Quando si visita la spelonca che echeggia tutte le emissioni della materia, è consigliato porsi di lato e mai tentare di incontrarsi.
Dapprima l’eco di una turista emerse dal fondo; poi fu la volta di Apo, il suo cane.
Quando la turista si trovò davanti alla copia di se stessa l’afferrò: era solida e calda come lei. Ma un istante dopo l’ologramma di materia si sciolse.
Il tempo impiegato da un’eco di un corpo, per partire da esso e ad esso giungere, dipende dalla profondità dell’antro.
Bisogna che si resti fermi davanti all’ingresso della spelonca solo l’istante necessario a che le emissioni del nostro corpo partano da noi per dirigersi verso il fondo.
Poi si deve solo attendere l’eco e tutto è fatto. Si vedrà affiorare la nostra immagine nella stessa posa in cui ci si trovava qualche istante prima.
La compattezza dell’eco viene mantenuta per tutto il percorso della grotta; una volta uscita da lì essa si dilegua nell’aria, giacché nessuna parete di quel misconosciuto minerale potrà più conservare intatto il miracolo.
Accanto a quella spelonca, ve n’era un’altra assai più ampia e profonda.
Si dice che la materia impieghi dieci anni per attraversarla tutta e altri dieci per tornare là da dove è partita.
Da bambino sostai qualche minuto dinanzi a quella sterminata apertura mentre piangevo perché mi ero smarrito. Ed ora mi trovavo là sull’uscio in attesa che il mio ologramma solido emergesse.
I miei dati concordavano: la mia età, il luogo, il giorno; ma non ricordavo il momento esatto in cui mi ero trovato lì.
Perciò attesi a lungo, molte figure appartenenti a chissà quali passanti si facevano avanti con abissale realismo di particolari.
Poi, verso sera, udii un lamento. Affiorò un figura di bambino. Mi riconobbi, nei begli occhi lucidi, nel piccolo naso, nelle gambette magre. Ebbi la sensazione che la sagoma potesse guardarmi.
Poi, d’un tratto, mi sentii smarrito proprio come lo fui allora.
Sicché davanti a me non c’era più il bambino, ma un uomo alto che mi fissava attonito da un uscio luminoso e indefinibile.
E quando mi accorsi di quel fugace sequestro dell’animo ebbi appena il tempo di toccarmi le gote, glabre e tondeggianti come erano vent’anni fa e di sfiorare il volto barbuto e così familiare di quell’uomo, il volto che fino ad un istante prima mi era appartenuto. Subito mi sciolsi anch’io, fragile nella luce.
Appurai in questo modo l’esistenza di uno scambio, perché la memoria è il calco della coscienza e la memoria è materia.
Quando si visita la spelonca che echeggia tutte le emissioni della materia, è consigliato porsi di lato e mai tentare di incontrarsi.
Copyright ©2008 Luca Zammataro
tu scrivi proprio bene. non e’la prima volta che anch’io nella spelonca ti incontro :)
e nella mia pochezza dico che ci trovo la similitudine che in un attimo ci si tocca le guance e si e’ subito uomini e donne da bambini che ci si immaginava…
davvero un attimo.
Ciao Caterina, grazie mille per il commento. E’ una gran soddisfazione sapere che quello che scrivi coinvolge emotivamente chi ti legge.. In fondo noi tutti che scriviamo viviamo anche per questo. Anche quando i commenti non sono sempre positivi, ci fa piacere sapere che qualcuno ci legge. Poi se il racconto piace, come nel tuo caso, allora la soddisfazione va alle stelle!
Un abbraccio