Quel nodo alla Viganti

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Quel nodo alla Viganti

di Bernardo d’Aleppo

            Il buio dopo un breve palpito mi avvolge, mi fermo e al­lungo
la testa, la giro, cercando la traccia brunastra di una presenza lonta­na,
riflessa dalle pareti scabre di queste faringi infiammate, di queste interiora
ulcerose, ma la grotta, che poco prima echeggiava di grevi battute e di scherni,
sembra morta, silenziosa, assente, eppure è tutta uno scorrere, gocciolare e
gorgogliare leggeri.           Mollo la
maniglia e mi lascio un momento andare a questa sensazione di assenza, sospeso
all’imbrago, il sacco mi bilancia le spalle e forse sono orizzontale, o forse
no, ascolto paziente questo attimo di panico, già un’anca è sgusciata, e mi
rendo conto di non rimpiangere nulla, contemplo con beato distacco un pugno di
grandi amori come fiori su un catalogo, ma due rivoli d’acqua gelata mi
scendono dagli stivali alle reni percorrendo i polpacci e le cosce, abbranco la
corda e mi drizzo, non senza un po’ di rimpianto accendo l’elettrica e torno,
al quando, al dove.

Salgo lento e regolare, ad
ogni bracciata gli spallacci del sacco mi incidono solchi dolorosi davanti alle
ascelle, il tubo della lampada si è sfilato e l’acetilene esce in un soffio
leggero; trenta centimetri ad ogni “pompata”, questo pozzo era di
ottanta metri…

            No, mi devo concentrare sull’efficacia della
“pedata”, la gamba deve andare diritta, anzi quasi all’indietro, ma
attenzione alle palle, a non pizzicarle tra la staffa e l’imbrago e la corda
che scende, sessanta metri di corda inzuppata e insabbiata, cosparsa di ghiaino
tagliente le hanno appena lambite, attraverso la tuta bagnata e prima 20, 35,
15, 33, 40; sento sullo scroto passare una raspa, il dubbio di avere lacerato
la tuta esige un controllo e una pausa.

            Spengo la luce e mi riposo un momento abbracciato alla
corda, tra poco ci sarà quel nodo bastardo e il rinvio, poi un po’ di metri in
parete, una strettoia sospesa e finalmente un terrazzino…

            Bene, riparto, ma la luce si fa pian piano più fioca,
s’abbruna e poi muore.

            I polpastrelli consunti mi dolgono forte mentre cerco di
aprire il contenitore della batteria per cambiarla, ho tanta paura di la­sciarmi
sfuggire il caschetto che lo attacco con la “longe”, ma, dopo tanta
fatica, controllo con la lingua la pila e pizzica energica, evidentemente
l’umidità fa contatto, ma questo è un lavoro di fino che non posso fare in
libera, non io, non ora.

            Riparto allora alzando cautamente la maniglia ogni volta,
non vorrei mai che si incastrasse al nodo, e quando ci sono cerco l’accendino e
lo illumino un momento, tanto basta a farmi venire un groppo di panico in gola:
non mi ricordo più niente.

            Il nodo nel suo complesso è lungo due spanne, forse più e
dal centro gli pende una piccola asola (che sia per la “longe” ?),
subito dopo arriva il lungo rinvio, da cui la corda parte obliqua e, a pochi
metri, il frazionamento, finalmente in parete!

            Mi viene da ridere: al buio che faccio? Intanto attacco
la “longe” al rinvio…Sì bravo così quando passo il rinvio sto
appeso come un caciocavallo a destra e a sinistra.     Oh bene perdio ho ben pagato per questo corso sadomaso  mi tireranno su!

            Questo sì è un pensiero positivo: non posso fare ciò che
non so­no in grado di fare, ho garantito il mio impegno non il risultato. Sì ma
prima che si accorgano che sono bloccato e mi raggiungano mi sa che passa più
d’un’ora: appeso, assetato, affamato e zuppo; sì zuppo e finché sono in movimento non me ne accorgo, ma siamo a non più di tre o quattro gradi, fuori c’è la neve e il torrente che entra in grotta nelle “morte” è ghiacciato.

            Una cosa alla volta: la “longe” alla corda a
monte del rinvio.

            La maniglia sopra la “longe”.

            E ora forza! Abbracciato alla corda spingo sulla staffa,
stacco il ventrale, ma la gamba tesa comincia a tremare e così le braccia con
cui mi tengo aderente alla corda non ce la fanno: la corda è assai obliqua. Mi
lascio andare e mi ri­poso qualche minuto, forse uno, forse mezzo.

            Di nuovo: questa volta una gamba avvolta sulla corda e
sul rinvio ed un piede che spinge nella staffa, un braccio ti­ra alla maniglia
e l’altra mano aggancia il ventrale.

            Non mi fido e prima di muovermi controllo tutto: strano,
sembra tutto a posto, ricontrollo e quasi non ci credo; avanti che il dolore ci
accompagni…

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2 Commenti a Quel nodo alla Viganti

  1. Andrea dice:

    Ciao Bernardo,

    il gergo non facilita certo la lettura ai non adetti ai lavori, per cui non sono riuscito a comprendere del tutto quello che ci hai raccontato. Comunque rendi benissimo l’impressione della fatica, del panico, del freddo, anche se non capisco bene a cosa siano dovuti :)
    Grazie per avercelo fatto leggere.

  2. Bernardo d'Aleppo dice:

    Andrea, mi rendo conto di questi limiti, ma essere meno tecnico avrebbe voluto dire essere molto più prolisso e tutta la vicenda avrebbe perso di immediatezza.
    BdA

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