Tra mille sentieri, uno in particolare brilla ai miei occhi. È posizionato, dietro due grosse querce, immerso nel verde, popolato da tenere creature, che mi seguono passo dopo passo, saltando da un ramo all’altro degli alberi.
Raggiungo la riva del lago in pochi minuti.
Incredula, una volpe mi osserva nascosta dietro i cespugli e vede dissolvermi nel nulla. Il piccolo animaletto si avvicina al punto in cui sono scomparso ma della mia presenza resta, solo, l’aroma del mio profumo e le impronte lasciate dalle mie scarpe da trekking.
Quelle impronte sono l’unica testimonianza del mio passaggio.
Lago di Como, 1980
Al mio arrivo, i raggi del sole riscaldano il porticciolo dove mi ritrovo catapultato alla fine del sentiero.
La vista del lago è incantevole. Per me, scrutarlo da qui, come un naufrago spiaggiato sulla riva di un’isola deserta, è stimolante per i miei cinque sensi, e quando mi soffermo a guardare l’orizzonte, immagino mondi popolati da creature fantastiche: nuove storie emergono dal mio inconscio, valorosi guerrieri si affrontano in epiche battaglie. Chi vincerà? Il bene trionferà sul male o per una volta l’umanità soccomberà alle tenebre? Poi c’è dell’altro che rende questo posto un rifugio confortevole per chiunque: la sua tranquillità al mattino presto, il clima che non ti soffoca, le escursioni in compagnia di amici, camminando a piedi nudi lungo sentieri inesplorati, il contatto con la natura, l’essenza dei fiori e il cinguettio degli uccelli che volano spensierati nel cielo.
Inspiro, l’aria fresca pervade le mie narici ed entra in circolo, come una droga, rigenerando ogni fibra del mio corpo: mi sembra di rinascere. Tra me e il lago c’è complicità. I ricordi ci tengono uniti come tessere di un puzzle: ci incastriamo alla perfezione. Alcuni ricordi ci seguono ovunque andiamo, altri rimangono sepolti nei meandri della nostra mente, a volte affiorano in superficie e rendono le nostre notti insonni.
Ancora frastornato e scettico, mi guardo intorno, sgrano gli occhi sbigottito, sono trascorsi ventotto anni ma questo posto è sempre singolare e affascinante: vicino alla riva, una ragazza è seduta con le gambe incrociate e scruta le profondità del lago: “In che anno sono? Scavo nei meandri della mia mente, forse… estate 1980… e quella ragazza è Giulia”, nonostante il posto sembra reale, ma forse sto sognando, mi lascio andare, “E io dove sono? Quella mattina c’ero anch’io!”. L’inquietudine mi avvolge come una seconda pelle. Scrollo le spalle, sconsolato. Calcio un sassolino, rimbalza sulla superficie dell’acqua, descrivendo cerchi concentrici, prima di affondare per sempre sul fondo del lago.
È impossibile resistere a tanta bellezza, decido di immergermi nelle acque del lago, ogni volta è come la prima volta.
Percorro il viale acciottolato che conduce alla riva, come ero solito fare in compagnia di Giulia, e tra una risata e l’altra, ci giuravamo amore eterno: i ricordi rimbalzano nella mia mente come palline di un flipper e mi scuotono. Scrollo il capo: “Oggi per te sono solo un turista come tanti ma un tempo non era così…”, ho gli occhi lucidi e un nodo alla gola ma continuo a camminare.
Giungo alla fine del viale, accarezzo l’insegna, che recita “Benvenuti al lago”: il mio sguardo si posa sulle mie iniziali incise sul legno. Vacillo.
Ancora inquieto e sommerso dai ricordi, incrocio, per sbaglio, il suo sguardo, il cuore mi esplode ma una voce mi risveglia dal torpore in cui sono precipitato: “Nessun contatto con lei… uomo bianco!”. Le parole del vecchio risuonano nella mia testa come un avvertimento ma si perdono nel vuoto. La tentazione di sedermi accanto a lei è incommensurabile. Vorrei dirle che non l’ho mai dimenticata e raccontarle della mia vita, dei mie successi e delle mie inquietudini ma desisto dal farlo. Chiudo gli occhi e sospiro, sono solo di passaggio, sono tornato qui, oggi, per dirle addio:“Dobbiamo andare avanti! Sono tornato per dirti che si vive una sola volta… la vita non si sceglie, la vita va vissuta!”. Voglio urlare a squarciagola il mio disagio ma stringo i pugni per sbollire la mia rabbia.
Un anno fa, forse, era il 20 agosto del 2020, non ricordo con precisione, durante un soggiorno in Africa, ho conosciuto un vecchio sciamano che mi ha raccontato di viaggi nel passato per nutrire i demoni che albergano dentro di noi. Come uomo di scienza ero scettico ma per una volta ho ascoltato la voce dell’irrazionale: ho voluto credergli. Ho ascoltato con attenzione le sue parole e alla mia domanda: “È possibile eludere l’ineluttabilità del destino per essere felici e cambiare il futuro senza gravi conseguenze sull’Universo o devo pagare dazio in ogni caso?”.
E il vecchio: “Uomo bianco… la tua felicità ha un prezzo e potresti rendere infelici altri che non lo meritano. Un mondo di infelici è un mondo vuoto”.
Mentre riflettevo sulle sue parole gli ho risposto: “Io non voglio cambiare il futuro dell’umanità, ne sto cercando un altro più favorevole al mio. Scelta egoistica ma di fronte all’amore, tu vecchio saggio, che faresti?”.
Mi ha preso per mano e abbiamo incominciato a camminare tra i boschi.
“Dove andiamo? Gli ho chiesto, tra un sospiro e l’altro.
Con un gesto della mano mi ha invitato ad ascoltare il silenzio e guardare il mondo con gli occhi di un bambino: “Ascolta la natura e lascia parlare il tuo cuore, uomo bianco… troverai il sentiero che ti condurrà dai tuoi demoni… nutrili… e troverai quello che cerchi!” mi ha risposto prima che il mondo intorno a me crollasse.
Il cielo è terso, come nella fotografia che conservo nel cassetto della mia scrivania, l’acqua è trasparente: il lago è uno specchio che riflette la mia giovinezza.
Giulia è ancora seduta con le gambe incrociate e continua a osserva l’orizzonte. Cerco di essere accorto, mi avvicino alla riva, bagno i piedi: l’acqua è gelida. Un brivido mi percuote lungo il corpo.
Un uccello acquatico danza sul lago, poi vola via. In cielo, disegna archi prima di planare ancora una volta sul lago e afferrare con il becco la sua piccola preda, che non può far altro che soccombere, poi scompare tra i boschi. Ammiro la sua audacia e un po’ lo invidio: vorrei essere come quell’uccello acquatico, fiondarmi sulla mia preda e strapparla al suo destino. Forse è solo utopia.
Dopo il brivido iniziale, mi immergo nel lago. Nuoto lontano dalla riva, mi fermo, guardo Giulia: i capelli neri le cadono sulle spalle, i suoi occhi grandi brillano di luce propria come il sole. Poi Giulia si alza e adagio si avvicina alla riva lasciando che il vento le scompigli i capelli. Poi si immerge nel lago e incomincia a nuotare verso l’orizzonte, come se volesse scoprire cosa si cela dietro quella linea immaginaria, e mi sfiora. È un istante, sento una scossa che mi manda alla deriva: le nostre vite si incrociano di nuovo come i binari di un treno. I ricordi riaffiorano in superficie confusi, le vorrei dire: “Grazie di avermi regalato un pezzo della tua vita!”, poi un bagliore di luce improvviso mi acceca. La voce del vecchio mi riporta a casa: “Uomo bianco… svegliati”.
Apro gli occhi, il sentiero è alle mie spalle, la volpe è ancora lì, accanto alle mie impronte, che mi osserva. La sua incredulità è disarmante, mi strappa un sorriso.
Del vecchio non c’è traccia.
Il sole volge al tramonto mentre l’oscurità si appresta ad abbracciare Brunate.
Doccia… poi mi tuffo sul letto senza cenare, non ho molta voglia di rifocillarmi. Apro la valigia e sfoglio l’album dei ricordi prima di riporlo in soffitta. Dirle addio, è stato difficile: il giorno più emozionante, inatteso, impensabile, ancora non ci credo che sia stato possibile rivederla.
Chiudo gli occhi, le lacrime mi rigano il volto, e quando lì riapro qualcuno bussa alla porta. “Chi può essere a quest’ora? Fuori è buio da un po’…”, scuoto la testa perplesso.
Vado a controllare e quando apro la porta l’oscurità mi abbraccia: “Sono venuta a prenderti” mi dice la ragazza del lago prima di strapparmi dal tepore della mia casa.