Marocco, 1980
Mi chiamo Markus Jackson, sono alcune notti che non dormo.
Caldo afoso, non piove da giorni, l’acqua nel pozzo scarseggia.
Nel villaggio tutti dormono, tutti tranne il sottoscritto.
Mi sveglio madido di sudore nel mio letto, il cuore pulsa veloce mentre ancora stordito cerco di capire che ore sono. Allungo il braccio verso la borsa di pelle e con la mano afferro l’orologio: sono le ore 3.30.
Incrocio le gambe, frustrato, e seduto sul bordo del letto rifletto sul da farsi. Quasi quasi scrivo un capitolo del mio libro: “La maledizione del medaglione scomparso” ma poi rinuncio. Accendo la lampada a olio, e noto in una tasca della borsa, la lettera che mi ha scritto Sophia il giorno della sua partenza: destinazione Londra. Una smorfia di disapprovazione compare sul mio volto ma poi la rabbia lascia il posto al rimorso: è colpa mia se Sophia ha deciso di lasciarmi, l’Africa è il mio sogno, non il suo.
Fa molto caldo questa notte e ho la gola secca: esco dal baraccone, in silenzio, raggiungo il pozzo, butto giù il secchio per raccogliere un po’ d’acqua. Il secchio è pieno a metà ma basta per riempire la mia borraccia. Sorseggio l’acqua: è fresca, mi sento rinascere.
Fuori dal baraccone, immerso nell’oscurità, scruto il villaggio come un esploratore appena sbarcato su un’isola sconosciuta dopo un lungo viaggio: tutti dormono, tutti tranne il sottoscritto. Le cicale friniscono e mi tengono compagnia con il loro brusio ma qualcosa cattura il mio sguardo.
Alcuni cespugli, a Nord del pozzo, si muovono: un brivido mi percuote e mi sveglia dal torpore in cui sono precipitato. Incerto, ci penso per un istante, potrei controllare, poi ci ripenso: forse è solo suggestione. Torno al baraccone e ingurgito alcune pillole per addormentarmi.
Nel villaggio tutti dormono, tutti tranne il sottoscritto.
Mi sveglio madido di sudore, il fiato è corto, mi sento soffocare. Ancora intorpidito, afferro dalla mia borsa di pelle l’orologio, un ricordo di mio padre, e leggo l’ora: sono le 3.30.
Seduto sul letto, incrocio le gambe, sospiro, scuoto il capo: i pensieri affollano la mia mente come i nuvoloni grigi riempiono il cielo prima della tempesta. Mi sveglio sempre allo stesso orario, ogni giorno, ogni notte, come se fossi prigioniero di un sortilegio. Intrappolato, la giornata si ripete, e domani accadrà di nuovo. Sbuffo, ma è un rompicapo che mi intriga.
Esco dal baraccone, mi dirigo verso il pozzo, calo il secchio e riempio la borraccia per dissetarmi: fa caldo questa notte. Poi mi guardo intorno, scruto il villaggio ancora addormentato, le cicale cantano la loro melodia e mi fanno compagnia, come ogni notte.
A Nord del pozzo, alcuni cespugli si muovono. Potrei controllare, ma potrebbe essere pericoloso, desisto e torno al baraccone: è suggestione, mi ripeto. In una tasca della mia borsa, c’è la lettera che Sophie mi ha scritto prima di partire per Londra: chi può biasimarla, l’Africa è il mio sogno, non il suo.
Prendo alcune pillole per addormentarmi.
Nel villaggio tutti dormono, tutti tranne il sottoscritto.
Mi sveglio madido di sudore, ho il cuore a mille e il fiato corto. Forse è un principio di infarto, forse è solo frustrazione: l’orologio segna le ore 3.30, come ogni notte. Il crocefisso affisso a un palo di legno è capovolto mentre la lettera di Sophie è per terra ancora aperta: la rabbia mi assale ma poi l’odio che provo si trasforma in rimorso “Chi può biasimarla se mi ha lasciato! L’Africa è il mio sogno, non il suo”. Scuoto il capo, sconsolato.
Esco dal baraccone per prendere un po’ d’aria: fa caldo questa notte. Ancora stordito, raggiungo il pozzo per dissetarmi. Ma quando butto giù il secchio, mi accorgo che il pozzo è vuoto. Impreco contro Dio.
Poi mi guardo intorno e scruto il villaggio mentre ascolto il canto delle cicale. Il mare rumoreggia, le onde si infrangono lungo la costa occidentale, il fracasso è solo nelle mie orecchie: nel villaggio tutti dormono, tutti tranne il sottoscritto.
Poi qualcosa attira il mio sguardo: a Nord, alcuni cespugli si muovono. Qualcosa si nasconde lì dietro e mi osserva ogni notte durante il mio pellegrinaggio dal baraccone al pozzo: un piccolo rituale che si ripete, ogni notte, alla stessa ora, dal giorno della partenza di Sophie.
Ripresomi dal torpore in cui sono precipitato, questa volta decido di controllare: adagio, raggiungo i cespugli. Allungo il braccio, infilo la mano tremante nei cespugli e la ritraggo all’istante sporca di sangue.
Il cuore batte a mille, il fiato è corto. Mi fiondo tra i cespugli, ho uno strano presentimento. La lapide recita:
Markus Jackson
1964 – 1995