La casa di Sierpinski

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La casa di Sierpinski

In ogni stanza v’era un letto di rose Tea, ed una specchiera su cui la sposa si rifletteva cento e cento volte, e di tanto in tanto le pareva di scorgere il virtuale riflesso dell’uomo che l’aveva voluta con sé.
Tutte le stanze avevano forma triangolare: ciascuna toccava con i propri vertici i vertici di altre stanze, sì da costituire un appartamento. Tre appartamenti toccantisi con il medesimo gioco, formavano un’altra struttura triangolare e così via, all’infinito.

Da qualsiasi parte la sposa partisse il suo viaggio terminava dentro ad una stanza, ed ovunque, in ogni specchio, scorgeva il volto del suo uomo.
E al vento andava mostrando le sue rughe, al vento, che pure filtrava tra gli atomi fitti di quella iterante dimora, andava chiedendo quanti anni fossero trascorsi, e se le sue gote di pesca s’erano appassite dietro gli zigomi, giacché gli specchi della casa di Sierpinski s’erano ossidati per via del tempo che le era scivolato addosso.
“Dammi una ragione”, sussurrava all’uomo che ella mai aveva visto, “solo per continuare ad abitare qui, perché mi turba la vacuità di queste stanze che si moltiplicano e la follia della tua cura nell’aver edificato, granello su granello, questa effimera prigione di sabbia; e mi turba, sai, questo amore tuo abissale, che cementa le fessure della mia esistenza; e questo proclamarti “il mio unico Sole”, che non tramonta dietro le mie spalle e che mi nega il privilegio di un’ombra che mi rappresenti, da cui possa attingere, come da una pozza malarica, il mio lentissimo e improrogabile disgregare.”
E quando, alla fine della sua esistenza, comprese quella dinamica perversa, si ancorò ad uno dei vertici del Grande Triangolo.
Perché finalmente le era concesso di sapere per quale astrusa trappola a volte si è vissuti tutta una vita.
Senza mai accorgersene.

Copyright ©2008 Luca Zammataro

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