Venerdì.
Urla e spari nella notte. Sangue ovunque.
Due corpi distesi per terra.
Sabato.
L’infermiera scostò le tende e aprì la finestra per eliminare via il cattivo odore che si respirava nella stanza. Poi, guardò fuori. Una percezione negativa la scosse, rabbrividì. Il cielo plumbeo non prometteva nulla di buono.
Poi, sostituì la flebo al braccio dell’uomo disteso nel letto.
“Dove mi trovo?” le domandò l’uomo frastornato.
“È in ospedale. È giunto qui ieri sera. Non ricorda nulla dell’accaduto?”.
“Vagamente… ho un gran mal di testa…” disse sgranando gli occhi gonfi di sangue.
“È strana la vita… tutti i giornali ne parlano e lei non ricorda nulla di ieri” le rispose l’infermiera scrollando le spalle.
“Ho la mente annebbiata. C’era sangue ovunque…” le disse l’uomo frustrato.
“Comunque, Io… sono qui per lavorare” tagliò corto l’infermiera. Era scioccata. Come poteva un uomo, marito e padre, uccidere a sangue freddo le persone che dice di amare?
Dopo aver sistemato la flebo, l’infermiera andò via.
L’uomo notò due poliziotti sull’uscio che lo piantonavano poi, si voltò verso la finestra. Fissò l’orizzonte e incominciò a piangere.
Matteo era rimasto ion silenzio raggomitolato nel suo letto solo con la sua coscienza. Ciò che lo turbava in quel momento era il senso di vuoto che percepiva dentro di se: “Che mostro sono?”.
La stanza in cui si trovava era fredda, grigia e cupa. Fredda come lo era stato lui in quei pochi attimi. Grigia come la sua vita.
Lo specchio sulla parete di fronte sembrava riflettere l’abisso in cui era precipitato. Forse qualcuno lo aveva messo lì per prendersi gioco di lui. Si sentiva tradito. Tutta colpa della società che lo aveva abbandonato. Voleva solo più tempo ma le banche prima e gli strozzini dopo chiedevano quello che spettava loro che non poteva dare. Senza lavoro (la sua azienda era fallita), aveva accumulato solo debiti: illuso dai facili guadagni, aveva dissipato tutto il suo patrimonio. Ripensava continuamente alle parole di sua moglie: “Quel Sandro, è un opportunista… lascialo perdere… abbiamo il mutuo da pagare e un figlio da crescere. Non pensi a Marco? Vuoi rischiare i pochi soldi che abbiamo. Perderemo tutto… credimi…”. Non le aveva dato retta.
La sera in cui agì, l’oscurità si impadronì del suo cuore lasciandolo solo con il suo rancore. Sembrò suggerirgli una via di fuga: “Un rimedio c’è… farla finita…”.
“E la mia famiglia? Cosa ne sarà di loro?”.
“Uccidi anche loro…”.
Le fiamme dell’Inferno erano già pronte ad accoglierlo ma qualcosa andò storto.
Il ricordo improvviso di quella sera lo riportò alla realtà. Due volti insanguinati apparvero riflessi nello specchio. Non riuscì a trattenersi: vomitò l’anima.
Il giorno volgeva al tramonto lasciando Matteo solo con la sua colpa.
“Ti senti meglio adesso?” le sussurrò quella voce ormai così familiare che riecheggiava nell’oscurità della stanza in tutta la sua arroganza.
“Svuotato”, le disse Matteo sospirando, “Quel senso di leggerezza è già svanito. Mi è bastato premere quel maledetto grilletto e la mia vita è cambiata in un istante. Ho toccato il fondo. Mi avevi promesso che mi sarei sentito meglio… non è così… sto male… e tu sei una gran bugiarda. Ti presenti la sera in punta di piedi e pretendi che ti dia ascolto. Che stupido che sono… vattene via immediatamente…”.
“Sei un idiota! Ancora non capisci… con un buon avvocato ti riconosceranno l’infermità mentale e sarai fuori dopo qualche anno”.
“E una volta fuori che farò? Per la società… per le persone sarò sempre un assassino!” urlò con tutta la sua rabbia tutta la sua rabbia. Seguì un lungo silenzio.
La stanza si illuminò al passaggio di un auto. Gli parve di vedere qualcuno aggirarsi nella stanza e di sentire piangere. Poi, ebbe l’impressione che due mani lo strappassero via dal suo letto ma non c’era nessuno. Il senso di colpa lo tormentava. Avvertiva un vuoto incolmabile.
“Avevi ragione, Sonia! Ma mi vergognavo di me” disse l’uomo con le lacrime agli occhi.
Raggiunse tremante la finestra e l’aprì. Respirò profondamente prima di lasciarsi cadere.