Pillole ( nulla accade per caso)
Pubblicato da caterina il 19 luglio 2008
PILLOLE ( quando nulla accade per caso)
Squisiti Lettori,
Non amo utilizzare termini legati alle malattie, come quando si usa l’espressione ” una siringata di qualcosa”.
Che paura, le punture! Ci giro alla larga se posso e non vedo la necessità di evocarle nel parlare. Ma dirò di più, a sostegno della mia personalissima tesi per cui occorre popolare la mente di immagini positive, se si può: odio i serpenti di un odio profondo. Chiudo un occhio per le lucertole ma mi fermo lì. I rettili mi fanno orrore, mi addormento sperando di non sognarmeli mai e quando corro in collina, sto sempre al centro delle mulattiere e ogni rumore è per me un segnale di stare all’erta perché qualcosa di strisciante potrebbe essere in agguato.
Non voglio nemmeno guardare foto che li riguardino, tantomeno leggerne.
Via dalla mia mente e cosi’ anche, spero, dall’inconscio. Sciò, raus!
Nonostante, la nostra lingua e il suo slang sono arcizeppi di parole che di per sé non sono bellissime da citare. Un altro esempio? Pare vada di moda il sistema delle pillole. E non solo in farmacia.
Pillole di una canzone, pillole di un romanzo, pillole di qui, pillole di lì.
Ormai si procede a ritmi talmente veloci che non stiamo più al passo del quotidiano, eppure gli artefici siamo stati tutti noi e proprio per noi tutti che siamo i clienti finali, quelli che spendono, che consumano e vanno tenuti in buona, l’imperativo è sfornare prodotti che sappiano accontentarci rapidamente. Pillole, appunto, la cui unica caratteristica è andare velocemente al dunque.
Per poi passare subito ad altro. Mi chiedo “e quando questo altro sarà finito?”.
Cosa leggeremo, cosa indosseremo, cosa berremo, di cosa nutriremo i pensieri?
Mah. In un museo d’Arte Moderna, l’Ivam di Valencia, vidi un’opera d’arte che mi sconvolse. Sala buia e una panchina; di fronte un enorme schermo sul quale venivano proiettati film famosissimi, di quelli in bianco e nero, americani, con gli attori ormai miti, Cary Grant, Spencer Tracy, Katerine Hepburn e compagnia. Le pellicole avevano una prerogativa fondamentale: venivano proiettate ad una tale velocità che duravano 45 secondi l’una. E il bello è che avendone riconosciute molte, era possibile seguirne la trama, con tanto di “THE END” alla fine!
Questa potrebbe essere l’immagine che condensa la mia visione del mondo in questo momento. Tutto in 45 secondi, anche meno a volte. “Vite, vite, vite” come direbbero i francesi.
La cantava giusta il buon Gimmy Fontana…”il mondo non si è fermato mai un momento…”
Che magnifica canzone, però. Ve la dedico in corso d’opera.
Io che sono sempre stata una conservatrice, una raccoglitrice di tutto, una catalogatrice, un’amante degli oggetti legati al passato e ad un ricordo, mi adeguo, a fatica, ma mi adeguo e pensando ad un nuovo contatto con Voi mi e’ sembrato interessante proporvi anch’io la mia brava scatola di pilloline. Placebo, si intende. Giusto per strappare un sorriso, sempre che io ne sia capace.
Flash, spot. Vedete come va a finire? O parole ospedaliere o straniere. Ma possibile che la nostra ricca e grandiosa lingua italiana non mi venga in aiuto in questo momento, Santo Virgilio?
L’intenzione è di scrivere piccolissime storie che abbiano superato il pericolo dell’oblio e quindi degne di essere mantenute in memoria. Coincidenze all’apparenza e che invece confermano la mia convinzione che nulla accade per caso.
In ogni evento spunta un brivido finale che mi fa capire l’incastro perfetto. Vivo una situazione e mi domando cosa sarebbe accaduto se fosse andata diversamente. Ma “il mondo dei se” non esiste o se c’è , non lo affronteremo mai. Qui si parla di sana realtà e di come spesso le cose si mettano in un modo tale che quasi non ce la fanno a nascondere il vero intento per cui sono lì, davanti a te, apparentemente slegate tra loro ma con la grande prerogativa di chiudere il cerchio.
Troppo poetica? Lasciatemi il piacere di questi frammenti di me.
Ecco, vedi che scava scava, la terminologia giusta e’ saltata fuori, Santo Foscolo, Dante e Leopardi messi insieme?!
Per realizzare se e’ vero che nulla accade per caso e se , per dirla alla Paolo Coelho, tutto l’universo cospira con me affinché io trovi, per esempio, un principe come si conviene.
E al diavolo lo Zeta Club!
Bellissime signore in piscina.
Mi sto rivestendo dopo una nuotata e due signore sulla settantina parlano tra loro. Sono cosi’ piacevoli con quel volto sereno che ha smesso di combattere e ha raggiunto mete importanti. Non posso fare a meno di ascoltare e una di loro dice “ti pareva che anche oggi non mi dimenticassi qualcosa a casa?”
Intervengo ricordandole “ieri il costume.” Sono talmente solari, queste due, che mi viene spontaneo fare amicizia.
“Ha ragione! Cara questa signorina…”
“Guardi, signora, a me capita sempre. Adesso poi che sono innamorata…”
“Ma che bello!!” E aggiunge “sa che io e il mio Toni siamo sposati da 57 anni?”
Ma daiiii, congratulazioni! Aggiunge ” eh ma bisogna avere tanta di quella pazienza, cara mia”. Negli anni si impara a stare zitte.
La sera capitava che rientrasse arrabbiato. Lo vedevo già da come varcava la soglia.”
“E allora lei cosa faceva?”
“Niente. Tacevo. Lo assecondavo, poi, piano piano la serata tornava serena e tranquilla. Pensi se invece io avessi aizzato il fuoco. Sarebbe stata una bomba. E invece…siamo ancora qui.
E guardi, cara, che il sesso finisce ad un certo punto, sa? Ma succedono cose di gran lunga più belle.”
Sara’ vero?
Se non fossi andata in piscina quel mattino…Voglio anch’io il mio Toni!
Che sia un segno? Che la bella signora dai capelli argentei sia da tramite tra il fato e me?
Datemi un Principe, santo Zeta Club!
Mia mamma e il Vajont.
A volte penso di avere nella mente i giorni in cui non c’ero.
Mi spiego.
Con mia mamma abbiamo sempre avuto un legame fortissimo. Non è definibile. Due amiche…ma no, di più , diverso. Due sorelle…ma no. Molto di più, diverso. Madre e figlia vere. Ecco.
Ci sarebbero talmente tante parole per descrivere la nostra relazione che non ce ne sono abbastanza.
Lei mi racconta spesso di quando mi aspettava. I tempi erano altri che a sentirla parlare mi pare un altro mondo. Eppure era lo stesso che mi avrebbe accolta di lì a poco e che ho vissuto anch’io fino a che, un giorno, ti accorgi che adesso sembra di vivere su di una nuova galassia mentre tutto ciò che è stato, è rimasto su di una supernova esplosa, della quale giunge solo il ricordo attraverso la sua luce di allora. E che luce…erano i favolosi Anni Sessanta, quelli del boom e del tutto possibile, se lo vuoi. E i miei lo volevano, eccome se lo volevano! Due autentici leoni.
In un appartamentino tutto nuovo, con il marmo lucido e la cucina di formica bianca, il salotto rosso porpora, i servizi di porcellana , doni del matrimonio, tutti ben messi nella credenza ( di quei servizi non e’ giunto quasi niente a noi dopo le manipolazioni mie e di mio fratello), i tappetini rosa nel bagno e la televisione, gigantesca, in bianco e nero. Me la ricordo anch’io, quando guardavo adorante il BRACCOBALDO SHOW alle quattro della domenica pomeriggio e subito dopo partiva l’odiosa sigla del Novantesimo Minuto. Proprio la tele fu protagonista di una pillola.
Ottobre 1963. Freddo cane. Edizione straordinaria dell’unico canale che si prendeva della Rai radiotelevisione italiana. Oddio…Nell’attimo della sigla pensi di tutto ancora adesso.
A Longarone tracima la diga del Vajont.
Una tragedia epocale. Spazza via un’intera vallata. Mia mamma mi descrive fin nei particolari cosa provo’, li’ da sola, intanto che sferruzzava l’ennesimo paio di scarpine rosa e azzurre ma anche gialle o verdi, per mantenersi neutra,, non essendoci ecografie allora che le avessero potuto dire in anticipo se sarei stata una lei o un ( desideratissimo) lui. Ve l’ho fatta, eh?!!
Dopo il TG iniziarono a mandare solo musica classica. Anche alla radio.
Il che aumentò la sua disperazione. E io, dentro di lei, avrò sentito?
Era già in atto il nostro sodalizio?
L’altro giorno ero a Longarone, per la prima volta in vita mia e probabilmente spinta lì dagli avvenimenti, per chiudere il cerchio.
Avrei riconosciuto il paese ad occhi chiusi. C’è questa enorme vallata brulla, accarezzata dal Piave e mi chiedo se sotto…ma so la risposta.
Una freccia indica il cimitero delle vittime del Vajont. Sicuramente dell’ottanta per cento di loro ci sarà solo una lapide. Non trovarono quasi niente in quell’ammasso apocalittico di fango. Mi sento un tutt’uno con questo posto che reputo sacro in ogni suo angolo. Intravedo un gruppo di ragazzi scendere una stradina, sorridenti e concitati. Con il gelato in mano che mangiano velocemente mentre il caldo lo sta falcidiando.
Eccola, la vita che viaggia e riparte. Tutto ricomincia sempre, come se nulla fosse accaduto anche se tutti ricordano e per chi non c’era, restano i racconti.
Se quel cliente non mi avesse spedita a Belluno non avrei mai considerato come ci si può sentire parte di una storia pur non essendoci stati.
Pongo dei miei stivali.
Da anni , per amore fraterno e per il quieto vivere, sopporto un cagnaccio di nome Pongo che staziona tutto il giorno per tutta la settimana lavorativa, durante tutto l’anno in ufficio. Era stato accolto da piccolissimo nella casa di mio fratello. Le mie nipotine, entusiaste, se lo coccolavano fino a soffocarlo. All’epoca era un batuffolo di pelo, tutto a pieghe e a macchie bianche e marroni. Sembrava uno di quei tappetini Anni Settanta che andavano tanto negli arredamenti essenziali. Poi, il tempo di una vacanza , le due bambine tornano a casa e non credono ai loro occhi. A suon di croccantini, il batuffolo era diventato un cammello. Addirittura più alto di loro!. Le due piccole non erano in grado di capire che si trattava dello stesso cane. Se fosse stato un umano, si sarebbe detto che era un’altra persona, a parte gli occhi. Passo’ quindi prepotentemente sotto l’egida di mio fratello che e’ tuttora l’unico che lo gestisce in tutte le sue forme. E vi assicuro che alcune sono davvero pesantine da mandar giù. Come quando mangia “a la carte” quello che qualcuno in cucina gli allunga e poi si lascia andare ad assoluto relax …certi olezzi…
Pongo e’ buonissimo, in realtà. Una mezza via tra un Bigle e un Setter irlandese. Banalotto a dirla cosi’ . Ma noi alla fine gli vogliamo bene nonostante le zampotte luride e sempre pronte per essere stampigliate sui vestiti, soprattutto quando sono bianchi e blu. Perfetto. Sembra che lo sappia, questo cane buongustaio.
Ha le sue antipatie e gliel’ ha giurata ad un cliente o due, tanto che hanno imparato ad annunciarsi prima di addentrarsi nel suo territorio.
Che e’ quasi tutto a parte la piccola cucina dove mia mamma fa miracoli. Io, con la mia risaputa goffaggine per tutto ciò che deve subire il processo di cottura, non so veramente come possano uscire certi piattini solo con l’ausilio di un fornellino e un microonde.
Che profumini ad una certa ora…Vivo per quel momento. E’ il fattore sorpresa che mi fa impazzire. Non chiedo mai cosa si mangia. Mi affido alla fantasia di mia mamma che a sua volte si fa ispirare dal supermercato. Ed e’ cosi’ che consumiamo esattamente ciò che il direttore marketing del “fresco mio” ha deciso per quel giorno.
Ma bene cosi’.
Un mezzodì arrivo trafelata e la mamma sciorina la sua frase di prammatica in questi casi “ragazzi, e’ tutto pronto, un pranzettino!”
Ah ma bene! La precedo in cucina ma la delusione è grande. A me pare che ci sia tutto pulito. Piatti lavati sul ripiano in acciaio, pentola vuota e luccicante tanto era asettica. Non una briciola in giro.
Il regno di Mastro Lindo e cucina in pausa. Boh. Sara’ nel microonde, il fatidico pranzetto. Macchè. Vuoto come il caveau di una banca all’ora di chiusura.
“Mamma , se vuoi ti aiuto a preparare, mi pare che siamo indietro, oggi…”
“Ma no, e’ tutto li’ sul…ripiano…avevo preparato! Dov’è tutto il pranzo??”
Ho annusato la bocca di Pongo. Sapeva di melanzane fritte e polpette. Le MIE melanzane che mi piacciono da morire affettate a rondelle e impanate che sembrano bistecche e le MIE polpette, quelle con il macinato scelto del macellaio di Solferino che non ce ne mette mica di schifezze nel tritacarne! “Fa tutto sotto i miei occhi.” Mi rassicura mia mamma.
Siamo andati in pizzeria dove non ho conosciuto nessun principe azzurro e non ho trovato una banconota da 500 euro nel bagno. Li’ non c’entra il caso. Non si è chiuso proprio nessun cerchio e nessuna manina fatata mi ha spinta nel locale. Solo l’ingordigia del cagnaccio e una voglia matta di polpette. Che dura tuttora.
Vaniglia dal Cielo.
15 Agosto.
Tasso di umidità: 80% e noi siamo quattro pellegrini che non trovano una stradina dissestata, sulle colline di Monzambano. Nemmeno fossimo a Manhattan!. Ci passiamo davanti senza vederla tre o quattro volte e poi, come sempre quando molli la presa, quasi il destino stesse giocherellando per testare la tua pazienza, ecco l’ingresso del sentierino! Siamo io, mamma, papa’ e mio cugino, Padre Vitale, un Gesuita dolcissimo e coltissimo, che starei ad ascoltare per ore .
La sua presenza sarà fondamentale per equilibrare quanto successe di lì a poco.
Ci stiamo arrampicando su di una collinetta dove troveremo Salvatore, un veggente che afferma di ricevere visite frequenti della Madonna. Ma scherzi? “No, no, è risaputo. Anche se la Chiesa non lo ha mai preso in considerazione e lo snobbano in molti.” Mio papa’ si e’ informato.
Siamo sul Monte Casale, ribattezzato “Madonna Messaggera delle Grazie” nel lontano 25 Marzo 1997 alla Sua prima apparizione.
Oggi pare che l’appuntamento con Lei sia alle quattro.
Tra un paio d’ore Maria potrebbe essere qui, come se ad incontrarci fosse un’amica. Sono allibita. Di gente ce n’è anche se me ne aspettavo di più, non dico come a Fatima, che ha sempre saputo rapirmi, o Lourdes o Loreto ma leggermente più affollato di com’è, di sicuro. In mezzo ai filari sorge una capanna esagonale, il cui perimetro e’ delimitato dai banchi da chiesa. Molti fedeli sono inginocchiati. Alcuni tappeti sulla nuda terra, tabernacolinii, vasi e vasetti, ex voto che pendono un po’ dappertutto.
Inganno l’attesa ascoltando pareri e guardando visi. Alcuni dicono che qualcuno ha visto la Madonna guardando il sole. Allora scatto una foto. A riguardarla dopo, si vede solo un gran casino e basta. Il mio motorola non e’ un cellulare di fede, si vede… Ne scatto un’altra a mio papa’, accomodato bellamente sotto una vigna, sorridente e sornione. Forse aspetterà di vedere che reazione avrò. Lo fa spesso ma…non so se sa che lo so…
Il mio pomeriggio sta diventando irreale. Mistero, Fede, Aldilà… Ma a riportarmi sulla Terra e’ mio cugino che mi scruta. Sarà solo una sensazione ma mi pare di coglierlo molto scettico. Gli faccio domande e lui mi risponde che onestamente non sa se credere a questo signore dagli occhi azzurri, vacui, lacrimanti, assenti e che non guarda in faccia nessuno. In piedi al centro della capanna, aspetta che arrivi l’Ospite speciale che lui sostiene di vedere e sentire. E a questo punto considero che, vera o non vera questa faccenda, il miracolo e’ già avvenuto per la devozione che percepisco chiaramente. La gente prega di continuo.
Mia mamma e’ fuori causa. Non voleva venire fin da subito e ormai è un cane sciolto. Non sente ragioni. Il suo Dio e’ altro da li’; ognuno ha decisamente il suo approccio, me ne rendo conto. Risultato? Sono di un confuso che non so più a chi credere. Mio papa’: atteggiamento illuminista, prima di tutto la ragione e poi vediamo. Mio cugino: istituzionale, deve mantenere la posizione ecclesiale. Mia mamma e’ agnostica per le uniche due ore della sua vita.
Ma ecco, forse e’ il momento! Il tipo alza gli occhi al cielo, tiene in mano un rosario e annuisce, come se Lei gli stesse dando delle disposizioni. Il giorno successivo lui scrive il resoconto, una sorta di relazione dal Cielo e la pubblica non so dove, forse in internet. Mah…Mi piacerebbe sentire quello che si dicono e mi pento subito dopo per questo pensiero un tantino irriverente. Dopo una decina di minuti il tipo fa il segno della croce e si accomiata da tutti noi.
Finito. Mi resterà un gran dubbio, temo. Andiamo dai.
No, aspetta… Che profumo di vaniglia che sento…
“Mamma sei tu che profumi cosi’? E’ il Clinique che ti ho regalato ?”
Una signora mi sorride “a volte la Madonna lo fa, di lasciare la scia. E’ vaniglia, vero?
Non capita sempre.”
Mi e’ passata vicino allora! Che onore hanno avuto le mie narici!
Spiego concitatamente il fatto ma i miei compagni di viaggio mi danno di lungo.
Ma io non voglio pensare a nient’altro; il profumo ha dissipato ogni mio perché.
E quello era l’unico posto in cui, quel giorno, avrei voluto essere.
Ancora in piscina.
Per mandar via le maniglie dell’amore, alle quali seguita a non appendersi mai nessuno, mi ha preso la fissa dell’acquagym.
Per esigenze lavorative, ho scelto la lezione delle nove del mattino che ho scoperto in fretta essere frequentato da signore in pensione.
Nulla di che, anzi. Mi trovo bene con chi ha fatto strada e ne sa ma li’, a fare gli esercizi, ho dovuto adeguarmi e la mia ginnastica e’ diventata fin troppo dolce, per andare incontro alle esigenze motorie degli altri iscritti.
Dopo la prima lezione non del tutto appagante, ho deciso che comunque non avrei potuto fare nient’altro e allora il corso me lo sono cucito addosso come meglio potevo.
Adesso che abbiamo finito, a restarmi nelle orecchie non e’ il fruscio dell’acqua e nemmeno le urla dei bambini dei famigerati “grest” che per l’occasione si trasformano in tanti piccoli mostri moltiplicati all’infinito.
Mi riecheggiano invece frasi meravigliose che inserirò nella mia classifica personale.
Elettra, che scopro appartenere all Zeta Club, intanto che tribola come un ‘ossessa, mi sciorina la ricetta della torta sabbiosa. E aggiunge intanto che uno due tre, su la gamba destra e mantenere…
” el dificile l’e’ la cotura. E po’ varda, quando ghe da cusinarla par i altri, no la me vien fora gnanca se te mori!” e intuisco che la sabbiosa non la mangeremo. almeno per questa volta…
Una signora fa capolino da un angolo dove si tocca, con la sua bella cuffia a fiori e minaccia l’insegnante ” varda Elena che se doman me vedo un filo de cellulite …i e’ guai! Sta tenta!”
Siamo alle minacce.
L’unico uomo si chiama Lino ma Elena non se lo ricorda mai, presa com’è a sgolarsi nell’inventare esercizi nuovi e divertenti per noi clienti esigentissimi e allora gli si rivolge con una formula che trovo geniale ” e lei, BUON UOMO, cosa ci fa qui in mezzo a tutte queste dame?”
Uno si aspetta la solita stupida rima e invece lui, pacioccone e serafico ” a go da nar su la Marmolada e no so mia alena’”.
L’obiettivo mi sembra eccezionale: piscina pre Dolomiti.
È routine sentire Elena sbraitare, anche con frasi pittoresche, un po’ per deformazione professionale, un po’ per tenere alto il tono della lezione: ” Dai, Signori! Ma state dormendo? Non mangiate i carboidrati alla sera che poi vi viene sonno! Forza, cari, avanti col Cristo che la procesion l’e’ longa. Uno due tre, abbracciatevi le ginocchia mentre state a pancia in su e poi spingete tutto indietro! Voglio vedere le unghie dei piedi fuori dall’acqua! ”
Ho come l’impressione che sarà durissima. Contorsionismi veri e propri. Butto l’occhio alla mia destra e un’ allieva molto in sovrappeso, anche lei con una cuffietta degna di Coco Chanel, abbinata ad un costume ormai provato dal moltissimo cloro e che non riesce a trattenere più nulla delle sue burrosità , mi guarda sconsolata, l’occhio a mezz’asta e mi dice ” a mi me par de eser cosi’ brava. Varda! Fao anca le onde!”
Consapevolezza delle proprie infinite capacita’!
Non so se in piscina sia stato il destino a spingermi. Fatto sta che nemmeno li’ ho trovato il principe azzurro. Ma in compenso…sabbiose come se piovesse!
Stare attenti ai tappetini del bagno.
Gianna è la donna più serena che conosco. Mi ritengo fortunata ad annoverarla tra le mie amicizie. Lo è stata da subito. Ci siamo incontrate una mattina in mezzo alle colline del Soave in una delle solite sfacchinate e ho percepito del buono. Quella sensazione non mi ha più abbandonata e quando so che c’è lei in collina sono contenta perché ne ricaverò qualcosa di interessante. E’ anche talmente discreta che non le chiedo se potevo inserirla in un racconto. Mi avrebbe detto di no. La metto davanti al fatto compiuto. Dopo i nostri sei sudatissimi chilometri, siamo ospiti a colazione da Mario, altro splendido amico che fa da capofila e tira il gruppetto.
Una di queste domeniche, tra un caffè e uno yogurt anche se, qui lo dico e qui lo nego, a me piacerebbe tanto una bella scodella di caffelatte con una montagna di biscotti da pucciarci dentro, Gianna mi racconta del suo femore. Che argomento sui generis, direte voi, ma invece ci sta. Squisiti. Lassù tra l e vigne discutiamo di tutto. Del lavoro, dell’essere buoni genitori ( loro ) e buoni figli ( io), di politica, delle vacanze, dell’opportunità di spostare o meno il monumento della piazza del paese, di nuovi amori (sempre io), di vita, insomma. Fatti di cronaca, economia spicciola, buoni affari, buggerate e l’ultimo libro letto rientrano nel nostro cono d’ombra mentre tutto scorre, condensato in quella manciata di minuti da dedicare a noi, amici nell’incanto del nostro percorso paradisiaco che inizia e termina al parcheggio dove lasciamo le auto.
Gianna sta un po’ meglio. Sapevo infatti che una mattina in cui come al solito, si fa tutto di corsa, mentre era già vestita e truccata, si stava solo dando una rassettata ai capelli, mette male un piede, si accorge di essere instabile, tenta di salvare la caduta, si aggrappa a tutto quello che trova in bagno, portasciugamani, bordo del lavandino, termosifone, e si accorge di come tutto sia estremamente molle e inafferrabile in quel frangente mentre il tappetino ormai la avviluppa nelle sue spire come un boa di peluche impazzito e la fa sua. Si ritrova a terra con la sensazione di non comandare più la gamba destra e nonostante con un dolore mai patito prima. Talmente incessante e fortissimo che all’ospedale pregava le infermiere di non cambiare continuamente le lenzuola per nn essere costretta a continui trasbordi.
“Capita” conclude e da allora giù litri di latte e ginnastica e corse in collina e bicicletta e tutto.
” Con la scuola ho dovuto fermarmi. Per qualche settimana mi sono tenuta in contatto con i miei bambini ma poi ho visto che la supplente faceva egregiamente il suo lavoro e ho lasciato correre. Se ne riparlerà a Settembre.
“Ho dovuto fermarmi , cambiare abitudini, pensare a me “.
“In casa come l’hanno presa?” le chiedo, affascinata dal suo racconto.
“Ho assistito alle ultime fasi della laurea di mia figlia che adesso ha anche già trovato un impiego. Ho anche smussato certe asprezze che avevo con mio figlio. Mia suocera mi ha chiesto inaspettatamente come sto, mai accaduto prima..
Mio marito mi riempie di attenzioni…
Considerato il fatto che se doveva capitare, avrei comunque dovuto fermarmi, non avrei trovato momento migliore di questo per arrestare la mia corsa. Fracassarmi un osso cosi’ importante e guardarmi dentro… non dico che è stata una fortuna ma…”
Caspita che forza, Amici Lettori…Le cose capitano, indipendentemente da noi anche se poi è come noi trasformiamo ciò che il destino ci srotola davanti a fare la differenza.
E nulla accade davvero per caso. Parola di Zeta Club.
A concludere, una poesia composta da Camilla, mia nipote. Otto anni e già affascinata dalle parole e, a quanto pare, con una sua particolare predilezione per le pillole.
“La luna e gli animali.
I cani abbaiano, i cavalli nitriscono, gli uccellini cinguettano,
i gatti miagolano, sotto la luna, e tutti ridono.”
Me la lesse al telefono: “Ti e’ piaciuta veramente, zia?”
“Molto, Camilla, tu sei un angelo!”
“Allora te ne leggo altre cinque.”
“No, no. Tienine qualcuna anche per domani, va la’, che non si sa mai.”
Vostra affezionata
20 luglio 2008 alle 2:01 pm
Ciao Cate!
Davvero belle queste “pillole” di saggezza, in questa sorta di diario che svela, pezzetto alla volta, le tue idee, le tue aspirazioni, i tuoi buoni sentimenti… e il tutto quasi senza errori di battitura od ortografia! Evvai! Brava!
Un solo appunto: e le altre cinque poesie di tua nipote Camilla? Eh no, non ci puoi lasciare così… smorzare un talento letterario di sicuro successo, perdipiù parente…
Per concludere, 5 stelline ma a patto di leggere in seguito i componimenti di Camilla!
Ciao! Salutamela!!
20 luglio 2008 alle 2:53 pm
5 volte graze, Emmy!
e in bocca per i corti anche da qui