Mentre cammino, la ruspa è già al lavoro e il traffico è in tilt per via dei lavori di manutenzione all’asfalto stradale.
Le bottiglie di birra vuote lasciate sulle panchine o ai margini del marciapiede. Ci penserà l’operatore ecologico a pulire.
La spazzatura fuoriesce dai bidoni stracolmi. Pochi, sporchi e alcuni bruciati.
Sul marciapiede ci sono tracce di urina e di escrementi di cane lasciati da qualche padrone disattento o maleducato. Mozziconi di sigarette sono un po’ ovunque. Ormai non si usano più i posaceneri e le sigarette non si spengono anzi si lanciano dai balconi incuranti dei passanti.
Ricordo ancora gli anni ottanta quando le strade non presentavano buche e la città era pulita.
Scuoto la testa sconsolato.
- Che tristezza!
Accelero il passo e raggiungo il mio ufficio disgustato da quell’orrore.
Quanto mi mancano i vecchi tempi e le persone di un tempo! Sospiro mentre una piccola nuvola del mio respiro aleggia nell’aria gelida di novembre. Mi stringo nelle spalle per proteggermi dal freddo.
- Ma in che mondo viviamo oggi? E i giovani… come si vestono… e come si pettinano… ne vogliamo parlare?
Sono avvilito.
Entro. Un flebile sorriso compare sulle mie labbra.
- Finalmente un po’ di ordine! Non ne potevo più del caos.
Le finestre sono aperte e l’aria fresca pervade la stanza del 12° piano. Tiro un respiro profondo che mi riempie i polmoni. Mi sento così leggero… il cielo è sgombero dalle nuvole come la mia mente bistrattata…
Mi avvicino alla scrivania e strofino l’indice destro contro la superficie dello scrittoio. Noto con piacere che non c’è un granello di polvere.
- Anche questa volta, Cristina ha svolto un ottimo lavoro.
Mi siedo e sorrido compiaciuto. Osservo ogni angolo della stanza. Ogni cosa è al suo posto. I quadri sono perfettamente allineati. L’argenteria brilla alla luce del sole. Il pavimento è lucido e mi ci posso specchiare, le finestre non presentano impronte e aloni. Le pareti sono bianche come il latte. Le due sedie di fronte alla mia scrivania sono disposte simmetricamente.
Fuori, ora, la ruspa è ferma e gli operai si preparano a smobilitare. La strada è pronta e nel mio ufficio regna il silenzio. Ci vuole un brindisi. Afferro la bottiglia di champagne dall’armadietto dietro alle mie spalle e riempio un bicchiere. Cin cin…
Mi guardo allo specchio sulla mia destra, non ho neanche un pelo fuori posto, inarco le sopracciglia soddisfatto.
Prendo carta e penna e scarabocchio qualcosa su un foglio di carta ma la scaletta del mio romanzo non mi piace. Accartoccio il foglio di carta e lo lancio con disprezzo cercando di centrare il cestino nell’angolo vicino alla porta. Seguo la traettoria con gli occhi ma la pallina di carta sbatte sul bordo del cestino e cade per terra. Un brivido mi scuote.
Non mi alzo per prenderla, lo farò dopo.
Passa un quarto d’ora ma il foglio di carta resta bianco. Quella pallina di carta mi distrae dal lavoro.
Nel frattempo una vocina nella testa mi sussurra: – Su, Stefano… prendimi…
Ma decido di ignorarla.
Abbasso lo sguardo verso il foglio di carta ancora in bianco e poi lo alzo di nuovo. Lo abbasso e lo alzo per dieci minuti. La pallina di carta è sempre lì che mi turba. Non mi sposto di un millimetro dalla mia posizione.
La vocina continua a tamburellare nella mia testa più insistente cercando di dissuadermi dal mio intento ma resisto.
Chiudo gli occhi per rilassarmi, sospiro, ma l’ispirazione non arriva.
- Bastarda di una pallina di carta! Sei tu che mi distrai!
E le punto l’indice della mano destra in segno di sfida.
La pallina è immobile accanto al cestino, indifferente; un secondo dopo le urlo contro la mia rabbia repressa: – Vai all’Inferno!
Le lancio addosso la penna stilografica che la sfiore appena e si conficca nella parete di cartongesso. Parte il mio turpiloquio: – Cosa hai combinato, stronza! Adesso mi toccherà chiamare l’operaio per ripristinare il muro.
Scrollo le spalle che mi sembrano più pesanti del solito. Sbuffo.
Toc Toc… qualcuno bussa alla porta. Trasalisco…
- Avanti!
È Giorgia, la mia segretaria: – Ho sentito dei rumori provenire dal suo ufficio, Dr. De Marinis. Va tutto bene? Mi domanda con sospetto.
Prima di mandarla via, la fulmino con lo sguardo.
- Si, Giorgia. Vada… vada… adesso…
Giorgia alza i tacchi e va via lasciandomi solo con il mio rompicapo sbuffando. Torniamo a noi, piccola bastarda…
Mi alzo dalla sedia e passeggio avantii e indietro per la stanza. Ogni tanto mi affaccio alla finestra. Respiro profondamente e l’aria fresca pervade le mie narici e per un attimo mi dimentico del problema ma è solo utopia.
Poi mi volto e la pallina di carta è ancora lì che aspetta. La vocina nella mia testa insiste sempre più forte tanto da riecheggiare nel silenzio della stanza. È una sensazione mai provata prima. Sento un formicolio alle gambe. Batto i piedi per terra ma il formicolio non passa. Il battito accelera e le mani mi sudano. Puzzano di un odore sgradevole.
L’emicrania è insopportabile e la mente si annebbia. Mi fischiano le orecchie. Adesso, sudo freddo e ho i brividi. Gli occhi sono arrossati e gonfi e ho un nodo in gola. Con difficolta deglutisco. Il panico mi assale. Scuoto e stringo la testa tra le mani per non sentire più quella vocina insolente ma è inutile.
- Stai zitta!
Urlo contro la pallina di carta a gran voce ma lei è li che mi mostra il suo ghigno beffardo. Si fa gioco di me, la stronza!
- Ora ti faccio vedere io di cosa sono capace!
Con uno scatto repentino, raggiungo la scrivania, afferro il tagliacarte e me lo conficco nell’orecchio. Di colpo, il brusio nella mia testa finisce e il silenzio pervade la stanza: – Non ne potevo più!.
Mentre l’oscurità mi abbraccia, una goccia di sangue bagna il pavimento macchiandolo.
- Al diavolo!
Un ghigno compare sulle mie labbra mentre il mio sguardo si spegne per sempre.
Una piccola ossessione
7 ottobre 2015 | 0 Commenti