L’ODE LUNGA DI UN MATTINO D’ESTATE
Pubblicato da Domenico De Ferraro il 9 luglio 2008
L’ODE LUNGA DI UN MATTINO D’ ESTATE
Bruciano i fuochi d’estate sui colli verso oriente.
Mentre l’aura brilla intorno al corpo dell’ antico cantore.
Sogni e versi sparsi di libri celebri affollano la mente
frutto di liriche alchimie , passioni assopite di muse inseguite
da fauni cafoni lungo i grigi vagoni della metropolitana.
Rincorrendo la magia dei giorni , un motivo d’una vecchia canzone cantata
per i vicoli uterini ove mai giunge il sole ad illuminare le disgrazie dei suoi poveri abitanti.
Fermo in bilico sulla sponda d’una strada oltre l’immaginario
dire di politici istrioni , di ministri sinistri ,di ricercatori
di favelle e novelle scritte per far sorridere grandi e piccini
il mare amante della terra e del cielo lambisce le coste dei pensieri oscuri .
Pagine di poesie ,germogli fioriti nel silenzio
in magici meriggi nell’animo del latino lettore.
L’ode lunga di un mattino d’ estate
rincorrendo le farfalle elettriche
lungo l’africo corso delle cose mute.
Non ritrovare più il senso etimologico del comprendere l’immagine aulente
sepolta sotto un salice piangente velante la
disperata amante inchinata sulla tomba del suo compagno.
Il cielo raggiante annunzia l’ apparire degli elleni eroi
l’udire ruggire il coraggio del leone
le costellazioni in armi, il sogno del divin fanciullo
divenir un novo canto d’ amore.
Ripercorrere strade silenziose in compagnia di fiabe e leggende
nel fitto bosco cittadino fatto di cemento e ferro.
Gli orribili occhi d’un orco digrignante i denti.
Volare oltre quel misero orto inseguendo fate ed elfi.
Ogni cosa tace , non lascia scoprire l’arcano mistero
chiuso in seno ad un sofferto canto.
Pianto d’una musa ferita durante il viaggio
intrapreso con l’intera compagnia dei tranelli
mano nella mano andare senza chiedere nulla
mostri e fiere strani incubi picareschi
vortici di parole stregoneschi chiose di verbi arabeschi.
Comprendere l’impossibile , raggirare la sorte
la graziosa favella echeggia nell’aria infetta.
Udire scalpitare destrieri in notte tempestose inseguiti da spettri infuriati.
Finti diritambi ed altre ecloghe dal significato perverso
eclissi di prose nel fondo della clessidra.
Ritornare in seno alla natura arrampicarsi
sugli alberi con l’armi in mano gridare
dalla sommità la libertà conquistata
stringere il corpo di lei musa morente.
Arrampicarsi sulle cupole delle chiese , sul dorso del drago
sui templi dal corpo di sfinge ,riscoprire la beltà di un tempo.
Passando verso una nuova estate , percorrere
l’antro della cumana sibilla , attraversando l’orrore meduseo ,
ascoltare l’onde cullarsi infrangersi sugli scogli
mentre un palombaro scende cantando l’Aida in fondo al mare.
Nulla è amore , armonia se non un fiorire di speranze nel buio.
Soffrire gemere e altre parvenze dello spirito poetico.
Seguire i gesti della madre il suo ricamare rime e altre storie
sul telo ove è impresso il ricordo del suo figliolo defunto
dolce e rammendare, meditando le mendiche spoglie di lui vagabondo per l’ade.
Fuochi sui i colli nel cielo notturno salutano il declinare
del tragico ricordo, si placa il dolore e nel calore di lei madre d’eterne estate ogni cosa diventa men duro,
noi accompagnati da un lieto canto in riva al mare di nostra etade .
18 agosto 2008 alle 16:00
Bello questo esempio di poesia casuale,ricorda un po’ Quenau, anche se, forse, trattiene ancora, inconsapevolmente, traccia di un ordito, un segno.