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La città era piena di questi volantini da un mese.
La pubblicità era ovunque. Sui muri della metropolitana. Appesi alle vetrine dei negozi. La televisione e i giornali erano un martello quotidiano e la gente per strada, a casa, in ufficio, ne parlava prima ancora che l’EM25 venisse commercializzato.
A scuola, tra i ragazzi, era l’oggetto di discussione e vanto per chi ce l’aveva. Io non ero tra i fortunati. I miei genitori erano contrari perché pensavano che il nuovo smartphone potesse distrarmi dallo studio. Maledizione lo studio! Era il loro cruccio! Studio, studio, e ancora studio! Non ne potevo più di loro… studiare mi annoiava a morte.
Quella mattina Zachary, il mio migliore amico, l’aveva portato a scuola. I suoi genitori (non erano paranoici come i miei) glielo avevano comprato il giorno stesso dell’uscita. Anzi, ogni settimana, aveva qualcosa di nuovo da esibire in classe. Lo invidiavo abbastanza perché dovevo sudare sette camicie per ottenere qualcosa dai miei genitori. Per questo ero sempre in trincea con loro! “È per il tuo bene”, mi ripetevano ogni volta che mi presentavo con delle richieste che ritenevano “incompatibili con il loro portafoglio”. Ero l’unico della mia classe a non avere ancora comprato l’EM25. Rabbia e invidia!
Al peggio non c’era mai fine… anche quel poveraccio di Albert aveva comprato l’EM25 e in classe con gli occhi lucidi lo mostrava orgoglioso come fosse un trofeo: non avevo provato così tanta vergogna come quel giorno! Come era possibile? Suo padre era da poco stato licenziato e sua madre era una casalinga disperata. Ero avvilito.
Nel pomeriggio mi dovevo incontrare con la mia ragazza, Julia che al telefono mi accennò di una sorpresa. Ero curioso, Julia era solita essere un libro aperto ma quel giorno non fece trapelare nulla. I suoi genitori, due tipi all’antica, non volevano che facesse tardi. L’appuntamento era fissato per le 17.00, all’ingresso del Parco dei Tulipani.
Come al solito, ero in perfetto orario. C’era un via vai di gente all’ingresso del parco ma di Julia nemmeno l’ombra. Inviperito, guardavo l’orologio del campanile della Congregazione dei Frati Cappuccini: erano ormai le sette del pomeriggio. Il vento incominciava a soffiare più forte mentre il cielo diventava plumbeo. Strinsi le spalle per l’aria gelida mentre all’orizzonte, lampi e tuoni squarciavano il cielo a metà. Ormai tremavo per il freddo (il giaccone non mi scaldava abbastanza) e temevo che potesse piovere da un momento all’altro. Alla radio, l’esperto parlava dell’imminente arrivo di una tromba d’aria che avrebbe provocato disordini in città e il sindaco Miller consigliava di rientrare a casa il prima possibile e di non uscire fino al mattino dopo, causa disordini e incolumità. Speravo che Julia arrivasse il prima possibile per poterci riparare in qualche bar dalla tempesta in arrivo e stare un pò al caldo.
Intanto, l’oscurità calante avvolgeva come un mantello i palazzi intorno al parco. Il semaforo all’incrocio era fuori servizio.
Il traffico era in tilt. L’addetto alla sicurezza, un uomo alto e grosso, invitava gli automobilisti alla calma. Quella che io stavo per perdere perché Julia era in ritardo ma quando la vidi arrivare con la sua solita camminata sdolcinata e lo sguardo spensierato, l’abbracciai e la baciai senza dirle nulla al riguardo: non ero mai stato così felice di vederla!
“Ciao, e scusa il ritardo.” Arrossì, nonostante il freddo.
“Ciao, Julia”, le risposi stizzoso, “Perché eri così euforica al telefono? Cosa volevi mostrarmi di così tanto importante da sfidare la bufera?” le domandai corrucciato.
“Andiamo in un bar, al caldo. Ti devo mostrare una cosa” mi rispose accarezzandomi il viso.
Entrammo nel bar di Nick, un amico di scuola di mio padre e ordinammo qualcosa da bere e sgranocchiare. Julia aprì la sua borsa mostrandomi il suo trofeo: l’EM25 Enterprise.
“È una congiura contro di me! Gli astri e le forze dell’Universo si sono rivoltate contro di me! Anche tu l’hai comprato, Julia? È ufficiale: sono uno sfigato…”. Un velo di tristezza calò sul mio viso.
“Non è vero”, Julia mi afferrò la mano e l’accarezzò, “È come se fosse tuo…”, mi disse tutta raggiante. Poi mi mostrò L’EM25 ancora nella sua confezione originale.
“È uno smartphone fantastico!”.
“Non l’ho ancora provato, volevo farlo insieme a te” mi disse per tirarmi su di morale.
Lo scartai dalla sua confezione sgranando gli occhi: aveva una cover bianca che lo rendevano davvero chic. Poi era sottile e leggero come una piuma e le rifiniture erano perfette.
Prima novità: era stato costruito nella nuova lega, la X10, estratta dalle miniere di Prometeo, un satellite di Saturno. Era la nuova fonte di ricchezza della New Metal Corporation la società fondata e guidata dal Dr. Martinez, il padre di Zachary. Grazie alla sua scoperta e alle sue proprietà metalliche, per le quali la dr.ssa Gabrielle Singer, nonché madre di Zachary, venne insignita del premio Nobel per la chimica, la lega X10 era così leggera e indistruttibile da essere utilizzata anche in campo militare per la fabbricazione di tute protettive: grazie alla sua grande plasticità aderiva perfettamente al corpo come fosse una seconda pelle.
Lo accesi immediatamente e non vedevo l’ora di provarlo.
La seconda novità: al posto del PIN veniva richiesto il riconoscimento dell’impronta oculare e per poter proseguire dovevo provvedere immediatamente.
“Fantastico!” esclamai sbigottito. Poi puntai lo smartphone verso Julia per visualizzare l’immagine del suo volto sul display. “Ok!” esclamai euforico.
Poi, cliccai sull’icona a forma di astronave. Era la terza novità: il teletrasporto. Già, l’EM25 Enterprise ti permetteva di teletrasportati da un posto all’altro semplicemente accedendo all’applicazione Enterprise versione 1.0 scaricabile dal sito della compagnia telefonica Enterprise 3000. L’applicazione richiedeva le coordinate del luogo di destinazione.
Mentre Julia e io, leggevamo il manuale delle istruzioni, qualcuno che ci osservava in silenzio mi diede una pacca sulle spalle. Mi voltai e con grande stupore mi accorsi che era il mio amico Zachary.
“Che fate ragazzi?”
“Cerchiamo di capire il funzionamento dell’EM25…”, gli risposi indaffarato, “tu l’hai già provato?”
“Non ancora. Possiamo farlo insieme…”
“Si…”
Eravamo curiosi di provare la funzione del teletrasporto ma anche impauriti. Come quando ci si trova di fronte all’ignoto e non sai come comportarti perché ti trovi in una situazione che non conosci.
“Hai in mente un luogo preciso dove testarlo, Zachary?”
“Seguitemi…”
Pagammo il conto e lasciammo il bar in tutta fretta.
Raggiungemmo la metropolitana di corsa per non bagnarci: destinazione la periferia della città al riparo da occhi indiscreti.
Al termine della corsa uscimmo dalla metropolitana e ci dirigemmo verso un luogo poco frequentato dalla gente. Le serrande dei negozi erano abbassate. La strada era disastrata. L’insegna della tabaccheria sull’isolato di fronte lampeggiava a intermittenza.
Nonostante, avesse smesso di piovere, la serata, ancora gelida, non prometteva niente di buono. Prendemmo una stradina secondaria piena di buche e dopo circa due chilometri ci condusse in un vicolo cieco. La luce fioca del lampione lasciava il vicolo in penombra. Mi voltai verso Julia e Zachary: i loro sguardi brillavano nell’oscurità.
“Allora, chi vuole provare il teletrasporto?” domandai eccitato. Volevo essere il primo a farlo ma Zachary non me l’avrebbe permesso. Alla fine, tirammo a sorte.
“Tocca a me Kyle…”, disse Zachary sorridente. Poi mi strappò lo smartphone dalle mani.
“Il solito fortunato…”, risposi rammaricato.
“Calma, ragazzi. Non litigate”, ci interruppe Julia cercando di fare da paciere tra i due.
Zachary inserì le coordinate di casa sua e prima di scomparire davanti ai nostri occhi increduli ci salutò: “Ciao ragazzi, ci vediamo a casa dai miei. E… non fate tardi” disse strizzandomi l’occhio.
Rimanemmo in silenzio e inebetiti per un po’ di tempo prima che una goccia di pioggia mi scivolasse lungo il viso e il rumore delle campane di una vecchia chiesa nelle vicinanze ci riportò alla realtà.
“Andiamo Kyle, è tardi, i miei saranno in pensiero.” Julia era scura in volto perché aveva sforato il suo coprifuoco. I genitori, severi, l’avrebbero messa in punizione.
Pioveva e tuonava, non c’era campo, rinunciammo al teletrasporto dirigendoci a passo svelto verso la fermata degli autobus più vicina.
Il giorno dopo scoprimmo, sconcertati, che Zachary non era rientrato a casa. Rimanemmo basiti quando scoprimmo che L’EM25 aveva dei difetti di fabbricazione. E il software richiedeva un aggiornamento per il corretto funzionamento del teletrasporto, rilasciato solo alcuni giorni più tardi.
Due giorni dopo quella sera, la polizia locale aveva fatto una scoperta raccapricciante. Grazie alla segnalazione di un passante, gli agenti di polizia avevano ritrovato il corpo di un ragazzo nel vicolo laterale vicino casa di Zachary. Il passante era uscito di casa per buttare la spazzatura nel cassonetto posto dai netturbini nel vicolo e si era accorto che c’era qualcosa di grosso e immobile vicino al cassonetto. In un primo momento aveva pensato a un cane randagio che stava rovistando tra i rifiuti in cerca di qualcosa da mangiare. Avvicinatosi, si era accorto che erano i resti, quasi irriconoscibili, di un uomo. Era completamente carbonizzato e il suo volto era tumefatto. La pelle era fusa con la carne e i vestiti. In mano stringeva un oggetto metallico scampato al rogo che brillava alla luce del sole. L’analisi dell’impronta dentale aveva rivelato l’identità della vittima: si trattava di Zachary. Ancora adesso ho i brividi al solo pensiero che potevo esserci io al suo posto. Mi duole ammetterlo, per una volta nella vita, la fortuna non mi aveva voltato le spalle. Anzi era stata così generosa con me!

Il giorno dopo assistevo con lo sguardo cinereo al funerale di Zachary. Sedevo nell’ultima fila, in disparte, lontano dagli sguardi dei suoi genitori. Loro erano visibilmente provati per la morte del figlio. Non mi hanno mai accettato e dai loro sguardi capivo che mi odiavano fino a detestarmi perché non approvavano la nostra amicizia: appartenevo alla classe operaia, gli ultimi nella scala gerarchica.
Grazie alle loro conoscenze, fu indetto il lutto cittadino per tutta la settimana anche se i riflettori sulla vicenda si spensero nel giro di qualche giorno e la vita, nella mia piccola città, ritornò alla normalità.

Autore: jolly76

Sono nato a Bari. Amo leggere libri di ogni genere. Amo scrivere... Accetto le critiche...

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