Quattro mura
Pubblicato da alfonso il 12 marzo 2008
Quattro mura erano poche.
Pareti di gesso e un soffitto ingiallito dalle troppe sigarette, la radio muta un tabernacolo di note e voci. Una vecchia bottiglia di giallo paglierino aveva versato l’ultima goccia da un paio di giorni e il ventilatore esalava l’ultimo soffio incapace di spazzare via l’odore acido della pattumiera che, ormai, vomitava il suo contenuto di giorni consumati da quella pesante esistenza.
Non vedeva vie di fuga, accessi nascosti, passaggi segreti che gli potessero consentire di avventurarsi dove il mondo prometteva riscatto.
Quattro mura e l’involucro che conteneva la sua esistenza.
Occhi che non avevano visto altro che buio e farfalle di luce che si perdevano appena provava a seguirle anche solo con il pensiero.
La pelle come un lenzuolo imbrattato dal tempo e strappi di consunte speranze, lacere ferite da cui traspirava il vento sinistro di una pietà che è solo apparenza.
Rivoli di saliva, come fiumi di ghiaccio, avevano immortalato il sorriso amaro dell’abbandono e le dita stringevano vuoti miraggi, illusorie attese ricolme di lacrime e radici di sangue come decoro alle guance infossate.
Lance sibilanti e funeste di urla e spergiuri, si aprirono un varco nel cuore che si aprì come un fiore ad offrire il nettare alle api di miele.
Nessuno si accorse che era finito.
Evaporò come una stilla di acqua che cade nell’olio bollente e sublima l’essenza in vapore, leggera si perde nell’aria e scompare all’idea degli altri.
Nessuno si accorse che aveva finalmente scoperto il passaggio segreto, il varco tra l’umano abbandono e l’infinito che accoglie.
Il pubblico orrore vale quanto parole pagate da un misero canone, poi si spezza e ritorna a mangiare succulente pietanze, a vestire di sete preziose, a sorridere e a sperare che il suo turno sia rimandato di un altro giorno… che comunque verrà.
12 marzo 2008 alle 10:44 pm
Ciao Alfonso,
splendide le righe in cui descrivi il corpo (dagli occhi in poi). In particolare ho trovato molto riuscita l’immagine della pelle come un vecchio lenzuolo.
13 marzo 2008 alle 6:55 pm
Grazie di nuovo, sei troppo gentile.
30 marzo 2008 alle 6:05 pm
“il varco tra l’umano abbandono e l’infinito che accoglie.” Questa e’ poesia..