La tiepida serata d’ottobre stimolava le gambe al passo veloce che gli movimentava i pensieri. L’aria, finalmente sgombra di fumi e rumori, non abbisognava d’essere masticata con cura e quasi scorreva lieta intorno al suo corpo e nella sua gola, o forse lui era lieto.
Ma lieto di cosa? D’essere leggero e senza pensieri… La morte e il suo disdoro gli facevano strana corona, ma un sorriso ficcato tra i peli di barba e tra i baffi, non si voleva cambiare in smorfia di dolore, era solo; morti uno alla volta i suoi familiari più stretti e il suo cane, non aveva che lo specchio a interessarsi di lui, e il padrone di casa.
Pure: nella notte serena, sentiva, avrebbe voluto seguire il suo cane, sui monti e sul mare, avrebbe voluto averlo a compagno silente e perenne nel suo rincorrersi la coda intorno al mondo.
Passò l’ultimo autobus, pieno di passeggeri a ufo. O era lui l’UFO?
Dall’esterno lo sentì che traboccava di astio e di stanchezza, si fece a lato per non farsi schizzare dalla violenza trattenuta che colava dai finestrini aperti, il semaforo si fece verde e, sollevato, lo vide allontanarsi carico e gocciolante.
Gli venne in mente allora l’immagine dei carri carichi di ghiaccio, coperto di sacchi, che passavano, trainati da quegli enormi cavalli dalle zampe pelose, davanti alla sua casa di bimbo, portando un niente, come il ghiaccio, che ora c’era e dopo poco non c’era più, come i fiocchi di neve che catturava in volo cercando di mangiarli…
Forse era proprio il suo sentirsi bambino insieme al suo cane che gli mancava. Ah la prima volta che un bimbo, o un cane, vedono la neve, che bello guardarli e tacere.
Milano 28 Gennaio 2005