Pensieri e racconti – Brandelli di vita dal pianeta morente

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      Aereoporto di Fiumicino. Ottobre 2006. Un uomo sta scegliendo delle riviste che gli consentiranno di passare un'oretta prima di partire per Catania. Al momento di prendere il solito settimanale, decide di comprare un block-note ed una penna. Si siede, mette i Subsonica in cuffia e inizia a scrivere. Riempie il blocco in poco più di mezz'ora. Da allora, non ha mai smesso di scrivere. Neanche in questo momento. Un abbraccio a Paolo, che era con me in quel viaggio e che ora è in viaggio, per non so dove. Per sempre.

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Limone e cioccolato

Pubblicato da kiwi65 il 9 febbraio 2008

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Quanto ci vuole per percorrere cento metri?


La figlia di Giacinto abita a pochi isolati di distanza da lui. Eppure, cento metri tra la casa di un anziano solo e quella di sua figlia possono diventare dieci chilometri. Una famiglia di quattro persone ti mangia tutto il tempo possibile. Si sa come vanno queste cose. Alla fine, non ci si vede mai.


Quando poi arriva l’estate e sua figlia parte con tutta la famiglia per le vacanze Giacinto smette anche di dormire. La sua solitudine si dilata. Giornate caldissime e notti afose.


La sua Clara ormai da dieci anni è in viaggio. Giacinto la immagina così Clara. In viaggio, in giro per il mondo, a vedere quei posti che le sarebbe sempre piaciuto vedere ma che non ha mai potuto vedere. In Egitto, sotto le piramidi. Oppure a Parigi, seduta sul prato sotto la Torre Eiffel. Beata lei. Sempre in viaggio.


Giacinto ha deciso di non uscire di casa per tutto il giorno, almeno per quelle tre settimane nelle quali Antonella è in vacanza. Esce solo il pomeriggio tardi, quando l’asfalto rimanda solo un tenue calore e c’è quel bel venticello che ti rinfresca la faccia. Va al centro commerciale. Un posto bellissimo, dove c’è un gran bel fresco e c’è tanta gente allegra, tanti ragazzi abbronzati che scherzano e ridono. Lì c’è una bella panchina verde, vicino ad un’aiuola finta. A parte Giacinto e qualche suo coetaneo, le panchine non le usa più nessuno. Tanto che i gestori di un fast-food, che si trova davanti alle panchine, hanno pensato bene di occuparne mezza con la statua di un pupazzo giallo e rosso, gli stessi colori dell’insegna. Il pupazzo siede mollemente sulla panchina, con il sorriso ebete e la mano sinistra allungata sulla spalliera, come ad aspettare qualcuno che si sieda a fianco e che condivida la fatica di sembrare felice tutto il giorno e tutta la notte.


Qualche volta Giacinto si siede a fianco al pupazzo, per  sentire l’illusione che quella statua voglia cingergli le spalle e avvicinare il suo viso al suo, per raccontagli qualcosa di inconfessabile, come fanno gli amici. Anche solo per commentare qualche minigonna un po’ troppo corta.


Alle sei e mezza, puntuale, Giacinto va al chioschetto dei gelati e si prende un cono al limone. A lui piacerebbe limone e cioccolato, ma ha smesso di prendere i due gusti insieme quando due ragazzi seduti ad un tavolo vicino, per farsi notare da due ragazze che li guardavano, l’avevano apostrofato brutalmente.


Vecchio rimbambito! Che fai? Limone e cioccolato? Che schifo!  


Anche se il gestore del chiosco l’aveva mandati via a male parole, Giacinto aveva deciso che da quel momento in poi l’accostamento lo avrebbe fatto comunque, ma a modo suo. Un giorno limone, l’altro cioccolato.


Dopo aver letto il quotidiano che il padrone del chiosco dei gelati conserva per lui fino alla sera, Giacinto si avvia verso casa. Alle otto c’è il telegiornale e quello è un appuntamento al quale non sarebbe mancato per nulla al mondo. Una volta, prima del telegiornale davano le previsioni del tempo. Ora non più. Come se a nessuno interessasse più sapere che tempo fa il giorno dopo. A pensarci bene, cosa volete che interessi a chi si deve comunque alzare per portare i figli a scuola e andare a lavorare di corsa se piove o no?


Giacinto si prepara la sua cena. Un po’ di brodo, una scatoletta, un po’ di frutta. Le sue finanze non gli consentono di riempirsi lo stomaco come vorrebbe. Cosi’ qualche sera si fa un po’ di brodo in più, per zittire quel brontolio fastidioso.


Un sonnellino sulla poltrona. Poi, verso le undici, comincia la lunga attesa del mattino. Giacinto ha imparato a riconoscere tutti i rumori della notte. Il rumore della macchina del figlio di Assunta, che torna la notte con lo stereo altissimo e lo spegne prima di imboccare la via che lo porta a casa, nell’appartamento sotto al suo. Il rumore del treno, che si sente in lontananza passare, verso le tre. Infine il fracasso infernale del camion della spazzatura, che annuncia la fine della notte, verso le sei di mattina.


Giacinto la notte la passa sulla sua poltrona. Ogni tanto fa un sonnellino, di qualche minuto. Il resto del tempo lo passa guardando un po’ la televisione e leggendo. Soprattutto leggendo. E’ un divoratore di libri, giornali, riviste. Qualsiasi manufatto in carta contenente delle parole scritte lo incuriosisce e lo attira verso la scoperta e la lettura. Libri ne ha tantissimi e li ha letti tutti. Ogni tanto qualcuno gliene regala uno e lo rende l’uomo più felice del mondo. Adora i libri di fantascienza.


Ma quello che si ritrova a leggere più spesso sono le riviste usate, che gli altri inquilini del palazzo, ben conoscendo le sue abitudini, gli regalano a pacchi.


Cosi’ il suo salotto è diventato una specie di edicola di riviste usate, che lui ordina per data, meticolosamente. Una volta lette e rilette, le impacchetta per bene e le porta alla raccolta della carta.


Sonia è la sua vicina di casa. Abita sul suo stesso pianerottolo. Una donna russa, sulla sessantina. Fa la badante ad una donna immobilizzata. Esce tutte i pomeriggi verso le cinque e torna la mattina, appena dopo il camion della spazzatura. E’ una donna grande e grossa. Di una bellezza di quelle di una volta. Si vede che nella vita non ha mai fatto diete, né ginnastica.


Una donna sana, come erano sane le donne della sua infanzia e come era sana la sua Clara.


Un sorriso cortese e dei modi spicci. Poi, quell’italiano stentato, quel dare del tu a tutti, che la rende ancora più particolare.


Giacinto, tutti i giorni alle cinque e tutte le mattine alle sei si affaccia alla finestra della cucina e guarda in strada, per vederla.


Lei, che ormai lo sa, alza gli occhi verdi verso la finestra. E attende il suo immutabile “Buongiorno Sonia” o “Buon lavoro, Sonia”.


Certo, lei invece aveva tutta un’altra mentalità. E’ capitato qualche volta che Giacinto sia andato di malincuore a bussare alla sua porta. Una volta, ad esempio, era rimasto senza riviste. Conoscendo le abitudini di Sonia, ha aspettato pazientemente che arrivasse mezzogiorno per bussare alla sua porta.


Lei gli ha aperto ed era in camicia da notte.


Giacinto! Come stai? Che succede?


Giacinto snocciolò d’un fiato la frase che si era preparato dalla mattina.


Buongiorno Sonia. La prego di scusarmi se la disturbo a quest’ora. Volevo chiederle, se per lei non è troppo disturbo, se per caso aveva delle vecchie riviste che non le servono più. Sa, io la notte la passo a leggere e…


Si che ce l’ho. Vieni dentro, siediti. Te le prendo.” fece lei, facendosi da parte sulla porta per farlo entrare.


Grazie. Lei è molto gentile, come sempre. Preferirei rimanere qui sulla porta, se non le dispiace.


Ma vieni dentro, Giacinto! Che fai su porta?


La prego, non voglio crearle disturbo. Aspetto qui.


Figuriamoci! Entrare in casa di una donna sola. Per di più in camicia da notte! Che avrebbero pensato i vicini? 


Poi lui era comunque un uomo sposato. O almeno, si riteneva ancora tale. Perché Clara era in viaggio e prima o poi sarebbe tornata. E come le avrebbe potuto spiegare che aveva bussato a mezzogiorno a casa di Sonia? E che lei gli aveva aperto in camicia da notte? E che lui, con la scusa delle riviste, era entrato in casa sua? Clara gli avrebbe mai creduto?


Quella mattina, successe che Sonia, rientrando, non vide Giacinto alla finestra, per la prima volta dopo mesi e mesi. Le ritornò in mente che tempo addietro si era sentito male, per uno sbalzo di pressione.


Non perse tempo e salì di corsa le scale. Bussò alla sua porta.


Giacinto le aprì. Aveva una faccia cerulea e un soffio di voce. Parlava a tratti e faticava a respirare.


“Buongiorno Sonia. Mi scusi se non l’ho salutata prima… ma non mi sento molto bene oggi…  sono rimasto in poltrona… non ce la faccio neanche a stare in piedi.”


Lei non perse tempo.


“Giacinto, mettiti seduto che ti misuro pressione” e mentre gli diceva cosi’ gli prese le mani e lo fece sedere sulla poltrona. Poi estrasse rapidamente l’apparecchio per misurare la pressione dalla borsa.


Che mani calde, aveva Sonia. A Giacinto le vennero in mente le mani di Clara.


Settanta-novanta disse Sonia, togliendosi lo stetoscopio.


Prendi medicine per pressione? chiese preoccupata.


No… il dottore mi ha detto che non mi servono ancora…”


Giacinto fece una pausa più lunga e riprese fiato.


“Le posso chiedere una cortesia, lei che è così gentile… mi dà una mano ad alzarmi… mi preparo un caffè ben zuccherato e mi sentirò meglio…


Ma cosa ti prepari caffè! lo rimproverò Sonia. “Io ti preparo caffè! Tu stai su poltona e non ti muovere!


Giacinto, un po’ perché era parecchio tempo che non veniva rimproverato da qualcuno, un po’ perché non sapeva che cosa dire, se ne stette zitto e buono.


Dopo qualche minuto e una bella dose di caffeina e zucchero, aveva ripreso la voce ed il colore.


“Sonia, non so come ringraziarla. Mi scusi ancora se le ho fatto perdere tutto questo tempo. So che lei è stanca e deve riposare. Mi scusi ancora


“Ma stai scherzando? Stai bene adesso? Sicuro?”


“Si. Sto bene adesso.”


“Dopo torno a vedere se stai bene.”


Fu così che quella mattina, rivide Sonia per ben due volte. E lei tutte e due le volte rimase a chiacchierare con lui  per qualche minuto, per vedere che effettivamente stesse bene e non si nascondesse dietro alla sua timidezza e alla sua gentilezza.


Giacinto riprese il suo ritmo normale e la sua routine giornaliera.


Qualche giorno dopo, a mezzogiorno in punto, bussò alla porta di Sonia.


“Giacinto! Stai bene? Tutto a posto?”


“Buongiorno Sonia. Sto benissimo, grazie.”


“Ti serve qualcosa?”


Giacinto prese fiato e disse tutto quello che doveva dire a raffica. E se qualche vicino avesse sentito, pazienza.


“Sonia, io sono in debito con lei. Sarei molto felice di poterla invitare a pranzo. Oggi.”


Sonia rimase qualche secondo in silenzio, cercando di metabolizzare rapidamente quello che aveva appena sentito.


“Giacinto! Ma… certo. Certo. Vengo a pranzo a casa tua!” disse alla fine sorridendo. “Dammi solo qualche minuto e vengo da te.”


Giacinto tornò a casa sua e dopo venti, interminabili, eterni, stramaledetti minuti, sentì bussare.


Giacinto non dovette precipitarsi. Era già in piedi dietro alla porta. Aprì.


Un bel vestito celeste. Un paio di orecchini vistosi, che incorniciavano il viso bianco e rosso. Le labbra lucide di un rossetto appariscente rimandavano un sorriso da togliere il fiato. Giacinto la riconobbe solo dopo qualche secondo.


Clara era in viaggio. Quando sarebbe tornata, lo avrebbe perdonato.


“Posso entrare?”


“Si. Si. Certo!” fece Giacinto, imbarazzato.


Nel soggiorno, il tavolo era apparecchiato in modo impeccabile. Non c’era neanche una rivista in giro.


“Si accomodi, la prego.” disse lui, indicandole la sua poltrona. “La pasta è quasi cotta”


Lei si sedette e lui sparì in cucina. Dopo un minuto, riemerse con aria soddisfatta e andò verso di lei.


“Sonia, mi perdonerà. Non vorrei sembrarle sfacciato. Mi sono permesso…”


Giacinto porse un bel mazzo di fiori di campo a Sonia, che ringraziò imbarazzata.


“Anche io ho qualcosa” disse lei, infilando le mani nella borsa.


Estrasse una piccola busta bianca e la diede a Giacinto.


La faccia di Giacinto passò dal bianco, al rosa, al rosso in pochi secondi.


“Grazie. Santo cielo! Grazie, non si doveva disturbare! Lei è troppo gentile!”


L’imbarazzo lasciò presto il posto alla curiosità.


“Posso aprire?”


“Però mi prometti una cosa” rispose lei, con aria di sfida.


“Che cosa?”


“Basta dare lei. Lei. Lei. Sonia e basta.”


“Va bene. Sonia e basta.”


Giacinto sorrise ed estrasse un pacchettino dalla busta bianca. Una piccola confezione di gelato sciolto.


Due gusti. Limone e cioccolato.


 

Un commento a “Limone e cioccolato”

  1. emmaus 2007 dice:

    Bella storia, l’ho letta volentieri. Ben scritta. Bravo!

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