cuore che batte nel mio petto e non respiro come gli umani, provo dei sentimenti. Amore, felicità, tristezza, paura, rabbia… li sento dentro di me e mi scombussolano proprio come questi marmocchi mettono a soqquadro il megastore. Mi domando: perché proprio a me? Cosa c’è che non va e mi rende diverso dagli altri? Se il Grande Capo si accorgesse che sono difettoso potrebbe decidere di farmi riparare e quindi addio a quello che sono diventato, addio ad Artur. No, Artur non vuole morire, Artur vuole vivere! Adesso sono felice perché sono capace di provare emozioni. Anche se Artur non è umano, Artur può vivere come uno di loro ed essere allo stesso tempo molto felice.» Pensò ad alta voce e gli sembrò quasi di arrossire. In quel momento si preoccupò che qualcuno potesse sentirlo e scoprire il suo segreto.

Artur, continuava a fissare l’ingresso del negozio: «Perché non mi ami, LEI?»
Afflitto, si avvicinò all’automa, la guardò negli occhi luccicanti e le prese la mano con delicatezza. Poi le disse con un filo di speranza: «Ciao, LEI. Volevo dirti… niente, mi sono sbagliato.» L’eco della sua voce risuonò nella sua testa, frastornandolo.
LEI, lo guardò per un istante negli occhi, sembrava potesse esserci un contatto visivo tra i due automi, ma fu solo un attimo, lasciò cadere la sua mano nel vuoto, lo ignorò come sempre, come ogni notte, prima di entrare in modalità standby e si affrettò a consegnare a un marmocchio tarchiato le ultime caramelle rimaste nel sacchetto. Poi si voltò ancora una volta verso Artur e rimase indifferente per tutto il tempo.
«Tu non mi capisci, vero? Non sai cosa vuol dire amare. Mi dispiace per te, ma io cerco risposte che in questo posto non troverò mai.»
Artur continuava a parlare ma LEI era assorta nel suo compito: «Vado a prendere un altro sacchetto.» E così fece.
Artur si voltò rattristato e ritornò a girovagare tra le corsie del megastore quando si accorse che IO e ALTRO stavano discutendo in maniera animata.
Nascosto dietro una pila di scatole di giocattoli, ascoltò in silenzio i due umanoidi discutere di qualcosa che lo riguardava.
«ALTRO, hai mai sentito parlare del Progetto Z?»
«No, di cosa si tratta?»
«Questa mattina mentre ero nel Grande Occhio, ha notato un fascicolo sulla scrivania del capo, il Progetto Z. L’ho aperto e ho dato un’occhiata alle carte. Il Grande Capo vuole vendere il suo megastore. In ballo ci sono tanti, tanti… tanti soldi.»
«Il Grande Capo, quanti anni ha? Chi lo sa! Io lavoro in questo poto da molto più tempo di te e non me lo ricordo giovane. Si sarà stancato di questo posto e del suo lavoro e vuole vendere. Chi può biasimarlo, è nato e cresciuto qui dentro, adesso vorrà andare in pensione per godersi gli ultimi anni di vita.»
«ALTRO, forse hai ragione, ma c’è qualcosa che riguarda tutti noi.»
«Cosa intendi, TUTTI?»
«Ehm… mentre il megastore sarà convertito nella produzione di tecnologie all’avanguardia, noi saremo disattivati e sostituiti da umanoidi più moderni e funzionali. Siamo obsoleti e quindi inutili per svolgere le nuove mansioni. Poi… ehm… c’è la questione della sicurezza: secondo il nuovo codice etico, che entrerà in vigore con il nuovo anno, tutti i vecchi modelli di automi devono essere dismessi nei punti di raccolta perché ritenuti pericolosi e nocivi per l’ambiente. Continuando a leggere il fascicolo, ho scoperto che per gli umanoidi come noi due, c’è la possibilità di essere riconvertiti secondo le nuove direttive. Le leghe di cui siamo fatti sono biodegradabili e non inquinano.»
«Cosa vuol dire, IO?»
«Dentro di noi verrebbe installato un nuovo sistema operativo che ci renderebbe funzionali, e andrebbe a sostituire quello precedente, cancellando la nostra vecchia identità. In altre parole, essendo umanoidi di ultima generazione, siamo compatibili con il nuovo sistema operativo MI14 mentre LUI e LEI verrebbero dismessi. Le parti di cui sono fatti verrebbero smaltite nei centri di raccolta specializzati e distrutte.»
Artur ascoltò in silenzio e a stento trattenne la rabbia che pian piano si stava impossessando del suo corpo di latta. Amore, tristezza, paura, rabbia, per oggi poteva bastare; attese che i due si allontanassero e si precipitò al primo piano.
Raggiunse l’ufficio del Grande Capo e notò che la porta era aperta: entrò e con stupore si accorse che non c’era nessuno. «Strano, si sarà dimenticato di chiuderla! O forse si è allontanato un attimo per andare in bagno», pensò dentro di sé.
Cercò il fascicolo intitolato Progetto Z ma non lo trovò. Aprì i cassetti, uno alla volta, ma erano vuoti. Guardò il cestino dei rifiuti in cerca di una prova, ma c’erano solo fogli di carta appallottolati uno sull’altro. Nel dubbio, si rese conto che doveva escogitare un piano. Doveva scegliere tra essere dismesso, «Morte certa» pensò, o fuggire verso l’ignoto. Optò per la seconda strada. Tra le due possibilità, era la scelta migliore.
Si precipitò al pianterreno e si diresse verso l’uscita sperando che ALTRO e IO lo vedessero andar via.

Atto VI: Addio, Artur

Mentre si accingeva a raggiungere l’uscita del megastore, si accorse che ALTRO e IO erano impegnati a ripristinare gli scaffali della corsia V. C’erano giocattoli sparsi ovunque sul pavimento e la corsia era stata chiusa momentaneamente al pubblico.
LEI era sulla porta d’ingresso mentre augurava la buona giornata alle famiglie e distribuiva caramelle ai bambini, il Grande Capo era rientrato nel suo ufficio e stravaccato sulla sua poltrona, li osservava dall’interno del Grande Occhio.
Nella corsia VI, Artur immerso nei suoi pensieri, non vedeva l’ora di essere libero ma allo stesso tempo provava compassione per chi lavorava in quel posto: «Che tristezza!» pensò guardando i tre colleghi impegnati nella solita routine. «Addio, colleghi!» doveva andar via il prima possibile, quando poteva ancora confondersi con la folla in visita al megastore. Poi vestito da cowboy avrebbe ingannato anche il Grande Occhio.
Mike e i suoi genitori attendevano di effettuare il pagamento degli articoli acquistati. Il ragazzino lo vide e lo salutò con un cenno della mano e Artur ricambiò il gesto.

Raggiunta l’uscita, le luci a infrarosso rilevarono la sua presenza e la porta si aprì al suo passaggio. Artur varcò la soglia che lo separava dal mondo degli umani e per la prima volta nella sua esistenza gli parve di respirare l’aria, gli sembrò di percepirne gli odori. Era forse il profumo della libertà che stava respirando? O forse era solo un sogno che il suo centro di controllo stava elaborando in quel momento? Forse si trattava di un’immagine scaricata dalla rete e immagazzinata nella sua memoria virtuale durante le notti trascorse a pensare, chiuso tra le mura del magazzino.
Poi un suono, un bip improvviso, lo allertò. Il braccialetto che portava al polso rilasciò un suono stridulo, assordante, che durò qualche secondo. Seguì una breve ma intensa scarica elettrica che lo fulminò all’istante. Artur si accasciò a terra immobile.
La porta si aprì, ALTRO e IO varcarono di corsa l’uscita del megastore e raccolsero da terra la carcassa di latta e inerme di Artur. Dopo averlo trasportato in una stanza fredda e vuota al primo piano, lo distesero sopra un tavolo e attesero l’arrivo del tecnico informatico.
L’uomo, giunto sul posto, si avvicinò all’automa, annotò sulla sua agenda l’ora e il numero di matricola riportato sul braccialetto: 101001.
Cercò il pannello di comando del trasgressore, lo aprì, riavviò il sistema operativo, accertandosi che il malfunzionamento dell’automa non fosse dovuto a un virus informatico.

Quando Artur si svegliò dal sonno in cui era precipitato, era lì, insieme a LEI, ad augurare la buona giornata ai visitatori e a distribuire caramelle ai marmocchi come aveva sempre fatto. Mike osservava la scena divertito e lo salutò di nuovo ma questa volta l’automa non lo riconobbe: Artur il pensatore se ne era andato per sempre insieme alla sua umanità.

Era una fredda giornata di primavera, il cielo era terso mentre alcune rondini danzavano, libere di volare, sopra l’orizzonte.

Autore: jolly76

Sono nato a Bari. Amo leggere libri di ogni genere. Amo scrivere... Accetto le critiche...

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