Io goccia d’un’onda,
in balìa del vento
io, spuma, e schizzi,
io, aria divento,
restare volevo
negli abissi quieti,
silenti, oscuri,
abbandonati,
quindi sicuri.
Io venni trascinata,
a riveder le stelle,
dall’àncora incurante,
con rami di corallo
e con silicee spugne,
io fui tra lor morenti,
così caddi sul ponte,
di lì nella sentina,
ove sostai, pensosa,
quanto non so,
mi parve assai,
ora son spuma
e non mi fermo mai,
alla mercé del vento,
tal sono e mi sento.
Così dicea la goccia
della schiuma di mare,
frizzando le sue bolle,
serena, ma non doma,
alla macchia oleosa
in cui specchiava
l’arcobaleno assente.
Io pure, disse il petrolio,
di lontano vengo,
tra i sargassi rinacqui
a questo cielo terso,
in me porto il ricordo
di un mondo assai diverso,
ne fui esiliato a lungo,
nell’Ade oscuro e caldo
restavo, rassegnato,
a rispettar, tacendo,
i ritmi del pianeta,
che sfarina il granito,
che digerisce il tempo,
ma venne un ascesso,
una suppurazione,
e venni espulso in mare.
Ora mi spando bene,
copro la spuma bianca,
ne faccio schiuma densa,
del color del letame,
che giunta sulla sponda
segna il confin letale.
Oppur resto, silente,
a fare specchio a un cielo
sempre più spopolato
di sterne e di gabbiani,
di svassi e cormorani,
di folaghe e di aironi,
di martin pescatori,
di falchi e di gruccioni,
pivieri e pivieresse,
chiurli e porciglioni,
se tacciono loro
che devo fare io?
Milano 27 Maggio 2010
Ciao Bernardo,
visto che hai tolto le stelline te le do “a voce”. Beccatene 4 per questa.
Mi è piaciuta molto. Forse un po’ ridondanti tutti quei versi con i nomi degli uccelli, ma immagino che serva a far passare il messaggio…
Grazie Andrea.
Sì l’eccesso di nomi di uccelli voleva proprio trascinare il lettore verso la presa di coscienza della complessità degli ambienti naturali, la cui dinamica è ancora in buona parte sconosciuta anche agli stessi studiosi, tanto più a noi profani che già fatichiamo a distinguere in volo un falco da una tortora.
Buona estate.