Solo acqua, solo pioggia
Pubblicato da diego il 28 novembre 2007
Marco
aveva conosciuto Matteo Ghini al liceo, e non ci aveva messo molto a concludere
che fosse un tipo strano: a quel tempo Matteo aveva sempre lo sguardo di un
astronauta al suo primo allunaggio. Per lui era come se il mondo fosse tutto un
susseguirsi di fenomeni bizzarri, una fase che Marco aveva superato con
l’adolescenza e, a Dio piacendo, non sarebbe tornata mai più.
Finito
il liceo si erano persi di vista, e si erano ritrovati una dozzina di anni
dopo. Matteo Ghini era rimasto lo stesso, ma il suo sguardo da astronauta si
era trasformato. Evoluto, forse. A trent’anni era alto e magro, portava
la barba sfatta e i vestiti a penzoloni. Molto spesso era pallido e aveva la
pelle tirata come se facesse uso di droghe, ma Marco avrebbe scommesso che non
aveva preso mai niente di più forte di un’aspirina.
Marco
lo aveva conosciuto al liceo per cinque anni, lo aveva frequentato adesso per
altri due, ed era sempre stato come vagare su un pianeta straordinariamente
mutevole. Quando avevi circumnavigato Matteo Ghini ed eri tornato al punto di
partenza, potevi star certo che qualcosa era cambiato.
Si
faceva sera. Stavano seduti al tavolino di un bar.
-Dammelo-
diceva Matteo ridendo. -Dai, ridammelo!
Marco
gli aveva aperto il portafogli, sfilato la carta d’identità e guardato la foto.
-Bè,
sei proprio un idiota, sai? Lo sembri davvero. Fai bene a tenerla nascosta.
Matteo
gli strappò il documento dalle mani. -E’ vecchia.
-Allora
sei un idiota vecchio. Cosa ti cambia? È peggio ancora, no?
Matteo
guardò oltre i tavolini bianchi e gli ombrelloni del bar. In cielo le nuvole
s’addensavano. L’aria aveva preso l’odore di un vecchio pozzo.
-Pioverà-
disse.
-Piove
sempre, se aspetti abbastanza. Si, forse pioverà. Un’altra birra?
-Si.
Marco
agitò il bicchiere e sollevò due dita, poi disse: -Io non ti ho mai capito,
sai, dico sul serio.
-Che
c’è da capire?
-Che
fai nella vita?
Matteo
non sorrideva più. -C’è bisogno di fare qualcosa?
Arrivò
il cameriere con le due birre. A Marco piaceva bere birra in quel bar perché la
servivano ghiacciata, col vetro del bicchiere appannato. C’erano i giorni come
quello, quando spirava il vento dell’autunno e bevendo gli venivano i brividi
alle braccia, però gli piaceva lo stesso.
-Salud-
disse. Picchiò il bordo del bicchiere contro quello di Matteo.
-Bevi
troppo, lo sai vero?
-Lo
so, ma adesso cosa c’entra?
-Comunque
bevi troppa birra.
Marco
sorrise. -Dipende. In questo bar hanno la birra buona. È leggera, ma è buona. È
per questo che la bevo. Non bevo le porcherie.
-Ti
pare una scusa?
-Guarda
che non ho bisogno di scuse. Ma insomma, che vuoi? Non stai bevendo anche tu?
-Bevo
solo per farti compagnia.
Un
colpo di vento ammassò altre nuvole. A Marco si rizzarono i peli delle braccia,
e bevve ancora un sorso.
-Vedi
come cambi discorso?- disse poi. -Non mi hai risposto.
-Risposto
a cosa?
-Cosa
fai nella vita?
-Bevo
la mia birra e cerco di non farti bere la tua.
-Ah,
si. Questa è pura filosofia-Ghini, la riconosco.
-Hai
finito?
Ecco
un’altra delle sue caratteristiche. Quando era infastidito, Matteo non faceva
proprio niente per nasconderlo. Guardava da un’altra parte, smetteva di
sorridere, o se ne usciva con una di quelle frasi. Marco insisteva a
punzecchiarlo solo quando era sbronzo, ma non succedeva sovente. Doveva essere
uno dei motivi per cui Matteo lo frequentava.
-Ogni
tanto mi fai passare la voglia di bere- disse Marco. -Hai visto quelle nuvole?
-Sono
nuvole che portano pioggia.
-Pioverà
per un paio di giorni.
Le
nuvole avanzarono fino a riempire il cielo. Ingrigirono il pendio della
montagna e la pineta, le ciminiere delle fabbriche. I cavi dell’alta tensione
erano righe di pennarello nero e l’aria si era raffreddata.
Un
tuono distante rotolò fino a loro.
Matteo
disse: -Hai sentito?
Tap.
Un
soldino d’acqua si formò al centro del tavolino, vicino al bicchiere di Marco.
Poi un altro, e poi un terzo.
-Dai,
andiamo dentro.
-No,
andiamo a fare un giro.
Ecco.
Quello era il vero Matteo Ghini. Se attacca a piovere, chiunque altro vi
dirà di entrare nel bar, ma potete star certi che lui vi proporrà una passeggiata.
Si era già alzato.
-Sei
matto? Comincia a piovere.
-E
allora?
-Allora
quando piove non si esce.
-Guarda
che è solo acqua, perché ti spaventi tanto? La cosa più tremenda della pioggia
è che ti bagna.
-Non
mi piace bagnarmi. Mi fa sentire tutto appiccicoso.
-Non
fare la lagna, adesso. Molla quella birra e andiamo.
-Dici
così perché hai la tua giacca di plastica, io non ho niente. Ho solo la mia
maglia, e non ripara certo dalla pioggia.
Matteo
allargò le braccia e si tolse la giacca di plastica. La camicia che aveva sotto
era troppo larga, come tutti gli altri suoi vestiti. Lui era alto, magro come
un chiodo, e quando stava con le braccia divaricate la camicia sembrava vela di
un brigantino.
-Tieni.
Mettila tu.
Marco
la indossò. Matteo lasciò una banconota sotto il bicchiere, poi gli fece segno
con la testa e si avviò lungo la strada. Era quasi buio.
La
pioggia era tiepida. Sbatteva sul cappuccio riempiendo le orecchie di Marco di
un gran fracasso e non era poi così terribile. Matteo aveva già i capelli bagnati
e la camicia fradicia.
Dal
cemento si andava levando quell’odore di umido e di polvere, l’odore del calore
imprigionato che se ne andava.
-Dove
stiamo andando?
Matteo
fece un gesto da nulla e non disse niente. Attraversarono una strada dove i
palazzi popolari rubavano il posto alle fabbriche, e la pioggia si rovesciò con
più vigore.
-Ti
buscherai l’influenza!
Matteo
s’infilò sotto l’androne di un palazzo e Marco lo raggiunse. Si levò il
cappuccio gocciolante. Il buio era calato.
Un
altro tuono brontolò, cupo e lontano.
-Insomma
mi dici dove vorresti andare?- disse. -Non possiamo camminare sotto la pioggia.
-Perché
non possiamo?
-Mi
sembra tutta una scemenza.
-Ma
di cosa stai parlando? Perché non possiamo?
Matteo
si strizzò i capelli all’indietro, si pulì il viso. Anche se aveva quelle fosse
smagrite nelle guance, in quel momento sembrava felice. -Lo vedi quell’androne
laggiù?
Marco
guardò il palazzo di fronte e lo vide. La luce del neon lo illuminava come una
piccola caverna in una notte preistorica.
-Bè,
ma…
Matteo
schizzò in strada, trottando a passi lunghi verso l’androne.
-Aspettami!
Ma sei matto?
Marco
gli corse dietro. Infilò i piedi in una pozzanghera e si bagnò le scarpe. La
notte era arrivata in fretta e il mondo era solo più un pugno di luci elettriche
gettate a spaglio nell‘oscurità. La pioggia batteva su tutto.
-Ecco-
disse Marco raggiungendo l’androne. -Siamo arrivati, adesso? Dove dobbiamo
andare?
-Ma
che ti prende?
-Continuiamo
a correre, ecco che mi prende! È venuto buio e noi continuiamo a correre da un
androne all’altro. Non possiamo starcene al riparo e basta? Guarda le mie
scarpe!
Matteo
lo guardò con aria perplessa. Sembrava eccitato, Dio solo sapeva perché.
Sembrava anche stupito che Marco non lo fosse altrettanto.
-Come
fai a startene al riparo?- disse. -Vuoi passare tutta la vita qui nell’androne?
-No,
ma vorrei andare a casa. Non abbiamo nemmeno finito la birra, e tu sei tutto
bagnato.
-E’
solo acqua. Credi che tutto quello che ci sia là fuori ti uccida?
-Oh,
ma che bella storiella!
-Andiamo
fino all’albero.
Marco
non vedeva nessun albero, ma se Matteo diceva che un albero c’era,
probabilmente era vero.
-Ci
arriverà un fulmine in testa. Aspettiamo che smetta un po’.
-Non
aspetteremo affatto. Potrebbe piovere per sempre, lo sai?
-Ma
non piove mai per sempre! Che discorsi tiri fuori adesso?
-E
tu come fai a dirlo? Io non voglio aspettare qui nell’androne finché smette di
piovere. Potrebbe piovere per una settimana.
Lo
disse, ed era di nuovo fuori, a correre sotto la pioggia. Marco lo seguì prima
che l’oscurità lo ingoiasse. Saltarono le sbarre della recinzione di un
giardino pubblico. Il terreno che saliva all’albero era fradicio e scivoloso.
Pioveva
forte, e l’acqua sgocciolava dappertutto attraverso le foglie.
-Adesso
siamo sotto l’albero- disse Marco. Il cappuccio della giacca di plastica gli si
era appiccicato al collo come una fodera. -Piove anche qui. Non era meglio
stare nell’androne?
-No,
è meglio sotto l’albero. E poi senti.
Matteo
si posò l’indice sulle labbra e Marco fece silenzio.
Non
c’era nessun rumore. Non si sentiva passare nessuna macchina. Non si sentiva lo
sferragliare dei tram. Non si sentiva né un grido, né un fiato. Intorno a loro
c’era solo il battere incessante della pioggia sulle foglie, sul terreno, sui
loro corpi. Su tutte le cose. Era solo acqua, come aveva detto Matteo. Solo pioggia.
Sembrava un applauso lontanissimo.
29 novembre 2007 alle 6:57 am
Devo dirti la verità: sono rimasto un po’ perplesso, forse mi aspettavo succedesse qualcosa, alla fine. Comunque, si legge volentieri, la mano c’è
29 novembre 2007 alle 4:52 pm
Bellissimo secondo me. Potrebbe essere una bella metafora della vita, delle occasioni perdute per paura di esporsi, del conflitto tra timidezza ed espansivita’, l’acqua che cade come il giudizio degli altri, che pero’ ad alcuni scivola via di dosso e cade a terra, ad altri resta attaccato, e questi ultimi si nascondono negli androni…
Molto bello.
Sai che stiamo facendo una raccolta con i racconti del sito? Nel forum ne stiamo discutendo da un po’ ma tu hai iniziato a pubblicare solo da poco… Ti va di partecipare?
30 novembre 2007 alle 12:22 pm
Grazie Andrea, hai speso fin troppe lodi per questo racconto! Posso collegarmi al sito solo durante la pausa pranzo, e purtroppo non ho mai molto tempo per guardare i forum o leggere i racconti degli altri. Una raccolta di storie del sito mi sembra una bella inziativa. Tenterò di capire come funziona e se posso dare una mano in qualche modo lo farò ben volentieri!
30 novembre 2007 alle 2:06 pm
Ok, allora ti contiamo! Non preoccuparti, per ora non devi fare nulla. C’e’ un “comitato editoriale” che leggera’ i tuoi racconti pubblicati qui fino ad ora e ti fara’ sapere dopo Natale
23 giugno 2008 alle 10:51 am
Ciao sono Matteo Ghini , sono alto magro e mi piace camminare sotto la pioggia ……….a chi non piacerebbe !? Comunque complimenti è un bel racconto ” fresco” e “pulito” e “musicale”…Ciao.
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