Pensieri e racconti – Brandelli di vita dal pianeta morente

Una raccolta www.storydrawer.org

    Chi sono



      Aereoporto di Fiumicino. Ottobre 2006. Un uomo sta scegliendo delle riviste che gli consentiranno di passare un'oretta prima di partire per Catania. Al momento di prendere il solito settimanale, decide di comprare un block-note ed una penna. Si siede, mette i Subsonica in cuffia e inizia a scrivere. Riempie il blocco in poco più di mezz'ora. Da allora, non ha mai smesso di scrivere. Neanche in questo momento. Un abbraccio a Paolo, che era con me in quel viaggio e che ora è in viaggio, per non so dove. Per sempre.

    Chat



    Lettori cercansi

Dicevano

Pubblicato da kiwi65 il 30 maggio 2008

Scarica come ePub

1 Star2 Stars3 Stars4 Stars5 Stars (3 votes, average: 4,67 out of 5)
Loading ... Loading …

Che caldo!
E’ appena iniziata l’estate. Ti conosco bene. Sono sicuro che se passo vicino casa tua, la finestra della tua camera è socchiusa. A te manca sempre l’aria.
Stasera è la mia sera. Ti voglio fare una sorpresa. Ma ci pensi? Ma quanto tempo è che non ci vediamo?
Mi avvicino quatto quatto. La tua finestra è al pianterreno. Sotto, accovacciato per terra, c’è il vecchio Toby, che non sta mai a più di tre metri da te.
Non voglio svegliarlo. Piano piano, lo scavalco ed entro. Mentre sono a cavallo del davanzale, lui alza la testa e addrizza le orecchie. Ma poi si rimette giù. Io entro e mi siedo ai bordi del tuo letto.
Guarda che roba! Sai che faccio? Prima di svegliarti, mi voglio godere queste pareti cariche di foto. Forse non te l’ho mai detto, ma questo era uno dei motivi per cui venivo più volentieri qui a casa tua.
Non ci credi? Guarda questa. Questa foto ce l’ha fatta mio nonno a casa sua. Ci siamo io e te, con le bici. Avevamo si e no otto anni. Quelle bici poi avevano il freno a pedale, quel sistema per fermarsi che non funzionava mai.
Ma quando pedalavamo andavamo veloci come Toby quando inseguiva le lepri. C’era lo stradone dietro il podere del nonno dove facevamo le gare. E quelle gare richiamavano anche tutti i bambini del vicinato. Un tifo da stadio. Anche se in quelle gare non vincevo mai, secondo me perché mi mettevi si nascosto la sabbia sulla catena.
Ora che ci penso, io te e Toby eravamo veramente inseparabili. Io e te passavamo le ore sugli alberi, a raccogliere i fichi, mentre Toby abbaiava e scodinzolava con le zampe appoggiate al tronco. Fino a che non arrivavano le vespe e dovevamo scappare per tutta la campagna.
E la gara dei cocomeri? Mangiavamo un cocomero a testa. Poi ci mettevamo all’inizio del campo. Pronti, via. Camminavamo all’indietro, pisciando, vinceva chi faceva la scia più lunga. E qui, caro mio, non vincevi mai.
E questa? Questa è bellissima. Ci siamo sempre io e te. Ma eravamo un po’ più grandi.
Guarda che faccie. Tronfie e aggressive. Come a voler avvertire il mondo. Attenti, arriviamo. Sedici anni e la voglia di spaccare tutto. Colpa degli ormoni.
Ma questo l’ho capito solo un bel po’ di tempo dopo.
Poi la vita ha scelto per noi strade diverse, come succede spesso. A diciotto anni ci siamo separati.
Non c’era più molto da divertirsi. Tuo padre tornava spesso la sera ubriaco. Io lo sentivo strillare da casa mia.
Chi ti incontrava, sentiva dai tuoi racconti storie di cadute dalle scale, inciampi, porte sbattute accidentalmente in faccia. Nella tua espressione tumefatta c’era sempre un perchè.
Tuo padre era amico di tutti. Del maestro, del farmacista, del maresciallo. Perfino del prete. E se per caso ti fossi lamentato con qualcuno, chi ti avrebbe creduto?
Poi, un giorno, sei sparito. E sai come è qua da noi, non si fanno domande, non è educazione. Ma di te si dicevano tante cose.
Dicevano di averti visto partire, una notte, di nascosto. Sembravi un ladro che scappava, inseguito dalla paura dei propri ricordi, più che da quella di essere ripreso.
Dicevano di averti visto andare in città, da un tuo amico, a cercare lavoro, per restare li’.
Dicevano di averti visto piangere, che maledivi tuo padre, che ancora lo sognavi la notte e che avevi terrore di quello che stava succedendo a tua sorella.
Quante volte avrei voluto sapere cosa facevi, dov’eri.
Ma qua da noi, non si fanno domande, non è educazione.
Dicevano di averti visto scappare ancora, che eri andato ad abitare in una capanna a qualche metro dal mare.
Per poterti alzare la mattina presto e andare a guardare il sole che sorge. E respirarne il calore che cresce dalla spiaggia.
Dicevano che c’era un vento caldo, giù al porto, quella notte che ti picchiarono in quattro, come se tu da solo avessi potuto anche solo pensare di poter dare uno schiaffo a qualcuno, magari solo per difenderti.
Dicevano che la mattina dopo ti hanno trovato in fin di vita, a metà strada tra la capanna e il mare, con il viso sorridente e lo sguardo rivolto a est.
Poi tuo padre è morto. E tu sei tornato a casa.
Oggi, non appena l’ho saputo, sono venuto qui a trovarti. Non stavo nella pelle dalla gioia. Ho preso il mio scooter e ho attraversato tutto il paese per andarti a comprare quel CD che ti piaceva tanto e che finalmente dopo anni ho trovato.
Spero ti piaccia ancora.
Guardo l’orologio sul muro. Purtroppo s’è fatto tardi.
Mi avvicino e alla finestra chiusa e guardo fuori. C’è tanta gente, lampeggianti, polizia.
Tra le gambe della folla riguardo lo scooter rovesciato e il lenzuolo bianco. Vicino, un CD in mille pezzi.
Ma si. Stasera ormai non c’è più tempo per svegliarti.
Domani.
Si.
Domani magari ritorno.
Tanto so dove trovarti, ora.

3 Commenti a “Dicevano”

  1. mattiekian dice:

    Davvero stupendo, non ci sono altre parole
    Mi sono commossa quando ho letto il finale.
    Complimenti

  2. emmaus2007 dice:

    Davvero bello! Bravo!

  3. caterina dice:

    tu chiamale se vuoi, emozioni…
    che elogio alla vita e all’amicizia.
    scendono le lacrime.

Lascia un commento

XHTML: Puoi usare questi tags: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>