ORIZZONTI DIVERSI
Pubblicato da caterina il 21 novembre 2007
ORIZZONTI DIVERSI.
Sono qui di fronte e ti osservo, consapevole che non si dovrebbe fissare la gente sui mezzi pubblici ma si sa, dopo un po’ che si viaggia anche il galateo va a farsi benedire.
Mi chiedevo come stai ma tu, ovviamente, non immagini che io abbia questa strana curiosità e poi perché rivolta proprio a te che sei uno qualunque qui sopra?
E pensare che sarebbe una frase fondamentale; se detta con affetto, dipana tutte le tensioni.
E’ una domanda da “cucina della mamma”, sono due parole calde, rotonde, che profumano del tuo piatto preferito, preparato per te da chi ti vuole bene e conosce i tuoi gusti senza nemmeno chiederti cosa vuoi per cena.
Del resto, come darti torto.
Guardaci, siamo qui seduti e la disposizione dei posti ci obbliga a stare gli uni in faccia agli altri, frullati e massaggiati dal movimento e mentre dondoliamo, sembriamo ostili, chiusi dentro, ricci cittadini che per spostarsi prendono un tram.
In questo istante, tu sei il mio orizzonte, oltre non vedo nulla.
Potrei proprio dire che davanti a me ho te, uno sconosciuto.
Come dicono gli Inglesi? “Un penny per i tuoi pensieri”.
Hai fretta o hai pianificato la tua giornata e stare seduto li’ rappresenta per te l’unico frangente in cui oggi ti riposi?
Il tuo viso è asettico. L’espressione, di quelle da viaggio: “non do’ confidenza perché altrimenti non è più finita, me ne sto qui sul mio sedile di plastica che ha le pretese di essere anatomico ma sto scomodissimo, conto i pali della luce cosi’ mi distraggo un po’, cosa danno a quel cinema? Troppo veloce, non ce l’ho fatta a leggere.”
Tranquillo. Non ti giudico. Anche se verrebbe spontaneo, lo so, non credere. Sempre il famoso galateo direbbe che non si usa mai il termine “giudizio”. Meglio sostituirlo con “parere”, “suggerimento”, “riflessione” e invece tutti giudichiamo costantemente , anche senza volerlo.
Ma se non diamo corpo al flash che la mente ci rimanda di quello o di chi stiamo osservando, la cosa non avrà un seguito e morirà li’. E in questo istante non sto permettendo al mio io pettegolezzi che ti riguardino.
Non noto nulla di te se non te, intanto che investo cinque minuti per guardare al di la’ del mio naso, giusto il tempo che mi occorre per arrivare a destinazione.
Accavallo le gambe e inavvertitamente ti prendo contro: “ Oddio, scusi!”.
“No, non e’ nulla, si figuri” ma si vede che sei indispettito perché le mie scarpe a punta sono sporche e ti ho lasciato un baffo grigiastro sui pantaloni scuri.
Che pasticciona. Mi succede di arrecare piccoli disagi agli altri involontariamente, come quella volta che sull’aereo ho aperto una piccola panna da caffè e lo schizzo e’ andato dritto sulla gamba del mio vicino, manager in completo grigio frescolana, stava andando alla fiera del Levante di Bari, glielo ho sentito dire ai suoi colleghi.
Ci e’ andato inzaccherato dalla mia sbadataggine…
Proprio quando ti sarò sembrata antipatica e nevrotica, una che non sa stare composta in mezzo a tanta gente in poco spazio, “chissà quanti caffè ha già tracannato oggi”, io invece mi stavo addolcendo e consideravo che siamo tutti nella stessa barca o sullo stesso autobus, se vuoi.
Stasera avremo entrambi i piedi impolverati, qualcuno ci avrà trattati con sufficienza, senza rispettarci per ciò che siamo, senza aver colto un briciolo della nostra essenza e qualcun altro con una sola parola ci avrà catapultati in Paradiso, fornendoci l’energia necessaria per proseguire sulla nostra strada, viaggiatori nel nostro vagone personale, che immaginiamo di prima classe, con sedili in alcantara e moquette rosso cupo: un posticino prezioso dove non si fuma, popolato da tutti gli altri compagni di cordata della nostra sfera d’azione.
Mi ricordo di un film con George Clooney, mi pare, in cui il protagonista parla di quello strano fenomeno secondo cui si incrocia per un nanosecondo lo sguardo di qualcuno per strada e ci si chiede come sarebbe stato se si avesse potuto fermare l’attimo invece di continuare ad accelerare… Ecco, io non ho la pretesa ma nemmeno il desiderio di infrangere questa piccola intimità che si è creata , con un banale “piacere, io mi chiamo…”.
Tutto sarà perfetto se rimane cosi’, sospeso , anzi , appeso ad una delle tante maniglie di questo bestione che ci sta traghettando da una situazione all’altra della nostra città.
Bene, per tutti questi motivi , torno a chiederti “come stai?”.
Caccio via il macigno di pregiudizi e paletti che ci rende sempre duri quando incontriamo l’altro, sempre in guerra, sulla difensiva, preoccupati di non arrivare primi, di essere sorpassati o sottovalutati e per una volta , gratuitamente e senza aspettarmi niente in cambio, lascio cadere mollemente le braccia in grembo, le spalle si riallineano perfette sotto il mio golfino rosa acceso e ti vedo per come sei, una persona in corsa, come me, e realizzo come è semplice, in fondo, condividere la stessa carrozza.
Io scendo alla prossima .
E’ stato un piacere “non averti” conosciuto ma ti ringrazio per avermi permesso un rapido escursus nella tua vita.
Resterò con il dubbio che tu te ne sia accorto e mi abbia lasciato fare perché intanto che arraffavo le mie cose e davo un ultimo sguardo fuori per controllare che la fermata fosse la mia, mi è parso di scorgere un sorriso sulla tua faccia rimasta imperscrutabile lungo tutto il tragitto.
E lasciando dolcemente la pertica alla quale mi ero aggrappata per non cadere nella frenata finale, a porte aperte e già sul primo gradino, con il motore del pullman che ruggisce e scalpita brontolando, mi è venuto spontaneo sussurrarti : “ Buona Vita, Viaggiatore. Al prossimo orizzonte.”
25 novembre 2007 alle 7:09 am
Cara Cate,
leggendo questo tuo, mi son tornati alla mente tutti i pensieri che di solito faccio in zone affollate. Ogni persona, una storia diversa. Sembra incredibile ma è così. Stai lì a contatto, gomito a gomito, e a parte quello che traspare dalla faccia, non vieni a sapere nulla. Non è voglia di sapere i fatti degli altri, odio i pettegolezzi!, è semplicemente un pensiero che mi prende. Nella metrò t’è capitato lo stesso; evidentemente, e l’hai ben descritto, come al solito. Ciao e buona domenica!!
25 novembre 2007 alle 3:29 pm
sei sempre cosi’ incoraggiante, Emmy.
spero a questo punto, che il nostro progetto prenda forza!
26 novembre 2007 alle 6:11 pm
Bello, e piacevole da leggere questo tuo racconto, e per di più fa anche riflettere sulla quotidianità, che affrontiamo troppo spesso senza soffermarci a pensare.
27 novembre 2007 alle 2:37 pm
grazie, Chris!
anche se avrei preferito vincere!
27 novembre 2007 alle 3:40 pm
Ma come, non ti bastano i nostri complimenti?!?!
Ehehe lo so, tutti preferiremmo vincere…
Bello il tuo racconto. Finalmente ti vediamo alle prese con uno stile piu’ narrativo e meno giornalistico, e te la cavi alla grande
27 novembre 2007 alle 4:08 pm
grazie, Andrea.
mi devo sforzare in tal snso, allora.
sai che io di voi mi fido!!!
e del nostro progetto che si dice?
30 dicembre 2007 alle 11:08 pm
sinceramente moto più bello questo tuo pezzo della “ragazza del tram” del fabio volo di “il giorno in più”.lo so che hanno significati ben diversi, ma leggendo questo tuo sembra di essere seduti sul metrò con voi, cosa che non mi è successo leggendo il troppo acclamato famoso autore.
bello davvero.