Nel letame fino al collo,
non mi accorgo del tuo peto,
se non quando viene a galla,
e non sembra sia discreto.
Caro Silvio, ma che puzza!
anche io che son gourmet,
della merda che spandesti
posso dire anno e mese,
posso dire anche il media,
dal qual tal la proponesti,
bene, anch’io che son avvezzo,
ne son quasi soffocato,
da quel vento che promana,
dal meato di Giordana,
per il qual solo è passato,
che già lì, no, non è nato,
forse è sorto dal poeta
che di te cuce peana,
da quel tal innamorato,
da quel Fede inceronato,
o dal viscido Mentana,
che ti fé alibi e scudo
e tu, ingrato, l’esiliasti,
ma per dargli nuova fama,
per rifar l’imene intatto.
Ma da chi, dunque, nacque,
questo peto travolgente,
che fé l’Aquila tremare,
ah, ma certo, fosti tu,
è per ciò che in tua presenza
non si fuma e non c’è fiamma,
ma del “fumus persecutionis”
di cui Craxi fece lamento,
tu ricavi giovamento
e ne trai scusa e momento
per cucirti su misura
anche un Codice Penale.
Non contento, punti l’ano,
stai insidiando il Vaticano,
“Il decalogo non va
non ci sono menzionato!”
Che, rinasce la satira?
Era ora!
Lascio qui come commento
della rima il mio cimento,
che non debban ritenere
noi si debba sol tacere,
ché tacere è un po’ morire,
siano loro a scomparire,
qui dall’itala tenzone,
dov’è savio il più coglione.
Ricordo del Giusti una poesia sull’invenzione della ghigliottina a vapore, che amara ironia.
Certo non le mandi a dire, che bel ritmo, solo sul “fumus persecutioni” s’incaglia un momento.