Su di lui un cielo plumbeo e tambureggiante.
Luke vomitò disgustato. Era in una grossa buca circondato da corpi mutilati e nella sua testa emergevano solo pochi ricordi: era diretto a Hill City con i suoi compagni prima di essere aggredito da alcuni non morti… quindi il nulla. “Paul… Sten… Carol… dove siete?”, l’eco dei loro nomi si dissolse nell’aria.
Ancora un’ora e i pochi bagliori di luce che penetravano il cielo grigio avrebbero lasciato il posto all’oscurità. “Qualcuno mi aiuti!” gridò ancora ma l’urlo gli si strozzò in gola a causa delle polveri che aleggiavano nell’aria. Fissò smarrito la buca: “Che orrore! Non voglio finire così…”. Se voleva sopravvivere doveva agire in fretta: presto si sarebbe fatto buio e non era convenevole restare lì, solo. Scosse il capo disperato. Poi inspirò per farsi coraggio e cercò di uscire dalla buca ma non c’erano appigli a cui aggrapparsi e pensò di accatastare i corpi uno sull’altro per venirne fuori. I ricordi continuavano a emergere confusi nella sua mente e le lacrime a bagnargli il viso. “Che femminuccia!” pensò.
Quando uscì dalla buca si accovacciò ai piedi di un grosso albero per rifiatare. Poi avvertì dei rumori di passi, foglie calpestate e rantoli che provenivano dal l bosco. Tremò.
L’eco di quei suoni riecheggiò più forte. “Cosa è stato?”.
Si voltò. Sgranò gli occhi. Il battito accelerò alla vista di quella figura che sbucò da dietro al grosso albero. Una maschera di sangue, con la pelle putrefatta e i visceri che pendevano dallo stomaco, lo afferrò per il braccio e lo azzannò alla spalla. Il sangue schizzò ovunque prima di cadere supino in preda agli spasmi e al dolore. Intorno tutto oscillava. Le fronde degli alberi mosse del vento assomigliavano ad antichi guerrieri danzanti che innalzavano le loro lance e i loro canti di gloria mentre offrivano la loro preda in sacrificio agli dei. Accasciato a terra, Luke osservava impietrito il non morto affondare i suoi denti nella sua carne e pensò al dopo. “Dio! È questo quello che diventiamo? Animali rabbiosi affamati di cibo?”. In quell’istante la sua fede vacillò. “È finita…” pensò ormai stremato ma qualcosa catturò la sua attenzione. Una donna, con il volto sfigurato e con un medaglione al collo, era a un tiro di schioppo, bofonchiò alcune parole. Luke chiuse gli occhi credendo di sognare e li riaprì un attimo dopo. Non lo era affatto un sogno: “Sei tornata a salvarmi?”. Questa volta la sua voce tremante si mescolò al fruscio del vento e ai rantoli dei non morti che procedevano in massa verso la strada che portava a Hill City. Poi Luke si fece coraggio e con le poche forze rimastegli si liberò della presa.
Si sollevò da terra claudicante. Respirava a stento e sputava sangue. La terra sotto i suoi piedi continuava a oscillare. Tutto era sottosopra. Si voltò intorpidito. Il non morto era ancora lì pronto ad azzannarlo seguito da altri che confluivano verso di lui.
“Pochi attimi ancora e sarò morto”, digrignò i denti.
L’aria odorava di pioggia, il cielo tuonava. Un boato fece tremare la terra. Luke sussultò. La vegetazione ondeggiava e il bosco gli sembrò imponente. Un brivido lo accarezzò: più cercava una via di fuga, più gli sembrava impossibile. Inutile prolungare quell’agonia, pensò: né Dio né i suoi compagni lo avrebbero salvato. Tossì più volte per riempire i polmoni d’aria ma il sangue ostruiva la sua gola e si sentì soffocare. Cadde sulle ginocchia vinto.
Sotto la pioggia battente, invocò la mano invisibile di Dio: “Finiscimi!”. Poi allungò un braccio verso la donna con il medaglione al collo che lo ignorò mentre alle sue spalle altri non morti si erano chiusi in cerchio intorno a lui. Luke si arrese all’ineluttabile: “Carol… uccidimi!”.
Carol, con il volto a brandelli, gli strappò con un morso la carne dal collo. Gli altri non morti gli saltarono addosso. Luke sentiva il suo corpo dilaniato dai morsi. Il sangue fuoriusciva a fiotti. Accasciato per terra lasciò che la sua anima si liberasse di quel corpo ormai infetto.