Sopra di loro, un cielo plumbeo e tambureggiante.
Luke vomitò disgustato. Era caduto in una fossa, circondato da mucchi di ossa spezzate e corpi mutilati. Nella sua testa emergevano solo pochi ricordi: era diretto con i suoi compagni ad Amath, la sua comunità, prima di essere aggredito da alcuni non morti… quindi il nulla. «Paul… Sten… Carol… dove siete?», l’eco dei loro nomi si dissolse nell’aria.
Ancora un’ora e i pochi bagliori di luce che penetravano il cielo grigio avrebbero lasciato il posto all’oscurità. «Qualcuno mi aiuti!» gridò ancora ma l’urlo gli si strozzò in gola. Fissò smarrito la fossa: «Che orrore!» disse immaginando cosa sarebbe diventato. Se voleva sopravvivere doveva agire in fretta: presto si sarebbe fatto buio e non era convenevole restare lì, solo.
Scosse il capo disperato. Inspirò e cercò una via di fuga ma non c’erano appigli a cui aggrapparsi e pensò di ammassare i corpi uno sull’altro ma la fossa era abbastanza profonda e da solo, con una gamba rotta, non ce l’avrebbe mai fatta, rinunciò. Ma non aveva tempo da perdere, doveva trovare un’altra via di fuga. I pensieri si accavallavano nella sua testa disorientandolo e procurandogli una forte emicrania mentre l’ansia gli toglieva il respiro e oscurava la sua mente già a corto di idee.
«Coraggio, ce la faremo!», tuonò qualcuno nascosto tra le carcasse di cadaveri in putrefazione. Sporco di fango e sangue, assomigliava a un non morto ma era una persona viva. Respirava a fatica ma era ancora viva. Luke sospirò per lo scampato pericolo: «Chi sei?» domandò attonito. Chiunque fosse, data la situazione, poteva aiutarlo a fuggire.
Da dietro a una montagna di corpi, apparve una figura minuta ed esile: «Suor Ania, e tu straniero come ti chiami?».
«Luke» rispose l’uomo mentre un fievole sorriso comparve sulle sue labbra solcate da una cicatrice che ne sfigurava il volto. Scosse il capo e sputò a terra mentre osservava quell’esile figura scrollarsi di dosso alcune carcasse umane.
«Ti sembra divertente?» disse Ania.
«No, mi disgustano quelli come te. Dio? Come puoi affidarti ancora a Lui? Guardati intorno, vedi dove siamo? In una fottuta fossa piena di cadaveri. Magari, tra questi corpi senza vita, c’è qualcuno che conosci, qualcuno con cui hai condiviso parte della tua esistenza. Guardati intorno, ascolta, anche il vento ha smesso di far rumore, e gli avvoltoi, sopra di noi, li vedi?, attendono pazienti la nostra fine. L’aria che respiriamo ogni giorno… senti l’odore? Puzza di sangue e visceri. Guardati intorno, osserva l’orizzonte, e dimmi, tu, donna, riesci a vederlo? Perché da qui, è difficile credere di avercelo ancora un domani. Qui, oggi, né tu né io, ne usciamo vivi».
Ania non disse nulla, lo lasciò parlare. Osservò l’uomo come un’esploratrice naufragata su un’isola deserta scruta l’ignoto e si pone delle domande. Chi sei? Da dove vieni? Anche se sono una suora, se è necessario, ho imparato a difendermi. Non posso fidarmi di nessuno, nel nuovo mondo bisogna essere prudenti con gli sconosciuti. Il male si cela ovunque. Oggi non posso morire, la mia gente ha bisogno delle medicine, strinse a sé la borsa, ma quando vide l’uomo avvicinarsi, afferrò un piccolo coltello dalla tasca dei pantaloni, lo impugnò con la poca forza che le era rimasta: Sono pronta anche a ucciderti, pensò in cuor suo.
L’uomo tossì e sputò sangue prima di riprendere a parlare: «Beh, se esiste un Dio, lo ringrazio. Nel nuovo mondo, io mi sento vivo. Prima che tutto finisse, ero un uomo qualunque, uno zero per chi mi conosceva. Lavoravo in una clinica per pazzi, pulivo i bagni… il loro piscio e la loro merda erano ovunque, ma mai un saluto, mai un grazie, mai una pacca sulle spalle. Nessuno mi vedeva, ero invisibile. La sera, al buio, chiuso nella mia stanza piangevo e per soffocare la mia rabbia, mi procuravo dei tagli sulle braccia. Oggi, respiro, e sai il motivo? Nel nuovo mondo, se vivi o muori, non frega un cazzo a nessuno. Se uccidi qualcuno, vivi. Se ti mostri compassionevole, muori. Se non cambi, se non reagisci, ti tagliano la gola e ti derubano di tutto quello che hai. Come può il tuo Dio permettere che ciò accada? Come può Dio avere pietà delle nostre anime? Ama il tuo prossimo come te stesso… mi viene da ridere… tu, suora, come puoi ancora credere alle favole? Se il tuo Dio è misericordioso, perché non manda sulla Terra un esercito di angeli per tirarci fuori da questo schifo? O forse teme le fiamme dell’Inferno? Vivo in una comunità dove ci sono molte donne e bambini, non sono in grado di difendersi, non abbiamo da mangiare se non per poche settimane. I viveri non sono sufficienti per sfamare tutti quanti… io sono la loro unica salvezza. Ecco, donna, nel nuovo mondo mi sento vivo. Le persone mi vedono e se oggi dovessi morire tradirei la loro fiducia». Alzò gli occhi al cielo, sospirò: Dio non esiste! Sputò a terra sangue.
«Ti sbagli, tu sei stato mandato da Dio per salvarmi. Sono intrappolata in questa fossa da due giorni. Sotto la pioggia e al freddo, ho invocato il mio Dio e mi ha ascoltato. Tu sei qui, e adesso mi aiuterai a uscire da questa prigione di morte». Disse la suora minacciandolo con il coltello.
«Donna, attenta, con quell’arnese qualcuno potrebbe farsi male, mettilo via…», tossì, «Cosa credi, come te, anch’io voglio tornare a casa, dalla mia gente. Di carne morta ne ho vista fin troppa, muoviamoci! A Nord, una mandria di non morti è diretta verso di noi e se non ci sbrighiamo, questa fossa, sarà anche la nostra tomba». Prese fiato.
«Ma prima devo immobilizzarti la gamba» disse la donna rivolgendosi all’uomo disteso a terra e dolorante.
Ania cercò un pezzo di legno per immobilizzare la gamba di Luke ma non trovò nulla di utile: in quella fossa c’erano solo carne morta e ossa spezzate. Anche se poteva sembrare alquanto bizzarra la cosa, si avvicinò a un non morto e recise, con il coltello, tendini e legamenti, che tenevano quel che restava del muscolo ancora ancorato al femore della gamba e strappò l’osso con forza. Immobilizzò, così, l’arto di Luke e insieme incominciarono ad ammassare le carcasse una sull’altra in modo da costruire una montagna di carne umana da utilizzare come via di fuga.
Una volta fuori, Luke si accovacciò ai piedi di una grossa quercia per rifiatare: chiuse gli occhi per isolarsi e ascoltare il nulla, «Shh!… aspetta un momento e ascolta…» disse alla donna. Avvertì dei rumori di passi, foglie calpestate e rantoli che provenivano dal bosco. Tremò. L’eco di quei suoni riecheggiò più forte. «Li senti anche tu, Ania?».
«Si, Luke, presto, raggiungiamo la strada. Di notte, il bosco non è sicuro».
Rumore di passi. Rami che si spezzano. Voci nell’aria che si dissolvono. Pensieri confusi nelle loro menti esauste: Non può essere il vento, pensarono a voce alta. Si voltarono. Sgranarono gli occhi. Trasalirono alla vista di una figura che sbucò da dietro alla grossa quercia. Una maschera di sangue, con la pelle putrefatta e i visceri che pendevano dall’addome, afferrò Luke per il braccio e lo azzannò alla spalla mentre Ania riuscì a divincolarsi e raggiungere la strada.
«Mi dispiace!». Proseguì lungo la strada senza mai voltarsi mentre le ritornavano in mente le parole di Luke: Forse hai ragione, Dio non esiste. Ma si vergognò di averlo pensato e allontanò in un attimo quella bestemmia: Perdonami mio Signore se per un momento ho vacillato, pensò mentre le lacrime le rigavano il volto.
Luke cadde a terra supino in preda agli spasmi e al dolore mentre il suo sangue era ovunque. Intorno tutto oscillava. Le fronde degli alberi mosse del vento assomigliavano ad antichi guerrieri danzanti che innalzavano le loro lance e i loro canti di gloria mentre offrivano la loro preda in sacrificio agli Dei.
Accasciato a terra, Luke osservava impietrito il non morto affondare i suoi denti nella sua carne e pensò al dopo: «Dio! È questo quello che diventiamo? Animali rabbiosi affamati di cibo?». Guardò intorno e cercò tra la vegetazione lo sguardo compassionevole di Ania ma era scomparsa tra i boschi: «Dov’è il tuo Dio, adesso?» urlò a gran voce ma un non morto catturò la sua attenzione. Una donna, sfigurata in volto, e con un medaglione al collo, era lì, accanto al suo corpo sanguinante, pronto ad azzannarlo. Bofonchiò parole incomprensibili.
Luke chiuse gli occhi credendo di sognare e li riaprì un attimo dopo sbigottito. Non era un sogno: «Sei tornata a salvarmi?». Questa volta la sua voce tremante si mescolò al canto delle cicale e ai rantoli dei non morti che procedevano in massa verso la strada. Poi Luke si fece coraggio e con le poche forze rimastegli si liberò della presa.
Si sollevò da terra claudicante. Respirava a stento e sputava sangue. La terra sotto i suoi piedi continuava a oscillare. Tutto era sottosopra ma il non morto era ancora lì, pronto ad azzannarlo, seguito da altri che confluivano verso di lui.
«Pochi attimi ancora e sarà tutto finito», digrignò i denti.
L’aria odorava di pioggia, il cielo tuonava. Un boato fece tremare la terra. Luke sussultò per lo spavento. La vegetazione ondeggiava e il bosco gli sembrò imponente. Un brivido lo accarezzò: più cercava una via di fuga, più gli sembrava impossibile. Inutile prolungare quell’agonia, pensò: né Ania con il suo Dio né i suoi compagni, lo avrebbero salvato. Tossì più volte per riempire i polmoni d’aria ma il sangue ostruiva la sua gola e si sentì soffocare. Esausto, cadde a terra vinto.
Sotto la pioggia, invocò la mano invisibile di Dio: «Se esisti, falla finita!». Poi allungò un braccio verso la donna con il medaglione al collo, che lo ignorò, mentre alle sue spalle altri non morti si erano chiusi in cerchio intorno a lui.
Luke si arrese all’ineluttabile: «Carol, uccidimi!».
Carol, con il volto a brandelli, gli strappò con un morso la carne dal collo. Gli altri non morti gli saltarono addosso, affamati. Luke sentiva il suo corpo dilaniato dai morsi mentre il sangue fuoriusciva a fiotti. Accasciato per terra lasciò che la sua anima si liberasse di quel corpo ormai infetto.