Da qualche giorno, era diventato una specie di rituale e sotto lo sguardo crucciato della fata Anita,
Erin camminava avanti e indietro nella stanza con le braccia conserte e sbuffava.
“Dove è, Oscar?”.
“Sarà andato al parco con qualcuno” disse con tono sarcastico la fata Anita.
Erin la fulminò con lo sguardo. Poi si avvicinò alla finestra, scostò la tenda e guardò fuori corrucciato.
“Sarà forse successo qualcosa? Speriamo nulla di grave…”.
Accampava scuse pur di non dare ragione alla Signora Verità che attendeva annoiata dietro la porta della stanza di Oscar.
Erin si sentiva trascurato e infastidito perchè non voleva essere messo da parte. Cercò di allontanare qualsiasi cattivo pensiero che gli frullava nella testa e rimanere tranquillo ma la rabbia che covava in quel momento era un sentimento nuovo mai provato prima. Temeva di perdere le staffe: “Ci sarà una spiegazione logica”.
Nel frattempo, la luce nella stanza si fece più fioca: il sole volgeva al tramonto e anche quel giorno stava per finire stava per finire: restare solo gli metteva i brividi e gli si gelava il respiro.
Erin ripensò al passato e una lacrima scese sul suo viso: “Quando torni, Oscar, giocheremo fino a tarda sera come ai vecchi tempi”.
Il suo sguardo era velato di tristezza e quel vuoto che pian piano si stava impadronendo della sua anima: era una sensazione a cui doveva incominciare ad abituarsi perché sarebbe capitato altre volte, con altri bambini.
“Mi sento così triste. Non voglio che finisca, non sono pronto…”. A stento tratteneva le lacrime.
“Il tempo allevia le ferite” gli rispose la fata Anita per rincuorarlo. Poi volò dal davanzale della finestra lasciando dietro di se una scia luminosa e si posò sulla scrivania. Incrociò le esili gambe e lo fissò rammaricata.
“Mah… non ci credo…” le ripetè Erin con le lacrime che ora sgorgavano liberamente a fiotti.
L’abbandono era il passo successivo e tremava per l’angoscia. Ritrovarsi in un angolo remoto della coscienza di Oscar era una possibilità che non voleva per nulla prendere in considerazione. Non voleva essere trattato come un vecchio giocattolo riposto in uno scatolone in soffitta.
Si alzò di scatto, muovendo mani e braccia, riprese a girovagare e a sbuffare per la stanza. Si guardò intorno e sgranò gli occhi: quella non era più la loro stanza, qualcosa era cambiato lì dentro. Il loro mondo fatto di divertimenti e colori era diventato freddo e opaco. Era così malinconico. “Oscar è cresciuto…” gli fece notare la fata Anita. Quelle parole pronunciate così su due piedi, suonavano come un piccolo campanello d’allarme a cui Erin non voleva dare molta importanza.
“È un incubo, maledizione! Svegliatemi!”. Ma non era così. C’erano stati piccoli segnali caduti nel vuoto. Oscar aveva lanciato più volte l’amo ma lui non aveva abboccato mentre la Signora Verità era dietro la porta che bussava insistente: “Erin… so che sei lì dentro, apri… non puoi nasconderti ancora per molto. Apri gli occhi! Oscar è cresciuto”. Era la seconda volta che sentiva quella parola, C-R-E-S-C-I-U-T-O, nel giro di poco tempo.
“Si, è vero! Ma cosa vuol dire!”. Le urlò in faccia con la sua disperazione.
“Te l’avevo detto!”, lo ammonì ancora una volta la fata Anita, “Non dovevi affezionarti al bambino!”
Era la prima regola che Erin aveva imparato durante il discorso di apertura del Grande Maestro della Scuola dei Giochi e sapeva di averla trasgredita. Il Grande Maestro diceva sempre ai suoi allievi: “Noi regaliamo sorrisi ai bambini quando si sentono soli. Giochiamo con loro quando non hanno nessuno con cui farlo ma non dovete mai, dico mai, affezionarvi a loro. È pericoloso. Quando un bambino diventa grande non si ricorderà più di voi perchè avrà altri interessi e troverà altri amici che vi rimpiazzeranno. Non prendetevela, è il nostro destino dalla notte dei tempi e non possiamo cambiarlo. Quando un bambino diventa grande smette di sognare. Il loro mondo e il nostro esistono grazie alla fantasia. Un bambino vede la vita come un parco divertimenti e il nostro compito è accompagnarli trascorrendo un po’ di tempo con loro. Il mondo degli adulti è frenetico e i genitori di questi poveri scriccioli hanno altro a cui pensare. Tocca a noi farli sorridere”.
I pensieri si accavallavano nella mente di Erin mentre l’orologio a cucù appeso alla parete di fronte alla scrivania scandiva il tempo: i secondi diventavano minuti e i minuti ore.
Al calar della sera, la rabbia divenne paura e la paura certezza. Erin si ritrovò accovacciato e tremante in un angolo della stanza e si sentì abbandonato. “Ho freddo!” esclamò piangendo. Si strinse nelle spalle mentre il vento fischiava attraverso le fessure delle finestre.
Le luci dei lampioni che illuminavano il viale acciottolato che conduceva a casa di Oscar si spensero sotto la pioggia torrenziale. Ci fu un black-out che lasciò l’intero quartiere al buio per poi espandersi fino alla periferia della città.
“Si sarà bagnato…” osservò Erin. I ricordi rimbalzavano nella testa come palline di un flipper mentre la Signora Verità era dentro la stanza di Oscar che lo abbracciava: “Erin non piangere… non essere triste… hai fatto del tuo meglio”.
Vedendolo demoralizzato, la Signora Verità non si diede per vinta e prese il quadretto appeso alla parete e lo porse a Erin: “Guarda. Oscar è cresciuto. È diventato un ometto ed è merito tuo. Guarda i suoi occhi… non vedi come brillano? Se oggi Oscar è un ragazzo felice è anche merito tuo. Ti ricordi quando solo nella sua stanza si annoiava e non aveva nessuno con cui giocare? C’eri tu con lui… tu Erin. Sono fiera di te!”. Lo abbracciò ancora più forte per fargli sentire tutto il suo affetto.
Erin si asciugò le lacrime. Poi prese il quadretto e lo guardò con occhi diversi, non più tristi. Lo toccò con mano quasi volesse dargli una carezza. “Mi sembra ancora ieri… eri alto poco più di un metro… come vola il tempo!”.
“Andiamo via” gli sussurrò la fata Anita.
“Non ancora…., voglio aspettare che rientri per salutarlo un’ultima volta”.
Erin si nascose, raggomitolato, nell’angolino vicino al letto e ripensò al giorno in cui la sua fantasia li aveva fatti incontrare. Quel pomeriggio nel cortile di casa Thompson, Oscar, con i suoi ciuffi ribelli che gli coprivano gli occhi, in sella alla sua bicicletta, andava avanti e indietro ridendo. “Vinco io! Sono molto più veloce di te!”. Oscar correva verso il traguardo che aveva segnato con due bottiglie di plastica e quando lo tagliò la sua voce risuonò nel viale andando via via spegnendosi nei vicoli vicini. “Hai perso!”, disse Oscar sorridente, “Hai perso Erin!”.
“Hai vinto tu, amico mio. Sei diventato grande. Quanto vorrei crescere anch’io e giocare ancora con te!”.
E in quel momento un’idea alquanto bizarra gli balenò nella testa. Saltò fuori all’improvviso come un coniglio bianco dal cappello del mago. “Vorrei essere una persona vera… si proprio come Oscar…”.
La fata Anita, basita, lo redarguì: “Che stai dicendo, Erin? Lo sai che quello che chiedi non è possibile”.
“Tu sei una fata e…”, sospirò, “Le fate hanno poteri magici…”.
La fata Anita gli disse sconsolata: “Se anche potessi commetterei un sacrilegio perchè verrebbero alterati gli equilibri dell’intero Universo. Anche se siamo amici, ti prego, non chiedermi di farlo. Se la mia Regina venisse a saperlo verrei allontanata dal mio Regno”.
“Ti prego, aiutami”. La implorò.
“Ti avevo detto di non chiedermelo” lo rimproverò.
“Ti prego…” disse sorridendole.
“È già accaduto una volta…” farfugliò.
“Cosa vuoi dire?”.
“Alvin…” bisbigliò la fata Anita quasi non volesse farsi sentire.
“Alvin?” domandò Erin. Forse c’era una speranza.
“Si. Alvin era un Immaginario come te. Buffo e sensibile. I bambini lo adoravano ma pian piano si innamorò di quel mondo e andò dalla mia consorella, Ana, spinto dal desiderio di diventare un bambino vero. Quando la mia Regina lo scoprì, l’oscurità calò sul nostro regno e Ana fu allontanata. Da allora vive nell’Oltre come un’eremita. Ana gli donò la vita ma a caro prezzo. Ecco, io non voglio andare incontro allo stesso destino di Ana”.
“E Alvin? Che ne è stato di lui?”
“Nessuno conosce il suo destino. C’è chi sussurra che stia vivendo la sua nuova vita felicemente, altri dicono che per ripristinare l’armonia nell’Universo, la Regina delle fate abbia annullato l’effetto di quella magia e Alvin sia stato imprigionato da qualche parte nell’Universo per espiare le sue colpe. Nessuno sa dove si trovi adesso”. Sospirò.
“Quindi mi stai dicendo che l’unica possibilità che ho di diventare una persona reale, è incontrare Ana”.
“Hai capito cosa ho detto, Erin?” rispose corrucciata la fata Anita. Pensò che raccontandogli la storia di Alvin, Erin cambiasse idea ma si sbagliò. Gli occhi di Erin brillavano come stelle nel firmamento e non tralasciavano alcun dubbio: sarebbe andato fino in fondo.
“Si, Anita. Ho capito ma ci sarà un modo per non mettere in pericolo l’armonia dell’Universo. Ci sarà un modo per bilanciare le forze in gioco!”.
“Non lo so”, disse la fata Anita scrollando il capo, “Devi parlare con Ana. Forse lei può aiutarti anche se dopo quello che le è capitato non so se vorrà farlo. La luce che splende dentro ciascuno di noi si è spenta, forse per sempre…” disse lasciando aperta una porta.
Nonostante le parole della Fata Anita, Erin non si perse d’animo e già immaginava la sua nuova vita: avrebbe avuto una famiglia e degli amici con cui giocare. Era eccitato ma prima di intraprendere la sua nuova avventura doveva salutare Oscar.
Mentre fantasticava, la pioggia cadeva battente sui tetti e l’anta di una finestra malmessa cigolava avanti e indietro sospinta dal vento. Bagliori improvvisi apparivano e scomparivano nel cielo notturno. Suonò l’allarme del negozio di generi alimentari di Sofia vicino casa dei Thompson.
Poi la porta della stanza si aprì ed entrò Oscar che si spogliò dei suoi vestiti.
Indossò il pigiama e andò a dormire.
A mezzanotte, un boato echeggiò nel viale facendo sobbalzare Oscar dal suo letto: “Accidenti!”. Sospirò prima di riaddormentarsi: aveva un nodo in gola.
Erin lo accarezzò e gli rimboccò le coperte: “Grazie Oscar. Incontrarti è stata la mia fortuna perchè adesso ho trovato la mia strada. Non sarà facile ma con impegno e determinazione penso di riuscirci”.
La notte fu accompagnata dal frastuono del temporale.
Quando le prime luci del mattino filtrarono nella stanza di Oscar aveva smesso di piovere da poco, Erin e la fata Anita erano già andati via. Mentre Erin faceva ritorno nel Regno degli Immaginari guardava l’orizzonte immaginando la sua nuova vita sorridente.
Poi scivolò, radioso in volto, sull’arcobaleno formatosi dalle ultime goccioline di pioggia sospese nell’aria e scomparve nel nulla per riapparire sul ponte di foglie a forma larga che crescevano accanto alla sua dimora: un grosso fungo con il cappello a macchie rosse.
Delle belle rose con petali bianchi, rossi e rosa circondavano la dimora di Erin diffondendo nell’aria il loro profumo mentre grandi fasci d’erba si innalzavano verso l’alto rendendo la vegetazione fitta e all’apparenza impenetrabile. Gli alberi erano imponenti e terminavano con una folta chioma.
Prima di salutarla, Erin incrociando le dita per scaramanzia proprio come faceva Oscar, chiese alla fata Anita: “Come posso raggiungere l’Oltre?”.
“C’è una sola strada che conduce in quel posto oscuro: lo specchio magico”.
“E dove si trova?”.
“Nel Castello delle Fate. Quando la luna appare nel cielo, la mia Regina si ritira per riposare per risvegliarsi alle prime luci del mattino. È quello il momento di agire”.
“E dove si trova il castello? Immagino che tu non me lo dirai?”.
La fata Anita non disse nulla. Abbassò lo sguardo e volò lontano lasciando dietro di se la sua scia luminosa.
Allora Erin capì che Anita lo avrebbe aiutato: si affrettò e seguì la scia luminosa prima che scomparisse nel cielo: “Grazie Anita!”.
Se l’era immaginato immenso e regale ma quando se lo trovò di fronte sgranò gli occhi per lo stupore: il Castello delle Fate era una modesta dimora di legno e foglie. Non c’erano guardie e mura altissime a proteggerlo semplicemente perchè non c’erano nemici da cui difendersi.
Quindi Erin entrò nel castello indisturbato cercando di non fare rumore. Al suo interno non c’era nulla di speciale. Il castello non era altro che una grossa scatola costruita con rami e ricoperta di petali di fiori colorati. La Regina delle Fate stava dormendo su un letto di foglie sempreverdi al centro della stanza. Vi era una piccola fessura nella parete attraverso la quale Erin poteva scorgere la luna alta nel cielo e una piccola sorgente d’acqua dove le fate potevano dissetarsi.
Accando al letto di foglie c’era qualcosa su cui si rispecchiava la luna: lo specchio magico.
Erin si avvicinò in punta di piedi allo specchio e aprì il portale come gli aveva detto la fata Anita: “Quando vedrai la luna piena riflessa nello specchio, solo allora, potrai attraversarlo ma dovrai fare ritorno prima che sorga il sole altrimenti resterai imprigionato nell’Oltre fino a quando una nuova Luna piena non sarà di riflessa nello specchio. Sappi che nell’Oltre il tempo scorre più velocemente: più tempo passerai lì, più vecchio sarai al tuo ritorno. Buona fortuna”.
Erin mise prima un braccio quasi volesse afferrare la luna con le sue mani ma poi qualcosa, una forza misteriosa, lo catapultò al di là dello specchio.
Si risvegliò accasciato vicino a un piccolo stagno le cui acque erano così limpide che Erin vide rispecchiata la sua faccia. Si toccò il volto e le sue orecchie a punta che tanto odiava. Pensò che presto sarebbe diventato un essere umano, sorrise.
La terra era desolata e l’aria era gelida e putrida. Alzò gli occhi al cielo: “Ma quarda dove mi ha portato la mia follia!”. Fu un attimo di debolezza che svanì presto.
Si guardò intorno. Gli alberi avevano grosse radici e rami spogli che si intrecciavano tra di loro formando una cupola attraverso cui non filtravano i raggi del sole. Piccoli serpenti strisciavano verso di lui. Rabbrividì.”Meglio affrettarsi!”.
Lungo il cammino incontrò un piccolo fiume le acque erano così torbide che non riuscì a specchiarsi anzi strani pesci alati si affacciavano all’improvviso sulla superficie. Poi saltavano fuori dall’acqua. Boccheggiavano per farvi subito ritorno. Erin sgranò gli occhi terrorizzato ma seguì il suo letto sperando che lo conducesse da qualche parte.
Camminò, per molto tempo, senza fermarsi un attimo e quando raggiunse la foce del fiume era affaticato e affamato. Si ricordò delle parole di Oscar: “Anche tu mangì?”. Sorrise al ricordo che gli fece provare una sensazione piacevole. “Certo, Oscar! Mi nutro di bacche e linfa”.
Oscar lo guardava quasi disgustato.
Quando riemerse dai suoi ricordi, Erin si guardò intorno sconsolato. La terra era desolata e arida. Difficilmente una pianta poteva germogliare in quel posto. Si avvicinò a un albero, toccò la corteccia e si accorse che era solida come una pietra. Capì che quegli alberi non potevano essere di grande aiuto per soddisfare la sua fame: “Che stupido! Ero così preso dal desiderio di diventare una persona reale che mi sono dimenticato di portare delle scorte di cibo. Dovrò arrangiarmi e sperare di trovare Ana prima che sorga il sole”.
Il tempo passava e incominciò a percepire piccoli cambiamenti del suo corpo, più adulto. E poi la stanchezza lo colse impreparato.
Si appisolò vicino a un grosso albero che presentava strane incisione sul tronco. Poi sentì qualcuno che lo chiamava: “Svegliati pigrone”. Qualcuno lo strattonò.
Quando si risvegliò c’era qualcuno che lo fissava. Una vecchia megera con indosso un lungo abito nero sgualcito e impolverato che si reggeva con l’aiuto di un bastone intarsiato a mano. Una grossa testa di serpente con due pietre preziose al posto degli occhi lo scrutavano dall’alto. Erin sobbalzò per lo spavento nonostante i muscoli ancora intorpiditi. “Chi sei?”.
La vecchia megera lo guardò diffidente: “Chi sei tu? E che ci fai qui? Non credevo di incontrare un Immaginario nell’Oltre”.
“Mi chiamo Erin e sto cercando Ana. La conosci?”
“Perchè la stai cercando?”
“Ho bisogno del suo aiuto. Mi manda la fata Anita”.
Quando sentì pronunciare il nome di Anita, la vecchia megera trasalì. “Cosa vuole Anita da me?”.
Erin rimase deluso quando si ritrovò di fronte Ana sofferente e si immaginò vecchio e malandato incapace di sorreggersi sulle proprie gambe se avesse fallito: “In realtà sono io che ho bisogno di…”.
Ana lo interruppe: “Tu? E cosa vorresti da me, Erin?”.
“Desidero con tutto il mio cuore di diventare una persona vera…”
“Mi dispiace, Erin. Hai attraversato l’Oltre inutilmente. Non posso aiutarti. Non lo vedi come sono ridotta? La Regina delle Fate mi tiene prigioniera qui per aver messo in pericolo le leggi dell’Universo. Il compito di una fata è quello di accompagnare un Immaginario nel suo viaggio nel mondo degli umani e di aiutarlo nel suo cammino. Noi dobbiamo intervenire solo quando un Immaginario è in difficoltà. Gli diamo consigli. Lo sosteniamo affinchè non si arrenda ma quando il bambino a cui è stato assegnato cresce, il suo compito e il nostro si esaurisce e possiamo tornare a casa dove vivremo la nostra vita fin quando non ci sarà un altro bambino che avrà bisogno di un po’ di felicità. Io ho trasgredito perchè ho reso quell’Immaginario umano violando le leggi della Natura. Ci sono state delle ripercussioni sul mondo degli umani: terremoti, guerre, malattie. Molte persone sono morte per ripristinare l’armonia nell’Universo. L’Oltre è un luogo dove i poteri magici non funzionano. Le forze dell’Universo sono nulle e il tempo scorre velocemente. Non mi resta ancora molto da vivere e presto la mia linfa vitale si prosciugherà e sarò morta. E se tu, caro Erin, non farai ritorno a casa immediatamente andrai incontro al mio stesso destino: morirai presto di vecchiaia. Un giorno qui ti costerà caro! Quindi, mi dispiace ma non posso aiutarti. Sono troppo vecchia e cammino a fatica. Maledico il giorno che ho incontrato Alvin, è solo per colpa sua se sono qui e non vorrei che aiutandoti possa andare incontro a una punizione peggiore di questa”.
Erin rimase impietrito. La sua mente vagò nell’Oltre in cerca di una soluzione che non tardò ad arrivare.
“E se ti aiutassi a riprendere la tua vecchia vita?”.
“Mi renderesti felice ma…”, sospirò, “L’armonia nell’Universo verrebbe messa a rischio un’altra volta e la Regina delle Fate mi punirebbe di nuovo rimandandomi nell’Oltre. Io non voglio più tornarci. Dobbiamo trovare un modo per non compromettere l’equilibrio. Forse un modo c’è ma dobbiamo parlare con Saho l’Illuminato, il vecchio saggio che vive sul Monte della Conoscenza, ma per raggiungerlo dobbiamo far ritorno nel nostro mondo. E poi, dobbiamo convincerlo ad aiutarci ma questo non è un problema. Raccontano che Saho l’Illuminato ama essere compiaciuto della sua grandezza e del ruolo che svolge nel Regno degli Immaginari ed è un grande intenditore di vino. Quindi, una volta al suo cospetto dobbiamo adularlo e donargli del buon vino…”, Ana sorrise e quel sorriso la colse impreparata. Dopo tanto tempo si sentiva viva.
Gli occhi di Erin brillarono di gioia perchè si sentiva vicino al traguardo: “Il vino? Beh, non è un problema. A casa conservo una bottiglia di buon vino rosso che mi ha regalato Oscar. Durante il mio trascorso nel mondo degli umani ho imparato le loro usanze e ho apprezzato il loro cibo e le loro bevande. Il padre di Oscar possiede una cantina in cui conserva delle bottiglie di vino pregiato. Una notte, Oscar mi ci ha portato. La cantina era piccola ma era colma di bottiglie di vino. Suo padre viaggia molto e ama collezionare bottiglie di vino provenienti da ogni parte del mondo. È un buon intenditore! Quando Oscar era fuori con i suoi amici, passavo di lì per bere del vino e un giorno presi una bottiglia e la portai con me nel Regno degli Immaginari” le disse sorridente.
“Ma dimmi come facciamo a lasciare l’Oltre? Chiunque è stato imprigionato qui non ha fatto più ritorno nel Regno degli Immaginari”.
“C’è un modo per tornare indietro, Ana”.
Lo guardò basita: “E come?”
“Quando c’è la Luna piena, solo allora, il portale tra i due mondi si apre e possiamo attraversarlo. Se tardiamo, la porta si richiuderà e dovremo aspettare una nuova Luna piena per lasciare l’Oltre”.
“E tu come fai a saperlo?”
“La fata Anita mi ha aiutato”.
“Anita, è sempre stata la preferita della Regina. Non mi stupisce che sia venuta a conoscenza di questo segreto ma sono preoccupata per lei. Quando la Regina scoprirà che sono fuggita dall’Oltre e che tu mi hai aiutato, capirà del coinvolgimento di Anita e per lei saranno guai”.
“No, se ci sbrighiamo. Dobbiamo raggiungere il Monte della Conoscenza prima che la Regina si svegli. E se le facciamo credere che tu sei morta non ti verrà a cercare e non saprà mai che Anita e io ti abbiamo aiutato a fuggire dall’Oltre”.
I due nuovi compagni di viaggio si avviarono verso il portale carichi di speranza.
Prima dovevano inscenare la morte di Ana. Erin adagiò il lungo vestito nero di Ana sul letto di foglie grigie nella sua casetta di legno marcio e poi cosparse della cenere di fata contenute in un’ampolla che gli aveva dato Anita durante il loro ultimo incontro. “Tieni Erin, ti servirà. Sono ceneri di fata. Con queste simulerai la morte di Ana e potrete lasciare l’Oltre senza che qualcuno si insospettisca. La Regina crederà che Ana è morta e non vi punirà. Buona fortuna!” gli disse prima di schioccargli un bacio sulla guancia e volare via nel cielo.
Giunti nel punto in cui era arrivato nell’Oltre, Erin e Ana attesero che la Luna sorgesse: lo stagno vicino al quale si era risvegliato avrebbe riflesso l’immagine della Luna e solo allora il portale si sarebbe aperto consentendone il passaggio.
Attesero un tempo che sembrava infinito ma poi giunse il momento di andarsene. Prima di immergersi nello stagno, Ana si guardò intorno ma non provò alcuna nostalgia di quel posto solo un profondo senso di liberazione. L’attesa era finita: stava per riappropriarsi della sua vecchia vita e non vedeva l’ora di riabbracciare il suo mondo anche se non poteva più vivere alla luce del sole ma sotto falsa identità. L’istante in cui aveva varcato il portale capì che per lei non c’era più posto come Ana nel Regno delle Fate ma avrebbe riavuto la sua giovinezza e i suoi poteri. E gli bastava. Avrebbe trovato un piccolo posto dove vivere ed essere in armonia con la natura.
Quando apparvero dall’altro lato, Ana si sentì rinascere. L’odore pungente era svanito. L’aria profumava di aromi e essenze. La Regina delle Fate dormiva nel suo letto di foglie e petali colorati. In silenzio, uscirono dal Castello delle Fate e si diressero al Monte della Conoscenza.
Quando i primi raggi di sole illuminarono Fantasia, Ana e Erin erano giunti ai piedi del Monte della Conoscenza.
Anche se stanchi, decisero di non fermarsi per recuperare le energie. Erano così impazienti di abbracciare il loro destino che avrebbero camminato per ore.
Al tramonto, raggiunsero la cima della montagna tra il disappunto di Ana.
“Se avessi i miei poteri sarebbe più semplice” disse corrucciata.
“Ma ce la faremo comunque!” disse Erin visibilmente emozionato.
Accanto a una piccola casetta si ergeva un grosso albero con un numero indefinito di rami. Ogni ramo aveva una ramificazione. Ogni ramificazione aveva altre ramificazioni e così all’infinito.
Su ogni ramo c’erano dei fiori. Alcuni dovevano ancora sbocciare, altri erano appena fioriti. E altri ancora stavano appassendo.
Uno strano essere con una lunga barba bianca con indosso un lungo saio era appisolato all’ombra del Grande Albero. Russava indisturbato.
Un cucciolo di drago si esercitava nel volo sotto lo sguardo attento di mamma drago.
Erin e Ana si avvicinarono lentamente ma il rumore delle foglie calpestate lo svegliarono di soprassalto: “Chi siete voi? E che ci fate sul Monte della Conoscenza? Nessuno vi ha detto che è un luogo sacro?”.
Mentre Erin rimase immobile, Ana si fece avanti e prese la parola: “Devi scusarci Saho l’Illuminato. Mi chiamo Anita mentre il mio amico è Erin. Abbiamo fatto un lungo viaggio per parlare con te. Tu sei l’unico che può aiutarci”.
Saho l’Illuminato si avvicinò ai due viaggiatori e li invitò a fermarsi per rinfocillarsi e riposarsi:
“Sarete molto affamati e provati per il lungo cammino. Ne discuteremo dopo un buon pasto” disse arricciandosi la lunga barba con la mano.
I tre si diressero verso una modesta dimora poco lontana dal grosso albero.
Entrarono. Al centro dell’unica e piccola stanza c’era un tavolino di legno leggermente sollevato da terra e poggiava su un tappeto bianco con disegni ricamati a mano su cui si inginocchiarono i tre. Sul tavolo c’erano una bottiglia di vino rosso e bacche, funghi e foglie verdi. Mangiarono e bevvero a sazietà. Poi Saho l’Illuminato si alzò e rivolgendosi a Erin e Ana disse: “Adesso possiamo andare a discutere all’ombra del Grande Albero”.
E così fecero sotto lo sguardo spazientito di Erin. “Calma! Saho è l’unico che ci può aiutare!.
Erin annuì senza dir nulla anche se la lunga attesa lo inquietava.
All’ombra del Grande Albero, Saho l’Illuminato era seduto con le gambe incrociate e lo sguardo rivolto all’orizzonte: “Perchè siete qui, signori miei?”.
“Grande Saho tu sei l’unico che ci può tirare fuori dall’impiccio in cui ci troviamo. Ben sapendo del ruolo che svolgi all’interno della nostra comunità, non vogliamo rubarti altro tempo prezioso e arrivo al dunque. Il mio amico Erin ha un desiderio, diventare un bambino vero mentre io sommo Saho desidero tornare a essere quella che è la mia vera natura e riavere la mia vita. Io ero una fata ma un giorno per aver aiutato un amico sono stata esiliata nell’Oltre per espiare le mie colpe. Sapendo quanto tu sia generoso con il prossimo, ti chiediamo che i nostri desideri si realizzino. Saho l’Illuminato confidiamo nella tua generosità e nel tuo grande cuore. Abbiamo apprezzato la tua ospitalità e sappiamo quanto sei sensibile ai problemi altrui. Ti preghiamo di aiutarci. Ti offriamo questa bottiglia di buon vino per ringraziarti della tua pazienza”.
Erin estrasse dal suo sacco una bottiglia di vino rosso che si era procurato a casa di Oscar.
Dopo aver ascoltato la loro richiesta, Saho l’illuminato distolse lo sguardo dall’orizzonte e li guardò negli occhi che brillavano alla luce del sole come stelle nel cielo notturno.
“Miei cari…” riprese ad arricciarsi la sua barba, “Quello che mi chiedete è contro Natura. Io sono il custode della Vita e il mio compito è quello di preservare questo albero”, lo indicò con lo sguardo, “Ogni fiore rappresenta una vita. I fiori sbocciati sono i bambini appena nati, quelli che stanno appassendo o che sono appassiti sono le persone che stanno invecchiando o che stanno morendo o che sono morte. Poi ci sono i fiori che devono ancora sbocciare. Essi rappresentano i bambini che devono ancora nascere o che c’è possibilità che nascano”.
Lo interruppe Erin: “Quindi non c’è nulla che puoi fare per noi…”. Erin e Ana abbassarono lo sguardo e incominciarono a piangere.
Quando Saho l’Illuminato vide i loro volti rigati di lacrime strappò da terra due foglie sempreverdi con le quali raccolse le lacrime di Erin e di Ana. Si alzò e con le lacrime di Erin bagnò un piccolo fiorellino su un ramo del Grande Albero che doveva ancora sbocciare. Pronunciò delle parole in una lingua incomprensibile. Il fiorellino fu irradiato da un raggio di sole.
Poi estrasse da una radice del Grande Albero un po’ di linfa, prese dalla sua tasca dei semi di girasole e mescolò il tutto con le lacrime di Ana. Pronunciò altre parole incomprensibili.
Un secondo raggio di sole irradiò un secondo fiorellino che si apprestava a sbocciare. Erin e Ana lo guardarono basiti. Si alzarono e dopo aver salutato Saho l’Illuminato e ringraziato per la sua ospitalità ripresero la strada verso casa.
Saho l’Illuminato li guardò scomparire dietro la linea dell’orizzonte prima di appisolarsi nuovamente ai piedi del Grande Albero.
Sulla via di ritorno, Erin e Ana non proferirono parola. Delusi e amareggiati. L’atmosfera era surreale. I pensieri si accavallavano nella mente di Erin procurandogli una fastidiosa emicrania ed era la prima volta che gli succedeva.
Ana era depressa: vedeva la sua vita spegnersi miserabilmente. Ogni speranza di ritrovarsi giovane e bella svanì dopo l’incontro con Saho l’Illuminato. “Adesso, che ne sarà di me? Dove andrò a vivere? Non ho un posto dove andare… sono vecchia e malata. Che ne sarà di me?”.
Erin le si avvicinò e le diede una pacca sulla spalla: “Non piangere Ana. Ti ospito nella mia casa…”.
“Ti ringrazio, Erin. Preferisco di no. Tu hai comunque la tua vita anche se non è quella che desideravi… io no. Troverò un posto dove guardare il tramonto in attesa del riposo eterno. Addio, Erin!”.
Le loro strade si divisero per sempre.
Ana vagò fino a notte fonda con l’animo colmo di tristezza e rassegnazione: ormai consapevole del suo destino cercò un posto dove trascorrere gli ultimi istanti della sua vita.
Mentre si trascinava a fatica attraverso una fitta vegetazione, aiutandosi con il bastone con la testa di serpente, suo fedele compagno di viaggio, la luna era da tempo alta nel cielo, decise di fermarsi in una piccola grotta. Si procurò delle foglie con le quali costruì un piccolo e soffice letto. Poi si coricò per dormire.
Erin rientrò a casa stanco e affamato per il lungo viaggio.
Mangiò bacche e foglie per soddisfare il suo stomaco che brontolava accompagnando la cena con del buon vino rosso. Ne tracannò fino ad addormentarsi ubriaco.
La fata Anita passò da casa di Erin per salutarlo ma quando vide che dormiva volò via per non disturbarlo.
Al mattino, un piccolo uccellino con il becco maculato si posò sul davanzale della finestra. Canticchiò poche note per poi riprendere a volare tra le nuvole descrivendo archi nel cielo.
Erin si svegliò intorpidito. Si alzò dal letto e si avvicinò ancora addormentato alla finestra. Scostò le tende rosse e guardò fuori. Sgranò gli occhi per lo stupore.
Si voltò verso il suo letto e osservò la sua stanza in silenzio. Poi cercò uno specchio: “Non ci posso credere!” tuonò radioso in volto.
Poi uscì nel cortile di casa, di corsa.
“Ma dove corrì, Erin?”.
“Mamma… vado a giocare da Oscar!” le rispose euforico.
Un vento leggero soffiò all’interno della grotta mettendo a soqquadro il letto di foglie e spargendo per terra un mucchietto di ceneri.
Un raggio di sole illuminò l’ingresso della grotta: un fiore vicino all’ingresso prese a sbocciare e quando i suoi petali si aprirono, un piccolo essere alato saltò fuori e spiccò il volo lasciando dietro di se una scia luminosa.
Danzò lieve nell’aria prima di scomparire oltre l’orizzonte.