Racconto – Trocadero Club
Pubblicato da kiwi65 il 3 ottobre 2007
Eccoti qua. Come tutte le sere, sei pronta per uscire. Un paio di scarpe basse rosse, con un fiorellino giallo sul davanti. Un vestito celeste a fiori, con la gonna corta, un piccolo spacco su una gamba. Tua madre non ti chiede niente. Sa che esci, ma c’è una sorta di accordo: non voglio sapere nulla, cosi’ non ti devo chiedere conto di nulla. L’unica cosa che vuole è un sorriso, lanciato dalla porta, prima di chiuderla alle tue spalle. Eccoti qua. Pilar. Con la sfrontatezza dei tuoi quindici anni, il sorriso e la voglia di ingoiare il mondo in un sol boccone. Corri e ridi, ridi e corri. C’è un’altra notte da passare a regalare illusioni. Che fila al Trocadero Club per entrare. Ma qui ti conoscono. Tuo cugino fa il buttafuori e con uno stratagemma sei dentro anche stasera. La lattina di Tropicola ti gela le mani, mentre guardi distrattamente la pista, dove i ballerini di merengue si muovono al ritmo travolgente della musica. Quanta gente felice al Trocadero Club. C’è il vecchio cameriere impomatato, con la sua giacca bianca, stretta e consunta da migliaia di serate di lavoro. Le movenze non sono più quelle di una volta, ma la gentilezza e il mestiere si. C’è il trombettista del gruppo che guarda il sedere delle coriste. I turisti, seduti ai tavoli, si guardano intorno, cercando compagnia. Che buffi, pensa Pilar. Pensano di darsi un tono fumando un Montecristo dietro l’altro e scolando bottiglie di Havana Club. Ma e’ ora di darsi da fare. “Italiano. Quieres bailar con migo?”. Il piccolo italiano pelato e ciccione si alza e stringe Pilar a se con forza, facendole male. Ma lei sorride e lo porta in pista. Non importa se lui le infila le mani dappertutto. A Pilar piace ballare. Si sente leggera leggera. E pensa a quando da piccola sentiva la radio nella baracca con i suoi fratelli e ballava, ballava. “Andiamo?” fa a muso duro il ciccione. Perché no? Si va. La camera è vicino al locale. Si fa presto. Il ciccione non vuole aspettare. Pilar lo spinge sul letto. “Italiano, calmo”. L’ultimo le ha strappato il vestito e per tornare a casa ha dovuto farsene prestare uno dalla sua amica Teresita. Si spoglia piano, posando dolcemente il vestito su una sedia e mettendo sotto le scarpe rosse. Poi si sdraia e chiude gli occhi, cercando di immaginare il suo Pedro al posto del ciccione. “Puttana. Tutta colpa tua!”. Un ceffone. Poi un altro. Poi una grandine. Lei si chiude a riccio e piagnucola. “No italiano no!”. Lui non la smette. “Vuoi i soldi? Eccoli.” Il ciccione glieli infila in bocca, fino quasi a strozzarla. Poi si riveste e se ne va. Eccoti qua, Pilar. Come tutte le sere, sei sulla strada di casa. Un paio di scarpe basse rosse, con un fiorellino giallo sul davanti. Un vestito celeste a fiori, con la gonna corta, un piccolo spacco su una gamba. La faccia tumefatta e gli occhi pieni di lacrime. Nella mano destra trenta dollari. In testa una malinconica salsa. Che fatica tornare stasera, da Varadero.
5 ottobre 2007 alle 7:08 am
Incisivo, come al solito. L’immagine di Pilar che si spoglia e mette le sue cose bene in ordine dice una quantità di cose che non sarebbe entrata neanche in trenta pagine
16 ottobre 2007 alle 2:46 pm
anche se molto verosimile traspare il tentativo di renderlo autentico in alcuni tratti l’obiettivo è raggiunto…
18 ottobre 2007 alle 9:21 am
Quando vuoi dire qualcosa, attraverso i tuoi racconti, lo fai senza tanti giri di parole. Mi piace, sei diretto ed eviti tanti fronzoli inutili.