“con i guanti bianchi”
Pubblicato da luca il 22 settembre 2007
“CON I GUANTI BIANCHI”
1.
Gli stivali erano ancora sporchi di fango. La pioggia battente delle ultime ore lo aveva sorpreso mentre terminava il suo lavoro costringendolo a chiudere la borsa con gli attrezzi e rifugiarsi nel primo bar che avesse incontrato lungo la via del ritorno.
Al Bar degli Abruzzi conosceva tutti e tutti, lì dentro, conoscevano lui.
Nessuno negava un saluto a nessuno, anche se si trattava di ex-galeotto. Poldo, col solito gesto teatrale che aveva imparato guardando i film polizieschi alla televisione, chiese mezzo Vermut al vecchio unto che stazionava dietro al grosso bancone.
- mi sporchi il Bar, Poldo! – urlò Romano da dietro il bancone. Non fece neppure in tempo a bestemmiare che già stava sdraiato sul pavimento con lo straccio imbevuto di detersivo per superfici lisce.
Poldo non badò a niente di tutto ciò. Sorseggiò il suo Vermut e rimase in silenzio.
Una donna sulla quarantina dai capelli biondi uscì dalla toilette del bar esponendo in bella vista una scollatura che finì dritta negli occhi di Poldo. Romano sghignazzò e sbraitò con furia verso di lui.
- vedi di rigare dritto, Poldo.. la prossima volta che ti beccano rimani dentro per davvero! Bevi e tieni gli occhi bassi!
Poldo rimase ancora in silenzio mentre continuava a sezionare con gli occhi la bionda che se ne andava dal locale.
La striscia di fango lasciata da Poldo era una lunga fila di acqua e terriccio marrone che attraversava il locale dei flipper per arrestarsi all’altezza del tavolino rotondo dove Poldo si era fermato. Romano andò a cancellare anche l’ultima traccia dell’ingresso di Poldo.
Improvvisamente si voltò verso Romano e gli regalò uno dei suoi sorrisi infetti e malati.
- quando ti deciderai a darti una ripulita, Poldo -. Era la frase che il suo amico Romano gli ripeteva da sempre.
Poldo non pagava mai il suo Vermut, per lui “offriva la casa”. Alle undici e tre quarti il Bar degli Abruzzi chiudeva bottega e Poldo se ne tornava a casa sua, Via Duca degli Abruzzi, 31.
2.
Vanni De Rossi odiava riempire scartoffie. Quella sera doveva riempire tutte quelle che aveva accumulato nell’ultimo mese. Si alzò sbuffando dalla sedia girevole e andò a rovistare nella tasca interna dell’impermeabile beige alla ricerca del pacchetto di Benson blu. Quel giorno ne aveva fumate solo diciotto, pensò che poteva cominciare a pensare di smettere. Osservò l’epitaffio stampato come un messaggio di Satana sul pacchetto giallo, “IL FUMO UCCIDE” , e accennò ad un sorriso.
“Mica ti uccide solo il tabacco, anche un automobile può ucciderti” pensò tra sé e sé.
Era il suo processo di training autogeno volto alla ricerca di una possibile giustificazione all’eccessivo consumo di nicotina, questo diceva il suo psicologo.
E’ come se vai a comprarti una Fiesta e al posto della targa trovi scritto “Le macchine uccidono”.. troppo banale!. Anche i medici uccidono, pensò. Bastava chiederlo al suo amico Salvatore Polenghi, uno ricoverato per un’appendicectomia e dimesso su un sacco della spazzatura verde pisello. D’altronde, sono i classici interventi di routine, pensò sarcastico.
- Pace all’anima tua Salvo! – disse ad alta voce.
Il temporale non accennava a smettere e Vanni pensò bene di spegnere la lampada e di chiudere la serata con le ultime due sigarette rimaste nel pacchetto. Erano tredici ore che lavorava ininterrottamente.
Scese nel parcheggio sotterraneo della Questura e raggiunse la sua auto. Dieci minuti e si sarebbe addormentato nel suo letto, quello che aveva diviso con Gloria e che Gloria aveva diviso con Franco Del Pinto approfittando della sua assenza. La sua donna aveva scelto di abbandonare un commissario di polizia per mettersi con il primario del centro ortopedico “S.Costanzi”. Vai a capire le donne.
Via Aldo Moro distava il tempo di uno sparo dalla Questura. Bastava tollerare l’attesa di un semaforo.
Le strade vuote ed inzuppate lo accompagnarono fino al cancello automatico del condominio. Abitava al primo piano, il percorso sarebbe stato breve.
L’impermeabile fradicio lo appesantiva come se avesse un mattone nelle tasche. Non avrebbe comprato mai più un capo di abbigliamento alla boutique cinese. L’impermeabile dovrebbe permettere all’acqua di scivolare, tecnicamente. Quello che indossava lui sembrava più una spugna che altro.
Non appena fu dentro il suo appartamento il primo viso che i suoi occhi focalizzarono fu quello di Gloria. Gloria non abitava più in quella casa ma il suo fantasma continuava ad infestare l’appartamento. Era un passaggio necessario immaginarla ancora lì, visto che solo fino a un mese prima l’avrebbe trovata ad aspettarlo sveglia.
“Buonasera, commissario.. giornata pesante?”-disse la voce invisibile di Gloria.
“Fottiti, puttana!”-fu la risposta ad alta voce del Commissario De Rossi.
Quella sera non aveva per nulla fame e si limitò a sgranocchiare una manciata di pistacchi salati annegati in mezzo bicchiere di birra scadente prima di raggiungere la camera da letto. Si trascinava pesantemente lungo il corridoio strisciando le suole dei mocassini da cinque euro.
Sarebbe sprofondato in un sonno interminabile se il telefono di casa non avesse cominciato ad urlare.
Urtò con l’avambraccio il comodino di noce che la mamma di Gloria aveva regalato loro quattro mesi prima e prese la cornetta dell’apparecchio. Gli sfuggì dalle mani andando a picchiare contro il pavimento di marmo.
- Pronto… – disse con la voce aspra e ringhiosa del fumatore accanito.
- Vanni.. muovi le chiappe che abbiamo un problema.
- Miche’…sono appena rientrato.. che è successo?
- Piazza della Prefettura, una ragazza, l’hanno massacrata, sbrigati.
Michele Corallo, squadra mobile, amico e collega di Vanni. L’unico che avesse il permesso di rivolgersi al Commissario con espressioni del tipo “muovi le chiappe”.
L’Aquila, la città più noiosa del centro Italia. Ragazza massacrata.
Vanni collegò mentalmente le cose e comprese che per quella notte non avrebbe chiuso occhio. Si rivestì dopo essersi rinfrescato la faccia con l’acqua gelata del rubinetto. Guadandosi allo specchio ebbe l’impressione di osservare il viso di un malato terminale. Barba lunga, viso solcato e carnagione giallognola.
Solo il tempo di qualche goccia di collirio prima di uscire alla volta del centro. Per accorciare il tragitto percorse un paio di stretti vicoli contromano e raggiunse Piazza della Prefettura in una decina di minuti. Michele seguì con lo sguardo l’auto di Vanni che arrivava a tutta velocità trasformando le pozzanghere in idranti.
- dov’è?- chiese Vanni.
- nel vicolo..- rispose Michele.
Vanni si fece largo tra un capannello di curiosi. La stampa locale era arrivata prima di lui ma questa non era una novità. “Il Centro”, quotidiano d’Abruzzo, le stava tentando tutte per immortalarlo. Con il palmo della mano allontanò la telecamera della tv locale. Ogni volta che succedeva qualcosa, pensò, giornali e televisioni arrivavano sempre per primi. Neppure il temporale riusciva a fermarli.
Vanni riuscì a sgattaiolare in mezzo alla folla e raggiunse il punto preciso. Furono i flash del nucleo scientifico che gli avevano suggerito la direzione.
Una giovane, diciott’anni circa. Il viso appariva come l’unica parte del corpo rimasta intatta. Sembrava fosse stata gettata in una gabbia di leoni affamati. Il corpo della ragazza, nudo per tre quarti, presentava una quantità infinita di ferite, lividi ed abrasioni.
- diavolo…ma che le è successo?
- facciamo prima a chiederci cosa NON le sia successo.. poveretta.
Il vice-questore Tommasi guardò Vanni dritto negli occhi. Tutti e due avevano visto l’oggetto appoggiato sull’addome della ragazza uccisa ma non avevano avuto ancora il coraggio di parlarne a viso aperto.
- un emulatore, De Rossi?
- o un emulatore o un fantasma.- rispose Vanni.
Era un orsacchiotto di Peluche, di quelli piccoli. Un batuffolo di pelo marrone comodamente seduto a zampe larghe sul cadavere della ragazza. Vanni sentiva di aver bisogno di fumare ma non aveva le sue Benson blu. Michele, che nel frattempo lo aveva raggiunto, gli porse il pacchetto di Diana rosse e Vanni fu sul punto di rifiutare l’offerta del collega. Detestava quelle sigarette, gli lasciavano in bocca un saporaccio tipo aceto. Tuttavia, la situazione richiedeva nicotina e Vanni aspirò il tabacco di quella Diana a lunghe boccate dimenticandone il retrogusto stomachevole.
- stai pensando al giocattolaio? – chiese Tommasi.
Vanni lo aveva arrestato dieci anni prima. Lo avevano ribattezzato così per via della firma che apponeva sul luogo del delitto. Uno stronzo che si divertiva a tagliuzzare i corpi delle vittime con un rasoio. Al termine dell’opera appoggiava un giocattolo qualsiasi sul corpo della vittima o nei paraggi, quella era la sua firma. Vanni lo aveva preso mentre sorseggiava una birra al caffè Florio, in una traversa di Piazza Duomo. Lo avevano tradito le impronte digitali e il DNA trovato sul cadavere di una delle vittime che aveva seminato. Era uno stimato professionista, Francesco Lustri, dell’alta borghesia aquilana, un commercialista dalla doppia vita che era stato rinchiuso nel carcere “Le Costarelle” a seguito di una condanna all’ergastolo. Aveva ucciso quattro persone nell’estate del 1996.
Quel caso aveva spinto Vanni a un passo dallo psicoanalista. Era stata Gloria ad ascoltarlo, a comprargli le sigarette e a fare l’amore con lui evitandogli di impazzire. Ne poteva parlare solo con lei, del Giocattolaio. Alla Questura le ipotesi non erano ben accette, contavano solo le prove.
- beh.. di certo non può essere Lustri, quello si è ammazzato sei mesi fa – esordì Corallo.
- potrebbe trattarsi di un fanatico che vuole imitare il “Maestro”.
- Aspettiamo i risultati delle analisi e vediamo di tirare le somme. Ora, se non vi dispiace, me ne torno a casa, dormo qualche ora e vi raggiungo in Questura domattina presto, va bene?
- fai come ti pare, De Rossi.. ma vedi di essere presentabile per domani.. hai un’aria che fa schifo.
Vanni raggiunse la sua auto con in bocca ancora il sapore di aceto di quella sigaretta. Al primo distributore automatico avrebbe comprato le sue amate Benson Blu. Azionò il tergicristalli per lavare via la pioggia dal vetro e rimase qualche istante a motore acceso con l’immagine del “Giocattolaio” nella testa. Pensò agli emulatori, una categoria per certi versi più pericolosa dei rispettivi antesignani. I “Maestri” hanno un loro stile e prima o poi finiscono per sbagliare. I seguaci, invece, studiano a fondo le loro tecniche e cercano di affinarle sempre di più. I seguaci sono sempre più difficili da arrestare.
3.
I funerali di Roberta Secco raccolsero l’intera comunità aquilana. Un piccolo centro come L’Aquila sente la necessità di raccogliersi intorno ai familiari. Tutti si conoscono, anche solo di vista. Un omicidio di quelle proporzioni poi cambia tutto. Le strade si svuotano e i negozi chiudono prima del solito. Il coprifuoco diventa una necessità.
Era già successo dieci anni prima, ci si era trovati a dover affrontare un assassino seriale ma a quel tempo la città si era sentita sguarnita.
Quella era stata la prima volta, e quattro persone erano rimaste uccise. L’estate più calda degli ultimi trent’anni, avevano raccontato i notiziari locali. L’estate di Francesco Lustri, al secolo “Il Giocattolaio”.
Le autorità avevano parlato chiaro in occasione dell’incontro che aveva seguito i funerali della Secco. Piazza Duomo era stracolma, come in un comizio elettorale. Le forze sarebbero state triplicate, uomini armati avrebbero vigilato con la massima disponibilità lungo ogni zona del centro. Le Pattuglie della mobile si sarebbero spartite le zone della periferia. Tutti i cittadini avrebbero dovuto concentrare le proprie forze per segnalare alle autorità ogni minimo movimento sospetto, a costo di diventare paranoici. Roberta Secco sarebbe stata l’ultima vittima. Quella era la volontà delle autorità seppur ancora allo stato embrionale della promessa .
Vanni aveva partecipato alla funzione funebre porgendo le proprie personali condoglianze ai parenti della vittima. Aveva promesso loro che avrebbe fatto tutto il possibile per assicurare alla giustizia il responsabile di quella tragedia.
Il momento più angosciante dei funerali, pensava Vanni, è sempre quello della sepoltura. Una cassa zincata seppellita sotto il peso di tre metri di terra, qualcosa di tremendo. Ogni volta che gli capitava di partecipare ad un funerale non poteva fare a meno di immaginare che il presunto cadavere si potesse risvegliare improvvisamente all’interno della propria bara scoprendosi in realtà vivo e vegeto. Era un’immagine che gli dava forti giramenti di testa e senso di nausea. Vanni soffriva di claustrofobia da quando aveva dieci anni.
Il cellulare di Vanni iniziò a vibrare destandolo dai suoi perversi pensieri. Sul display lampeggiava il nome di Michele Corallo.
- dimmi Michè..
- è meglio se vieni in Questura, Vanni.
- che è successo ancora..?
- non possiamo parlarne per telefono, è una cosa che devi verificare tu stesso.
La voce di Michele tradiva una concitazione e un affanno che lo lasciarono interdetto.
Vanni raggiunse la Questura una mezz’ora dopo aver ricevuto la telefonata di Michele Corallo. Le immagini della città scorrevano come diapositive fuori dai finestrini della sua auto. Autunno a L’Aquila, la stagione che Vanni amava di più, con le foglie che cambiano colore e invadono le strade, la frescura che solletica la pelle e spettina i capelli. Niente a che vedere con il freddo glaciale dell’inverno e il caldo infernale che strangola gli aquilani dalla metà di giugno alla metà di agosto.
Parcheggiò dalle parti di Via Castello e scese dalla macchina. Non appena fu dentro Michele gli si parò davanti come fosse una guardia del corpo e lo trascinò nel suo ufficio prendendolo per un braccio.
Nella stanza c’era ad attenderli anche il Dott. Tommasi. Un uomo con il camice verde sbiadito e sbottonato, probabilmente il medico-legale, si trovava immobile all’altezza della finestra.
- posso, signor vice-Questore?
Michele cercò con lo sguardo il dottor Tommasi che gli inviò un cenno di assenso abbassando il capo.
- ehi…datti una calmata…che diavolo succede!- sbraitò Vanni.
- sono arrivati i risultati delle analisi sulle impronte digitali rinvenute sul cadavere della Secco. Vanni, tu ci credi ai fantasmi?
- Michè..vedi di arrivare al punto, e alla svelta! Non mi va di parlare per indovinelli!
- ce ne sono almeno una decina, lungo tutto il corpo della vittima. Sono perfettamente visibili e… sono tutte uguali.
- beh.. questa è una bella notizia!
- aspetta a cantare vittoria Vanni. Abbiamo inserito i dati nel cervellone e…. sai di chi sono quelle impronte? Sono di Lustri, QUEL Lustri! Sono le impronte del Giocattolaio!
- stai scherzando Michele? Perché se è uno scherzo non ci metto niente a sbatterti fuori di qui a calci.
- moderi i termini Commissario De Rossi. Fino a prova contraria siamo nel mio ufficio! – intervenne il taciturno Tommasi.
- non potrei mai scherzare, Vanni!
Nel frattempo il Vice-Questore Tommasi, che era rimasto in silenzio durante tutto quel tempo, si intromise nella conversazione.
- De Rossi.. che intende fare?
- signor Vice-Questore.. deve ammettere che ci troviamo di fronte a un caso anomalo. Non è possibile che l’esame delle impronte sia sbagliato? Forse è il caso di ripeterlo, non crede?
A questo punto il medico-legale prese prontamente la parola.
- non credo che si possa parlare di errore. Non conosco il funzionamento dei macchinari del reparto scientifico ma è dura da credere l’ipotesi dell’errore. A quello che so io le impronte sono totalmente intatte.
- per carità, questo mi pare evidente, dottore. Lei ha ragione, De Rossi – disse Tommasi – Quello che dobbiamo evitare è che questo “caso anomalo”, come lo definisce lei, continui ad ammazzare indisturbato, che ne dice?
Il sarcasmo del dott.Tommasi non lo toccò minimamente. Vanni si accese una sigaretta e dovette soccombere davanti ad una verità troppo pesante per uno come lui.
- d’accordo dottor Tommasi, mi metto immediatamente al lavoro. Ci sono testimoni?
- nemmeno l’ombra.
Vanni uccise la sigaretta schiacciandola nel posacenere di vetro. Salutò i presenti e si rifugiò nel suo ufficio. Rimase per qualche minuto a riflettere prima di prendere il cellulare e comporre il numero. I pulsanti della tastiera del telefono sembravano bollenti.
4.
Gloria lo stava aspettando davanti al Bar Royal. Vanni ci aveva pensato e ripensato. Aveva deciso di telefonarle per un consulto, tutto qui. O almeno questo fu quanto raccontò a sé stesso. Lo stava aspettando proprio davanti al bancone del bar.
Non poté fare a meno di ammirarne l’infinita bellezza. Portava i capelli legati nel modo che piaceva a lui, portava il vestito nero che piaceva a lui e nonostante tutto, non era più la sua donna.
Il rancore che Vanni si portava dietro come un cagnolino fedele non aveva smesso un momento di ringhiargli nello stomaco. Il primo pensiero fu quello di mollarle un pugno in pieno volto.
- ciao Vanni.- disse lei con tono rilassato.
Vanni alzò una mano salutandola con sufficienza.
- avevi detto che ti servivano informazioni.. non dobbiamo mica parlare di noi.. potresti anche facilitare le cose.
La sua freddezza lo stava trascinando in un punto di non ritorno. Forse non era stata una buona idea chiamare proprio lei, un altro medico legale lo avrebbe trovato facilmente, forse.
Dì la verità Vanni…è stato un gran colpo di fortuna eh? Non vedevi l’ora di trovare un pretesto per rivederla..!
Vanni non poteva mentire a sé stesso, l’aveva amata e l’amava ancora profondamente.
- ciao Gloria…ehm.. grazie per essere venuta.
- sediamoci.. ti va? Beviamo qualcosa insieme e mi racconti tutto.
Entrarono nel locale e si sedettero nella prima stanza sulla destra. Era quasi vuota ma loro scelsero ugualmente il tavolino più lontano rispetto all’ingresso. C’era anche una discreta penombra e Vanni dovette momentaneamente scacciare dalla mente l’idea di provare a baciarla.
Vanni…stai indagando su un omicidio.. non dimenticartelo…
Ordinarono due Aperol Soda e rimasero a guardarsi per un po’. Quello che c’era dietro lo sguardo di Vanni era una sorta di perversa ammirazione per la donna che si era fatta scopare nel letto di casa sua.
Quello che c’era dietro lo sguardo di Gloria era il pensiero della lista della spesa.
- hai sentito di quella ragazza?- chiese lui cercando di rompere il ghiaccio.
- purtroppo sì.. morire così giovane…che tragedia.. in pieno centro poi..
- è per questo che ti ho chiamato Gloria. Prima di parlare però vorrei ricordarti che si tratta di un’indagine ufficiale, che tutto quello che saprai ti sarà riferito in vi strettamente confidenziale, d’accordo?
- puoi parlare con me, lo sai.
Puoi fidarti di me…puoi parlare con me…BRUTTA TROIA che non sei altro!!!
- c’è un collegamento con il caso del Giocattolaio, te lo ricordi?
Gloria si spinse con la schiena sulla sedia e tirò un grosso sospiro. Certo che se lo ricordava, conosceva tutta la storia del Giocattolaio. Aveva ascoltato Vanni sfogarsi con lei ogni stramaledetta sera. Lo aveva visto rigirarsi nel letto in preda agli incubi. Avevano festeggiato la cattura di quel tipo in un ristorante di lusso.. sì, se ne ricordava benissimo.
- certo Vanni, mi ricordo bene. Quest’uomo ci tormenta..
- beh.. a dire il vero tormenta solo me. Francesco Lustri, si chiamava, ricordi? Il fatto è che sul cadavere della ragazza abbiamo trovato un orsetto di Peluche. E’ la sua firma, non ci sono dubbi.
- d’accordo Vanni.. ma Lustri è morto meno di sei mesi fa!
- non sto dicendo che sia stato lui, lasciami finire. E’ chiaro che ci troviamo di fronte ad un emulatore… a meno che non si voglia credere ai fantasmi.
- nessun fantasma, Vanni, mi sono accertata personalmente della morte di Lustri. Ho fatto io l’autopsia, nel minimo dettaglio. Non ti ricordi? Lustri si è impiccato nella sala delle docce del Carcere. Aveva il collo violaceo e i segni della corda erano inconfondibili. Il corpo è stato nel mio laboratorio per diverse ore. Ho ripetuto alcuni esami anche più di una volta. Morte per soffocamento.
- Gloria, aspetta un momento.. questo è fuori di dubbio. Quello che ancora non ti ho detto è che sul corpo della ragazza abbiamo trovato una decina di impronte digitali, tutte complete. Sai di chi erano queste impronte? Di Francesco Lustri.. il Giocattolaio.
Gloria sorseggiò ancora un po’ del suo aperitivo e Vanni notò la macchia di rossetto sul bordo del bicchiere. Aveva voglia di fumare ma non avrebbe potuto farlo nel locale.
- Ti va di uscire un momento.. ho bisogno di fumare…- disse lei.
Vanni pagò il conto dei due Aperol Soda e uscì a raggiungere Gloria che era rimasta di fronte all’ingresso del bar ad aspettarlo. Stava già aspirando a pieni polmoni il tabacco della sua Davidoff. Non aveva ancora risposto nulla. Il racconto di Vanni aveva dell’incredibile.
- siete sicuri?
- siamo sicuri, Gloria. E’proprio per questo che ti ho chiamato. Dato per scontato che abbiamo a che fare con un emulatore, avrei bisogno di sapere se è tecnicamente possibile riprodurre le impronte digitali di una persona.. morta.
- tecnicamente.. no, occorrerebbero i polpastrelli della salma.. ma se anche fosse possibile bisognerebbe fare molto in fretta perché il corpo comincia a decomporsi immediatamente. I processi di autolisi e di putrefazione non impiegano molto ad entrare in azione.
- c’è modo di rallentare i processi di cui mi parli?
- beh…la decomposizione dei cadaveri può essere influenzata da numerosi fattori. Ci sono elementi come la temperatura, l’umidità, l’intervento di insetti che possono accelerare la rapidità dei processi di putrefazione. E poi l’imbalsamatura, l’ibernazione…e naturalmente la sepoltura ad una certa profondità.
- Gloria, sinceramente, cosa faresti al posto mio?
- la verità..?
- naturalmente.
- chiederei di riesumare il corpo di Lustri. Mi hai parlato di impronte digitali, no? Se le impronte sono quelle del Giocattolaio questo significa che il suo corpo non è al gran completo. E in ogni caso ripeterei l’analisi delle impronte digitali.
- che cosa intendi dire, che il nostro uomo avrebbe mutilato il cadavere di Lustri?
- intendo dire quello che hai capito.
Il telefono di Gloria si mise a squillare e lei si allontanò di qualche passo bisbigliando con il suo interlocutore.
Una chiamata privata…il suo dottore che la cerca…
Vanni e Gloria si salutarono con una stretta di mano. La loro conversazione era finita.
La sepoltura, certo.. si doveva partire da lì. Bisognava controllare il corpo del Giocattolaio. Il consiglio di Gloria era stato prezioso. Vanni si avvicinò alla macchina studiando la strategia migliore per convincere Tommasi della necessità di ottenere un ordine firmato dal magistrato.
Aveva già un nome in testa, una sua vecchia conoscenza. Poldo Piersanti, becchino estumulatore.
Mentre accendeva il motore e imboccava la strada per la Fontana Luminosa, non si accorse dell’auto parcheggiata di fronte all’edicola. Nell’abitacolo della Golf un uomo distinto con gli occhiali da vista stava scaldando il motore. Svoltò a destra prendendo la via della Fontana Luminosa.
5.
Fabrizia Lucci era in ritardo. Doveva raggiungere suo marito al ristorante ma aveva avuto una lista infinita di complicazioni al lavoro.
All’agenzia di assicurazioni c’era stata una riunione dell’ultim’ora che l’aveva trattenuta fino alle nove. Il tavolo era prenotato per le otto e mezzo e Gianni era già lì che la aspettava.
Prese il telefono cellulare dalla borsetta e compose il numero di Gianni.
- tesoro.. sto arrivando.. perdonami..
La voce tranquillizzante di suo marito le regalò un sorriso che mancava da ore sul suo viso. Infilò il telefono nella borsa e cercò di riconoscere la sua Skoda verde bottiglia nell’oscurità del parcheggio. Camminando lentamente passò in rassegna tutte le macchine fino a che riuscì a riconoscere l’adesivo di Radio Company che suo figlio aveva appiccicato sul lunotto posteriore.
Si voltò di scatto. Aveva avuto la sensazione di udire qualcosa, forse dei passi.
Il parcheggio interno del Castello Spagnolo è totalmente privo di illuminazione. Il mazzo di chiavi che teneva in mano sembrava scottare. L’unico suono identificabile era il tintinnio del portachiavi d’argento che si muoveva come un pendolo mentre Fabrizia tentava di identificare la chiave giusta.
Si voltò ancora una perché il rumore dei passi che sentiva non era più solo un’impressione ma era diventata una certezza.
Vide una sagoma scura alle sue spalle, immobile. Il mazzo di chiavi le cadde di mano.
Non riuscì neppure a gridare. L’ombra che aveva visto a pochi passi da lei si stava avvicinando.
Il silenzio del parcheggio fu squarciato da un grido di dolore.
La sagoma nera impugnava un coltello da macellaio.
La lama del coltello le penetrò nell’addome, nel torace e Fabrizia cadde a terra come una vergine sacrificale.
Vanni De Rossi giunse all’ingresso del cimitero e si fece il segno della croce.
Poldo abitava in via Duca degli Abruzzi ma trascorreva l’intera giornata sul posto di lavoro. Becchino estumulatore, quella era la sua professione. Lo vide seduto sulla grande scalinata grigia che conduceva alle tombe dedicate ai nove martiri aquilani del 1943.
- signor Piersanti, buongiorno.
Poldo guardava l’uomo che aveva pronunciato il suo nome con aria circospetta continuando a masticare il panino che aveva portato per la pausa pranzo.
Era un tipo dallo sguardo vuoto, con due grossi bottoni neri al posto degli occhi e una folta barba nera e irregolare. Non appena Vanni fu di fronte a lui si accorse che puzzava come un animale.
- che vuole da me..? – disse Poldo schizzando brandelli di poltiglia rossa sulla scalinata.
- solo farle qualche domanda.
- sapevo che sareste venuti da queste parti…
- davvero.. e come faceva a saperlo?
-perché mi chiamo Poldo Piersanti e ho passato più tempo in gabbia che all’aria aperta. La mia faccia la conoscono tutti. E’ troppo comodo avere un capro espiatorio, non crede?
Vanni rimase in silenzio e cominciò a guardarsi intorno. Il silenzio del cimitero gli trasmetteva una perversa pace interiore.
- è lei che si occupa di tutto qui, vero?
- sono il factotum della morte.. – disse Poldo sorridendo all’interlocutore.
- mi scusi.. non mi sono presentato…sono il Commissario De Rossi, della Questura di L’Aquila.
- lo immaginavo che era un poliziotto, ce l’avete scritto in faccia. Ho letto i giornali. Aspettavo la visita di qualcuno con la divisa.
Vanni gli porse la mano ma Poldo non accettò il gesto. Staccò ancora un morso al suo panino e bevve dalla fiaschetta che aveva appoggiato dietro la schiena. Poi, scrutando nuovamente il Commissario, cominciò ad annuire.
- mi ricordo di lei…era la storia di quella puttana…- disse Poldo.
-signor Piersanti..moderi i termini! Sono un ufficiale di Polizia e non ci metto niente a sbatterla dentro.
- e con quale accusa! Mica lo dico solo io che quella è una puttana. In giro si dice che un paio di corna sono pesanti da portare, vero dott. De Rossi?
Vanni prese il pacchetto di Benson e ne accese una. La fumò in un paio di minuti rimanendo in silenzio a guardare quell’uomo.
Ripensò a Gloria. Poldo l’aveva molestata per mesi. All’inizio sembrava trattarsi solo delle attenzioni di uno svitato. Poi erano iniziate le telefonate mute e i biglietti lasciati nella cassetta delle lettere. Vanni aveva dovuto dichiararsi incompatibile con quelle indagini per via dei suoi rapporti personali con la vittima di quelle molestie ma aveva fatto in modo di seguire lo sviluppo delle vicende rimanendo nell’ombra. Il risultato fu che Poldo venne rinchiuso in cella per un mese e rimesso in libertà con l’obbligo di restare lontano almeno cinquecento metri da Gloria Valloni.
Vanni stava lavorando all’ipotesi della mutilazione di cadavere e la prima persona che gli era venuta in mente era Poldo, “il factotum della morte”, come si era definito.
Mentre attendeva l’ordine di riesumazione del corpo firmato dal magistrato intendeva solo fare quattro chiacchiere con Piersanti. Vanni credeva molto nelle reazioni istantanee dei sospettati. A suo parere erano molto più concludenti di mille interrogatori.
Il cellulare iniziò a vibrare proprio mentre schiacciava con la suola il mozzicone sul pietrisco che aveva sotto i piedi.
- Michele.. novità?
- certo, Commissario. Ma non le piaceranno.
Vanni congedò Poldo Piersanti e raggiunse la sua macchina. Dovette riconoscere che l’atteggiamento di Piersanti non suscitava particolari sospetti. Aveva continuato a mangiare a bere con la massima tranquillità. Se la teoria sulle reazioni istintive di Vanni era valida, ciò significava che Piersanti era pulito.
6.
La donna era stata trafitta in più parti. C’erano ferite da arma da taglio sulle braccia, sulle gambe e sul torace.
Si chiamava Fabrizia Lucci e a dare l’allarme per la sua scomparsa era stato il marito. Avevano immediatamente verificato l’alibi di Gianni Lucci che all’ora presunta dell’assassinio si trovava seduto al tavolo 13 del ristorante “Delle Rose”, strada statale 17, km.5.
Sull’addome, il solito regalo del seguace del Giocattolaio. Una bambola di piccole dimensioni osservava gli inquirenti vestita di un elegante abitino rosa pieno di fiocchi bianchi.
Michele Corallo stava appuntando sul taccuino i primi rilevamenti effettuati sul posto quando vide Vanni che accorreva fasciato del suo solito impermeabile malandato.
- una bambola – disse Michele senza neppure salutarlo.
- è un gioco Michè, e stiamo perdendo alla grande. Ho bisogno di vedere quel corpo.. dov’è Tommasi?
- lupus in fabula – disse il Vice-Questore che camminava sventolando davanti al viso di Vanni e Michele un foglio bianco riempito di qualche riga nera. E di una firma a penna.
- dottore…mi dia una buona notizia..
- andate a controllare il corpo di Lustri, alla svelta. La ditta di pompe funebri sarà sul posto tra mezz’ora.
- non sarebbe il caso di controllare prima le impronte anche sul corpo della Lucci?
- è vero, sarebbe il caso. Ma mi sono esposto personalmente per avere questo pezzo di carta. Il magistrato vuole risposte, e le vuole subito. Non si riapre un’indagine di questa portata senza un motivo valido. Io spero solo che riusciate a trovare questo motivo valido. Massima velocità, mi raccomando. Voglio che Lustri venga seppellito immediatamente.
La bara di legno di mogano venne sollevata dalla profondità della fossa che la conteneva ormai da sei mesi. Delle operazioni si stavano occupando gli operai della ditta di pompe funebri. Sul posto erano sopraggiunti anche il Vice-Questore e due agenti che avevano ricevuto la segnalazione del ritrovamento del cadavere di Fabrizia Lucci. Poldo stava collaborando alle operazioni. Aveva portato la sua cassetta degli attrezzi ma quelli delle pompe funebri non ne vollero sapere del suo aiuto.
La cassa fu portata nella camera mortuaria e tutti, al di fuori delle forze dell’ordine, furono pregati di lasciare la stanza.
Francesco Lustri si presentava in condizioni discrete per essere uno che era morto da sei mesi. Gloria aveva riferito a Vanni che il suo corpo era stato trattato. “Tanatoprassi”, o qualcosa del genere, gli aveva detto. Il corpo si sarebbe conservato meglio e più a lungo.
Vanni guardò la salma dell’uomo che rappresentava uno dei suoi più grandi successi professionali. Francesco Lustri, il “Giocattolaio”, aveva ucciso quattro persone nell’estate del 1996. Si avvicinò al corpo e lo sguardo cadde immediatamente sulle sue mani. Lo avevano vestito in modo molto elegante. Abito scuro, scarpe lucide e camicia bianca. Quando vide che le mani, conservate in un paio di eleganti guanti di raso bianco, erano ancora al loro posto Vanni fu invaso dal più grande senso di sconforto che potesse immaginare. Dopo aver parlato con Gloria si era praticamente convinto della ricostruzione che era emersa da quella chiacchierata. Quella era una sconfitta inattesa.
Nella sua testa aveva già individuato il colpevole. Poldo Piersanti aveva mutilato il corpo di Lustri, aveva rubato la sua mano destra e si era divertito ad uccidere seminando le impronte digitali del cadavere sui corpi delle vittime. Si era ripetuto questa ricostruzione cento, mille volte nella sua testa. E se ne era convinto sempre di più
Tutto filava. E invece no. Le mani del cadavere erano ancor al loro posto.
- non è possibile!- urlò il commissario.
- è assurdo Vanni, hai una spiegazione plausibile a tutto ciò?
- non ne ho idea Michele, ma è quello che dobbiamo scoprire. Una spiegazione ci deve essere per forza. Credo che dovremmo ripetere l’esame delle impronte. E’l’unica spiegazione logica, non credi?
- certo.. ma ti sembra possibile che il laboratorio abbia sbagliato due volte nel giro di poco tempo?
Vanni conosceva la risposta. Il guaio era che non aveva intenzione di rispondere.
7.
Il suo ufficio puzzava di tabacco e di chiuso. Gloria sarebbe arrivata nel giro di un’ora. Non sapeva più dove sbattere la testa. L’unica soluzione che poteva gli era sembrata plausibile si era rivelata un fallimento totale e intanto un’altra persona aveva perso la vita. Ma che cosa voleva da Gloria? Solo vederla, forse. Approfittare delle sue competenze di medico-legale per approfondire le indagini sulla sua vita privata.
Forse è proprio così caro Commissario De Rossi…
Gloria conosceva bene il suo ufficio, l’ultima stanza a sinistra in fondo allo stretto corridoio. Quando stavano insieme lo andava a trovare spesso, a volte si fermava a anche a mangiare con lui. Sgomberavano la scrivania di tutte quelle carte e quei fascicoli e la trasformavano in una tavola imbandita.
Bussò alla porta ma entrò prima ancora che Vanni le desse il permesso di accomodarsi all’interno.
- ciao, Gloria. Scusami se continuo a disturbarti ma ho ancora bisogno di te.
Vanni non poteva fare a meno di ammirare la sua bellezza ogni volta che la vedeva. Il pensiero che un altro uomo potesse toccare quello che era stato suo fino a poco tempo prima lo faceva uscire di testa.
- non c’è problema, Vanni. Ci sono novità nelle indagini?
- il guaio è proprio questo, Gloria. Abbiamo ottenuto dal magistrato l’ordine di riesumare il corpo di Lustri. Eravamo eccitati. Personalmente, avrei messo la mano sul fuoco sul fatto che il corpo di quell’uomo fosse privo della mano destra.
- che cosa avete trovato?
- niente! Non abbiamo trovato proprio niente! Le mani erano entrambe al loro posto. Non riuscivo a crederci. Gloria, dammi una spiegazione scientifica a questa storia. Se le mani di Lustri sono chiuse in una cassa di mogano zincata come è possibile che i corpi delle vittime presentino le sue stesse impronte?
Gloria stava riflettendo alla domanda di quello che fino a poco tempo prima era stato il suo uomo. Le sembrò di rivivere la sua vita di dieci anni prima, quando Vanni si attaccava alla bottiglia di Jack Daniel’s e lei si faceva raccontare per filo e per segno gli sviluppi delle indagini. Il Giocattolaio era entrato nella loro vita dalla porta principale.
- non lo so, Vanni. Quelle sono impronte digitali, il risultato della pressione dei polpastrelli su una qualunque superficie. Non so se sia possibile riprodurle a tavolino. L’impronta digitale non è qualcosa che può essere inventata o copiata. E’ composta da un’insieme di creste e valli di dimensioni ridottissime, stiamo ragionando nell’ordine dei micron. Non è ancora provato in valore assoluto la validità scientifica assoluta dell’esame comparativo dermatoglifico ma allo stato attuale non si è mai verificata una corrispondenza sbagliata tra impronta e soggetto. Quelle sono le impronte di Lustri, non è possibile che siano state riprodotte. L’unico modo per togliersi tutti i dubbi sarebbe quello di ripetere l’esame ma dubito che quello che avete fatto sia errato.
Vanni la ascoltava attentamente. Ogni tanto si perdeva qualche pezzo di quella spiegazione lasciandosi distrarre dal profumo di Gloria.
- ehi.. mi stai ascoltando?
- grazie, Gloria.. dico davvero. Stai facendo molto per me. E’un po’ che volevo parlarti.. è per il fatto.. insomma.. noi due non stiamo più insieme…è una situazione imbarazzante, lo so.. ma non so proprio a chi rivolgermi.
Bugiardo che non sei altro…ci stai sguazzando dentro…
- non devi dire niente, Vanni…è il tuo lavoro. E poi questa storia.. il Giocattolaio intendo, continuo a sentirla anche un po’ mia.. mi fa piacere aiutarti, davvero.
Vanni si alzò dalla sedia del suo ufficio e accompagnò Gloria verso la porta. Si guardarono negli occhi. Aveva voglia di baciarla, una voglia pazza. Il suo profumo gli faceva girare la testa. Gloria abbassò lo sguardo a guardarsi la punta delle scarpe.
E’imbarazzata, Vanni…..lo sai bene che quando fa così è solo per l’imbarazzo…
- allora.. ciao…
Gloria lasciò Vanni sulla porta e scomparve voltando l’angolo a destra del corridoio.
Raggiunse Via Castello, entrò in macchina sbattendo le portiere e partì.
La Golf grigia, parcheggiata sull’altro lato della strada, le si accodò immediatamente.
Le analisi di laboratorio avevano confermato le ipotesi. Il corpo di Fabrizia Lucci era pieno delle impronte di Francesco Lustri.
- Michè…io me ne vado.. ho bisogno di riposarmi un po’. Chiamatemi se ci sono novità, io torno tra un paio d’ore.
- va bene.
Vanni si mise l’impermeabile e chiuse la pistola d’ordinanza nel cassetto della scrivania. Si voltò perché sentiva lo sguardo del collega attraversargli perfino i vestiti.
-che c’è Michè..? Devi dirmi qualcosa?
Michele lo guardava con aria pensosa. Si vedeva benissimo che era sul punto di dire qualcosa di spiacevole.
-no, Vanni.. è solo che… vabbè lascia stare.
Michele fece per andarsene ma fu anticipato dal gesto di Vanni che chiuse la porta sbattendola rumorosamente. Tra di loro non c’erano mai stati segreti e Vanni intendeva continuare la tradizione.
- allora Michè..qual è il problema?
- ho visto Gloria mentre venivo da te. Stava uscendo dalla Questura.
- e allora?
- Vanni, io ti conosco bene. So quanto hai sofferto per quella donna. Sono sicuro che stai ancora male per lei..
-è vero.. ma..
- penso che non dovresti vederla più, lo dico per il tuo bene!
- Michele.. è vero, sto ancora male e mentirei se ti dicessi il contrario. Non ci siamo mai sposati ma abbiamo vissuto insieme tanti anni, non è che si possa dimenticare tutto con uno schioccar di dita. Ma ti assicuro che era qui per altre ragioni. E’ un medico-legale, l’hai dimenticato? Le ho chiesto di darmi qualche dritta nelle indagini, tutto qui. Per via della storia delle impronte del Lustri.
- mi stai dicendo la verità?
- assolutamente Michele. Tra l’altro non ne siamo venuti a capo. La teoria rimane sempre la stessa. Quelle impronte devono provenire necessariamente dalle mani del Giocattolaio, non ci sono alternative.
- quel tipo, Piersanti, che dobbiamo fare con lui?
- teniamolo d’occhio, per ora non abbiamo niente contro di lui. Nemmeno lo straccio di una prova. Continuo a pensare che sia implicato. Un becchino.. uno che sta a contatto con i cadaveri..
- precedenti penali ci sono, a suo carico.
- è vero, ma non ha mai ucciso nessuno.
8.
Il ristorante era quasi vuoto. Tony era un suo amico e gli avrebbe rimediato un tavolo anche se avesse avuto il locale strapieno. Non aveva voglia di tornare a casa quella sera, l’ultimo incontro con Gloria lo aveva scosso abbastanza. Non avrebbe sopportato quelle quattro mura, almeno non da sobrio.
L’idea era quella di mangiare un piatto di pasta e di scolarsi una bella bottiglia di Montepulciano d’Abruzzo in beata solitudine. Avrebbe aspettato che il vino facesse effetto e se ne sarebbe tornato a casa a dormire. Il piano era allettante.
Tony si presentò da lui vestito della solita camicia a quadri schermata da un grembiule macchiato dei colori dell’arcobaleno.
- come stai, Vanni! E’un pezzo che non ti si vede da queste parti!
- non ci lamentiamo, Tony. Mi dispiace di non essere più venuto a trovarti ma di questi tempi a L’Aquila il lavoro non manca.
- brutta storia eh.. io conoscevo Fabrizia, la moglie di Gianni Lucci.
- c’è in giro un assassino, questa è la verità.
- hai un’aria stravolta, Vanni.. so io quello che ti ci vuole per tirarti un po’ su.
- mi fido di te.
Tony entrò nel locale cucine e ne uscì pochi minuti dopo con un enorme piatto di antipasti. Tutti prodotti tipici, naturalmente.
La cena, innaffiata con il vino, offuscò i centri reattivi di Vanni e gli impedì di perdersi nell’oceano dei ricordi. Gloria era seduta di fronte a lui ma quella volta riuscì a fare finta di niente e ne fu orgoglioso.
Dopo cena si gettò lungo le vie del corso, con le mani in tasca e la testa che gli scoppiava. Giunse all’altezza della Fontana Luminosa, quella sera era spenta. Le due statue sembravano guardarlo con sentimenti di pietà. Camminò verso il Castello, ne percorse il perimetro un paio di volte fumando una sigaretta dopo l’altra. Gloria era il suo pensiero numero uno, rifletté che era passato un pò di tempo dal loro ultimo giorno insieme. A volte si chiedeva se il dott. Franco Del Pinto fosse ancora il suo uomo, quando pensava a lui gli veniva voglia di andarlo a cercare e rompergli in testa le stesse protesi con le quali lavorava tutti i giorni. E pensare che era stato lui a presentarglielo, quando sua madre aveva avuto bisogno di quella placca per il femore. Un uomo distinto, professionale e al di sopra di ogni sospetto. Sposato, e per giunta padre di due splendide bambine che sorridevano ai pazienti attraverso la cornice che conteneva la foto nella quale erano state immortalate all’età di tre o quattro anni.
Vanni si fermò all’istante, la nausea aveva trasformato il Castello Spagnolo in un ottovolante di mattoni.
Cominciò a pentirsi di aver bevuto così tanto quella sera. Doveva fumarsi una sigaretta, con una Benson tra le labbra avrebbe riflettuto meglio.
Trascorse circa mezz’ora prima che la voglia di vomitare lo abbandonasse quasi del tutto. Mentre stava ancora combattendo con i fumi del vino che gli avevano annebbiato il cervello, Vanni si accorse di essersi fermato in corrispondenza dell’ingresso del Castello Spagnolo. Un richiamo d’aiuto aveva attirato la sua attenzione, un grido di dolore che Vanni giudicò provenire dal parcheggio interno. Quello era il posto in cui era stata ammazzata la seconda vittima, pensò.
Si avvicinò al basso muretto che aveva di fronte e si sporse per osservare la scena da un punto dal quale non sarebbe stato individuato. Si trovava due o tre metri più in alto rispetto al livello del parcheggio.
L’illuminazione era scarsa e quello che Vanni riuscì a distinguere meglio furono le sagome larghe di due uomini che si divertivano a prendere a calci una grossa carcassa dai contorni indefiniti che si agitava ai loro piedi. La carcassa emetteva gemiti e guaiti, quasi come un cane, implorando i suoi aggressori di smetterla.
- zitto, vecchio!- disse una delle sagome.
Vanni non aveva con sé la pistola ma aveva il distintivo. Normalmente, pensò, la vista del distintivo suscita timore e invita alla fuga.
- guarda lo storpio come si agita! – disse l’altra sagoma.
Vanni scivolò lentamente a sinistra fino al punto in cui il muretto terminava e cominciava il piccolo tratto in discesa che portava direttamente dentro al cuore del parcheggio interno. Venne fuori dall’estremità sinistra del muretto gridando contro i due aggressori.
- polizia! Fermi!
Le due sagome cominciarono a correre e nel giro di pochi attimi vennero ingoiate dall’oscurità della notte. Lo scalpiccio affannoso dei loro passi si fece sempre più lontano fino a che non scomparve del tutto. L’uomo rotolava a destra a sinistra come una trottola al rallentatore.
Vanni si avvicinò all’uomo per aiutarlo a rialzarsi. Non appena si fu portato a distanza ravvicinata da lui la puzza di marcio e di sudore incrostato gli penetrarono nel cervello attraverso le vie nasali. Un barbone, pensò. Lo trascinò fino al grande lampione che si trovava sul livello superiore della strada e la luce gialla ne illuminò il viso.
Era vecchio e ferito. Il volto era pieno di tagli ed ecchimosi. Le lacrime si erano mescolate al sangue addensandosi in grumi nascosti tra le rughe come piccoli funghi color porpora.
- ti hanno pestato per bene, eh?
- grazie…grazie….- sussurrò il vecchio con un filo di voce.
Il vecchio faticava a respirare. Vanni si accorse che si teneva la bocca dello stomaco con una mano.
Il Commissario gli porse la sua per presentarsi.
- mi chiamo Vanni…piacere di conoscerti. Stai tranquillo, va tutto bene.
Il vecchio, che continuava a spingere sullo stomaco per tentare di alleviare le contrazioni generate dal dolore, gli porse quello che restava della sua mano destra. Un pallido moncone all’altezza del polso. Vanni fece per toccarlo quando una scarica elettrica gli percorse la spina dorsale lasciandolo paralizzato per alcuni secondi. La vista e il contatto con la superficie liscia del polso lo riportò immediatamente indietro ai suoi pensieri, a quella notte nebbiosa, al Giocattolaio.
Vanni prese il telefono cellulare e chiamò il 118. Chiese l’intervento di un’ambulanza al più presto e rimase ad aspettarla insieme al vecchio barbone. Erano seduti ai piedi del lampione come due amici che chiudono la serata con la sigaretta della staffa.
- Claudio….mi chiamo Claudio..- fece lui con voce di un tono appena più alta di quella di poco prima.
- sai che ti dico, Claudio? Avevo un grosso problema fino a mezz’ora fa, e forse tu sei riuscito a risolverlo, ci credi? Ecco, prendi questi.
Vanni gli porse una banconota da cinquanta euro. Claudio sembrava avere quasi timore di prendere quei soldi. Nonostante tutto li accettò di buon grado e li infilò nella tasca della camicia.
- se hai fame.. vai a mangiare un boccone da Tony, la trattoria di Via Cimino. Dì che ti manda Vanni, lui capirà.
L’ambulanza arrivò dopo un quarto d’ora e Claudio fu fatto salire all’interno. Alla vista del barbone si era creato un certo imbarazzo tra i paramedici. Il distintivo di Vanni dissolse l’imbarazzo come un soffio su una nuvola di vapore.
9.
L’ufficio del vice-questore Tommasi era in disordine perenne.
Il commissario Vanni De Rossi attendeva in silenzio giocherellando con una matita. Era nervoso, aveva trascorso tutta la notte a pensare ripensare all’illuminazione della sera precedente. L’entusiasmo iniziale si era immediatamente intiepidito non appena Vanni aveva dovuto fare i conti con tutte le implicazioni che quella soluzione si portava con sé. L’incontro con Claudio, la luce gialla del lampione che aveva illuminato il suo volto segnato dal dolore, la pelle lucida e screpolata del moncone che lo aveva spinto al limite. Gli tornarono alla mente tante piccole sequenze di un film del quale stava cercando di scrivere il finale.
D’accordo, poniamo anche che alla salma di Lustri sia stato applicato un arto artificiale al fine di sottrarre quello vero. Allora bisogna capire chi è il responsabile di un tale atto diabolico..
I pensieri di Vanni furono spazzati via dalla voce ringhiosa del dott. Tommasi.
- De Rossi.. giusto lei cercavo!
Nella voce del dott. Tommasi c’era ironia mista a frustrazione. Vanni poteva immaginare benissimo quali sarebbero state le reazioni del Vice-Questore. Tuttavia era consapevole del fatto che stavolta avrebbe avuto una risposta.
- novità, Commissario?
- veramente avrei una richiesta da farle, dottore.
- non so se mettermi a ridere o incazzarmi, Commissario. Non riesco a capire come diavolo pensa di coordinare le indagini. Fino a questo punto ci siamo limitati a scavare una buca, a tirare su una salma e a seppellirla per la seconda volta. Non abbiamo altro a parte due povere donne barbaramente uccise.
- ha ragione dottore.. ma, credo di aver capito qual è stato il nostro errore.
- il nostro errore…? Vorrà dire il suo errore..
- ho parlato con la dottoressa Valloni, il medico-legale che si è occupato dell’esame autoptico del cadavere del Lustri.
- la sua ex-fidanzata, vuole dire.
Il dott. Tommasi sapeva essere pungente come un cactus quando voleva attaccare il proprio interlocutore.
- non abbiamo parlato di noi, dottore, se è questo che intende dire.
- e allora?
- Allora abbiamo parlato delle impronte digitali sui corpi delle vittime. Avevo bisogno di capire se ci fossero possibilità scientifiche di riprodurre le caratteristiche di un’impronta digitale di un altro soggetto.
- dunque..?
- la risposta è stata negativa. Non è possibile ricostruire a tavolino le caratteristiche di un’impronta digitale, a meno che non si sia in possesso della sorgente stessa dell’impronta.
- vada avanti..
- Abbiamo a che fare con un emulatore avanzato, uno che ha fatto le cose in grande. La dottoressa mi ha spiegato che l’unica possibilità da prendere in considerazione è quella di considerare le impronte sui cadaveri delle vittime come direttamente provenienti da Francesco Lustri.
Il vice-questore accennò un sorriso che manifestava un non so che di irriverente.
- mi sta prendendo in giro, De Rossi! Lei sta dicendo che il Giocattolaio, morto sei mesi fa e seppellito a oltre tre metri di profondità, si è preso il lusso di resuscitare e ammazzare due donne.. beh.. lei sta rischiando davvero di essere sollevato dall’incarico, si rende conto, Commissario De Rossi.
- non ho detto questo dott. Tommasi. Sto semplicemente dicendo che la spiegazione a tutta questa storia può essere solamente una. Se diamo per scontato che il Lustri non possa essere il responsabile della morte della Secco e della Lucci, non abbiamo altra strada da seguire se non quella dell’arto artificiale.
- Commissario.. non la seguo.
- sono convinto che quella che abbiamo visto l’ultima volta non sia la mano destra reale del Giocattolaio ma una semplicissima protesi.
- E quella vera dove sarebbe finita?
- nelle mani dell’assassino, è l’unica spiegazione plausibile.
Il dott.Tommasi sembrava aver metabolizzato quella stramberia come un’ipotesi non del tutto trascurabile. Si mise le mani tra i capelli e guardò Vanni dritto negli occhi.
- e chi sarebbe il responsabile, De Rossi? Qualcuno che lavora al cimitero? Il Piersanti? O magari un dipendente delle pompe funebri…
- sto seguendo una pista, ma ho bisogno di confermare la mia teoria.
- mi sta chiedendo qualcosa, De Rossi? Non ci giri intorno..
- Ho bisogno che il magistrato firmi un nuovo ordine di riesumazione della salma.
- non se ne parla nemmeno, De Rossi!
- Dott. Tommasi, le dimostrerò che ho ragione! Mi conceda un’ultima possibilità! Se mi sono sbagliato le do la mia parola che rassegnerò personalmente le mie dimissioni dall’incarico.
Il vice-questore si alzò dalla sedia e raggiunse la finestra che dava sull’imbocco di Via Strinella. Trascorsero un paio di minuti immersi nel silenzio di quell’ufficio polveroso. Vanni lo guardava con l’aria del condannato che attende la chiamata del Governatore per la Grazia.
- d’accordo, Commissario. In fondo non ho motivo per negarglielo. Le indagini devono proseguire e credo che sia giusto provare. Ma badi bene, De Rossi, se l’indagine dovesse imboccare un altro vicolo cieco, mi troverò costretto a sollevarla dall’incarico.
- se sarà necessario sarò io a levare le tende, dottore.
- avrà il suo ordine entro domani alle undici.
Vanni De Rossi uscì dall’ufficio di Tommasi con in tasca la sua verità. Aveva tenuto per sé il nome del responsabile. Non voleva fare quel nome, non prima almeno di avere avuto le prove per gridarlo ai quattro venti.
10.
Vanni De Rossi contattò Gloria verso le nove di mattina. A quell’ora l’avrebbe trovata a casa. Dalla poltrona di casa sua poteva guardare fuori dalla finestra e scorgere il Castello. Il telefono continuava a squillare a vuoto e Vanni fu sul punto di chiudere la comunicazione. Proprio un istante prima di gettare il cellulare sul tavolo la voce di Gloria lo accolse con un tono che gli sembrava di non ascoltare da una vita intera.
- Vanni! Ciao!
Vanni rimase un momento interdetto, tutto quell’entusiasmo non era giustificato. La vedeva raramente entusiasta anche quando erano insieme, figurarsi adesso.
- ti sento allegra, Gloria.. che succede?
- sono solo contenta di sentirti, tutto qua.
Gloria contenta di sentirmi..?
- sei con lui..?
Gloria si schiarì la voce ed attese qualche istante prima di rispondere ad una domanda che non si era aspettata di ascoltare. Vanni aveva chiuso gli occhi e si era gettato dall’orlo del burrone.
-Franco.. ecco.. no, non c’è…
- che succede, Gloria? Qualcosa non va?
- è finita tra di noi, Vanni…o forse farei meglio a dire che non è mai cominciata.
Cominciata è cominciata….ne sono stato testimone oculare..
Vanni, fino a due giorni prima, sarebbe stato la persona più felice del mondo. Ora si sentiva diverso, svuotato. L’indagine, il nome del colpevole che gli bruciava sulla punta della lingua, Gloria.. tutto nella sua vita si stava ribaltando, ancora una volta.
- senti, Gloria.. ti va se ci vediamo? Ho delle novità sull’indagine.
Silenzio all’altro capo del telefono.
- Gloria, ci sei?
- Certo.. ci sono.. va bene.. vediamoci. Ti va di venire da me.. a cena?
- ne sei sicura?
- Se te lo sto chiedendo vuol dire che mi fa piacere.
Se solo me l’avessi chiesto prima…
- D’accordo, allora passo da te verso le nove.
Vanni si alzò dal divano e andò ad infilarsi l’impermeabile. Sarebbe passato in Questura a ritirare l’ordine del Giudice e sarebbe fuggito di corsa alla volta del cimitero. La sua vita e la sua carriera, due strade che Vanni aveva cercato sempre di tenere ben separate, si erano drammaticamente mescolate quasi fino a confondersi. Tutto era racchiuso in quella bara zincata seppellita a tre metri di profondità. La mano destra di Francesco Lustri sarebbe stata la risposta.
Aveva riflettuto tutta la notte. La sua teoria era plausibile. Il nome che aveva nella testa non lo faceva dormire.
Arrivò in Questura verso le nove e venti e raggiunse l’Ufficio di Tommasi. Il vice-Questore non lo fece neppure accomodare. Stava spettando il Prefetto e non aveva tempo di parlare con lui. Frugò nella tasca interna della giacca e gli porse una busta gialla. Conteneva l’ordine del magistrato.
- la ditta di pompe funebri è già stata avvisata, porta con te Corallo.
- grazie, signore.
Raggiunse l’ufficio di Michele Corallo.
- devi venire con me, Michele.. abbiamo grosse novità.
- di che si tratta?
- sbrigati.. dobbiamo andare immediatamente al cimitero. Ti spiego tutto in macchina.
Presero la macchina di servizio e accesero la sirena. Aggirarono le lunghe file di macchine in attesa di fronte al semaforo e in pochi minuti erano già davanti al grande cancello del Cimitero.
L’impresa di pompe funebri non era ancora arrivata e così Vanni raccontò la sua teoria a Michele.
- tu sei matto..
- rifletti Michele. C’è un’altra spiegazione possibile, secondo te?
Michele rimase in silenzio.
- beh…forse no.. non lo so Vanni, questa storia è assurda. Spero solo che tu abbia ragione, lo spero per te.. non voglio vederti saltare per aria.
In quel momento un grosso camion svoltò a destra ed entrò nell’ampio parcheggio del cimitero. La scritta “Bassi – onoranze funebri” , rossa su fondo bianco, richiamò l’attenzione di Vanni e Michele che fecero cenno all’uomo al volante di avvicinarsi all’ingresso destinato ai veicoli.
Poldo Piersanti, che aveva sentito la sirena dell’auto di pattuglia, si era avvicinato dalle parti dell’ingresso ed aveva aperto la grossa cancellata verde facendo strada al camioncino dell’impresa funebre.
Pochi stanti dopo fu la volta del medico-legale, un omino di mezza età, vestito elegante, con un viso tondo occupato per metà da un grosso paio di occhiali con la montatura di corno. Era seduto sul sedile posteriore di un’altra auto della polizia. Vanni riconobbe al volante l’agente Silvani e lo salutò con un cenno.
- sono il dottor Carli, sono stato convocato per il controllo di una salma.
- Molto piacere. Io sono il Commissario De Rossi e questo è il mio collega Michele Corallo. Credo che ci siamo tutti ormai, possiamo procedere.
- il signor Vice-Questore non sarà dei nostri?
- Non può presenziare, attende il signor Prefetto e ne avrà per tutta la mattina.
- oh, capisco. Se per i signori va bene, direi di andare.
Si incamminarono verso la tomba di Francesco Lustri, nato a L’Aquila il 25 settembre del 1950 e morto a L’Aquila il 14 aprile 2007. Poldo cominciò a scavare con la pala e ci vollero diversi minuti prima che l’ultimo strato di terra lasciasse spazio alla superficie liscia della cassa di mogano nella quale giaceva il Giocattolaio. L’impresa di pompe funebri si occupò della parte restante delle operazioni. Un operaio della ditta scese fino a toccare con i piedi la copertura della bara e cercò di fissare le catene di metallo allo scopo di creare una sorta di imbracatura per la cassa. Uscì fuori dalla buca e fece un cenno al conducente del camion che azionò i comandi per estrarre la bara e posizionarla all’esterno. Non appena la bara venne riportata per la seconda volta all’esterno, Vanni chiese ai presenti di rimanere all’esterno della camera mortuaria dove entrarono soltanto il Commissario, Michele e il medico-legale.
Poldo si occupò dell’apertura della bara e poi dovette abbandonare la scena anche lui.
Il medico-legale cominciò a visionare il corpo di Lustri in maniera superficiale prima di chiedere a Vanni di mostrargli l’ordine di riesumazione del cadavere firmato dal giudice.
- ci sarebbe da verificare la mano destra, dottore.- disse Vanni con impazienza.
Il dottor Carli infilò i guanti di lattice e prese la mano del cadavere. Ad una prima occhiata non si era reso conto della perfezione di quella riproduzione. L’attaccatura della protesi al polso della salma di Lustri era coperta dalla manica della giacca del vestito che indossava al momento della sepoltura. Vanni comprese l’importanza dei guanti bianchi con i quali era stato coperto il segreto che avevano finalmente svelato.
Michele Corallo guardò Vanni e attese che il dottore compilasse il referto prima di correre in Questura.
- si tratta di una comunissima protesi estetica in lattice. Si infila come un guanto e termina nei pressi del gomito – disse Carli cominciando a sfilarla dall’avambraccio di Lustri. L’arto era stato reciso all’altezza del polso e fasciato con un bendaggio approssimativo. Le garze avevano assunto una colorazione tra il violaceo e il rosso bordeaux.
Vanni osservava l’operazione in silenzio. Aveva avuto ragione, la sua intuizione era stata quella giusta. Immediatamente l’angoscia si impadronì di lui. Si rese conto che una parte di sé avrebbe preferito di gran lunga essere sollevata dalle indagini piuttosto che dover accettare il nome che aveva in testa ormai da oltre quarantotto ore.
Qualche metro più a sinistra rispetto alla posizione della camera mortuaria, un uomo stava inginocchiato davanti alla tomba di una perfetta sconosciuta di nome Sara Turilli fingendo di piangerne la morte. Pensò che la fase del pedinamento fosse terminata. Li avrebbero presi, questo pensò. Il gioco si era fatto rischioso e l’unica protezione che avevano era stata annullata.
Portava gli occhiali scuri e passò inosservato. Aveva visto il Commissario che entrava nella camera mortuaria ed era rimasto ad attendere che la bara fosse seppellita nuovamente. Si alzò, salutò la sconosciuta per la quale aveva finto di dolersi, si allontanò di qualche passo e fece la sua telefonata. Una voce di donna gli spiegò cosa avrebbe dovuto fare.
11.
Vanni decise che avrebbe vestito sportivo per quella serata speciale. Indossò una camicia celeste e una giacca sportiva blu. Si cosparse di acqua di colonia, quella che Gloria preferiva, e andò a prendere il dolce che aveva ritirato alla pasticceria di Viale della Croce Rossa.
Raggiunse Via Roma senza dover fare lo slalom nel traffico, la città quella sera sembrava quieta e Vanni riuscì addirittura a trovare parcheggio senza essere costretto a girare a circolo come spesso accadeva da quelle parti.
Parcheggiò la Ford Fiesta pochi metri oltre la Pizzeria dei Fratelli Rossi e scese dall’auto tenendo in mano la scatola di cartone marrone che conteneva il dolce.
Altre due auto erano ferme ai lati della strada. C’era una vecchia Volvo grigia parcheggiata per metà al di sopra del basso marciapiede con due uomini all’interno. Una Punto verde scuro sostava con la radio accesa e un uomo con le cuffie che armeggiava con i comandi alla ricerca della stazione giusta. Molto più indietro, mimetizzata tra i palazzi, una Golf.
Vanni suonò il campanello di casa Valloni e pochi secondi dopo il portone del palazzo antico si aprì davanti ai suoi occhi. Le grosse ante di legno massiccio si separarono di qualche centimetro e Vanni oltrepassò il grosso androne scuro. Salì la prima e la seconda rampa di scale e fu accolto da Gloria che l’aspettava ritta sulla soglia. Vanni non poté fare a meno di notare che era vestita in modo impeccabile, molto più elegante di lui, e portava gli orecchini d’argento che le aveva regalato lui qualche tempo prima.
Che intenzioni hai, Gloria..
-ciao, Gloria.. sei splendida – disse Vanni.
- anche tu non scherzi…vieni, entra.. la cena è in tavola.
Vanni conosceva a memoria ogni centimetro quadrato di quella casa. Per lunghi periodi quella era stata anche la sua casa. La loro era stata una convivenza sui generis. Avevano preferito avere sempre due appartamenti a disposizione. A turno si sistemavano nell’uno e nell’altro. Il profumo della cena aveva invaso l’anticamera della sala da pranzo e Vanni si accorse di avere un certo languore.
- accomodati, Vanni.. ti verso il vino.
- facciamo un brindisi, Gloria. Brindiamo a noi, a questa meravigliosa cena.. e anche a me.. oggi è stata una giornata importante, sai.
- davvero..? E come mai?
Gloria sembrava distratta, non faceva che guardare verso il piccolo corridoio dall’altra parte della stanza. Vanni ne approfittò per alzarsi in piedi e appoggiare il cellulare sulla piccola mensola sopra la tv, l’unico posto dove avrebbe avuto campo sufficiente per ricevere, lo sapeva bene.
Senza farsi notare da lei aveva sistemato una microscopica cimice tra un libro di cucina ed uno di Robin Cook, il suo autore preferito.
- ho seguito il tuo consiglio, Gloria, mi sono concentrato sul cadavere del Giocattolaio e ho scoperto una cosa incredibile.
- davvero..? E cosa hai scoperto?
Sei sempre stata brava a fingere, vero Gloria?
- era come dicevi tu.. tesoro.. non è che ci fossero tante spiegazioni possibili. O qualcuno aveva copiato le impronte del Giocattolaio.. e tu mi hai spiegato che non sarebbe stato possibile, oppure…
- oppure?
- dimmelo tu, tesoro..
- di cosa stai parlando, Vanni?
Il tono della voce di Gloria stava perdendo volume ed intensità.
Ecco i vantaggi di conoscere i punti deboli di una donna…
-tesoro.. dov’è il tuo mago delle protesi?
Gloria cominciò ad indietreggiare mentre Vanni si avvicinava a lei sempre di più.
-stai lontano da me.. hai capito!
- Calmati, tesoro.. voglio solo parlare con te..
- Non so di cosa tu stia parlando! Cosa cerchi di dimostrare?
- Avanti Gloria, non hai scampo.. scommetto che si ci impegniamo bene troviamo anche il modo di incastrarti. Tu sei stata l’unica ad avere avuto accesso al cadavere di Lustri prima che fosse seppellito. Certo, devo riconoscere che hai fatto davvero un bel lavoro. Hai amputato la mano destra del vecchio Lustri e l’hai sostituita con un arto artificiale.. geniale.. davvero geniale! Una protesi in lattice.. non riuscivo a crederci! E hai pensato proprio a tutto.. hai persino fatto in modo che il cadavere indossasse i guanti! Così nessuno di noi avrebbe pensato che una delle due mani fosse tarocca. Complimenti, davvero!
Gli sportelli delle auto parcheggiate lungo i bordi di Via Roma si spalancarono e gli agenti in borghese ne uscirono fuori con le pistole di ordinanza in mano. Michele Corallo guidava la fila. Entrarono nel palazzo e si appostarono davanti alla porta dell’appartamento di Gloria.
Giorgio Bucci, l’uomo che cercava la stazione radio nella punto verde, continuava ad ascoltare il dialogo tra i due attraverso un auricolare. Fece un cenno a Michele e lui annuì. Tutto sotto controllo, il Commissario se la stava cavando egregiamente.
Gloria era immobile in fondo alla stanza. La cena si stava raffreddando e Vanni la guardava con occhi di ghiaccio. Era stata scoperta. Non aveva più senso nascondersi.
- dov’è il tuo amichetto, Gloria? Non vorrai mica farmi credere che hai fatto tutto da sola? La protesi è stata un regalo del tuo caro dottore, non è vero? Una specie di pegno d’amore..
Gloria continuava a guardare alle spalle di Vanni.
Un ombra si muoveva lungo lo stretto corridoio che collegava la sala da pranzo con la zona notte. Impugnava una pistola maneggevole dalla canna piccola e passo dopo passo si stava avvicinando in sala da pranzo. Quando Gloria lo vide apparire alle spalle di Vanni ebbe un sussulto. Probabilmente, senza l’aiuto dello specchio che aveva di fronte, Vanni sarebbe morto sotto i colpi della pistola del dottor Del Pinto, primario del centro ortopedico “S.Costanzi”. Vanni aprì la confezione di cartone che doveva contenere un torta millefoglie e prese la pistola che era adagiata in mezzo ai fogli di giornale. Si voltò di scatto e colpì Franco al corpo e alla testa. Il corpo del medico fu catapultato contro la parete e la sua camicia bianca si macchiò di grossi cerchi color porpora.
Gloria urlò con tutta la forza che aveva.
Gli agenti, uditi gli spari, sfondarono la porta dell’appartamento della donna e nel giro di pochi istanti nella stanza rimase solo silenzio.
Vanni non aveva intenzione di mettere le manette a Gloria. Aveva chiesto a Michele di occuparsi delle formalità. Il mandato di arresto per Gloria Valloni ce l’aveva Giorgio Bucci. Quello per il dottor Franco Del Pinto non sarebbe servito più a niente.
- non ne voglio sapere più nulla, Michè.
- non preoccuparti, Vanni. Penserò a tutto io. Tu ora vai a casa e fatti una doccia. Con Tommasi parlerò io.
- grazie Michele.
- Vanni..
- dimmi…
- sei stato grande, davvero.
Vanni si alzò dal divano, quello stesso divano dal quale per anni avevano guardato la tv insieme, si infilò l’impermeabile ed uscì sulla strada. Non appena fu fuori dal palazzo di Via Roma n. 15 frugò all’interno della giacca e tirò fuori un pacchetto nuovo di zecca di Benson Blu da venti. Lo aveva comprato tre ore prima e non l’aveva ancora aperto.
Entrò in macchina e guidò verso casa.
Ripensò a Gloria, a quell’ultima occhiata che si erano lanciati prima che lei fosse scortata fuori da casa sua e accompagnata in Questura. Quella volta lo aveva guardato con occhi migliori che in altre occasioni. Vi aveva letto una grande paura e richiesta di aiuto.
Si era vestito bene quella sera, proprio come piaceva a lei. La camicia celeste era quella che lei gli aveva comprato qualche tempo prima, forse per un compleanno.
Le lacrime che cominciavano a piovergli giù dagli occhi la colorarono di mille macchie blu.
12.
“Lo amavo, con tutta me stessa. Quando ho capito che Francesco era l’assassino mi sono sentita in trappola. Era cominciato tutto come una scappatella, Francesco mi riempiva di attenzioni e sentivo che la mia storia con Vanni era conclusa. Parlavo con lui, ogni sera, di Francesco. Non ho sospettato niente fino a quando non ho trovato la valigia con le bambole, i peluche e gli altri giocattoli. Non potevo denunciarlo, io l’amavo davvero. Ma c’era Vanni, una persona per la quale provavo un profondo affetto ma che non poteva più starmi accanto. Mi sentivo schiacciata tra l’incudine e il martello. Da una parte c’era l’uomo che amavo, proprio lui.. il Giocattolaio. Dall’altra c’era Vanni, che si sfogava con me perché non riusciva a catturarlo. Sono stata sul punto di scappare, di andarmene via lontano da tutto e da tutti. Francesco non sapeva che avevo scoperto la sua identità. Ho scelto di difenderlo, ho scelto il silenzio. Ogni volta che guardavo Vanni negli occhi mi sentivo una strega, non avevo il coraggio di guardarlo in faccia. Si fidava di me, gli auguro tutta la felicità possibile.
Quando Francesco si è tolto la vita qualcosa dentro di me si è spezzato. Non riuscivo a credere che l’uomo che amavo fosse morto. In quel periodo mi vedevo con Franco, stavamo bene insieme. Mi piaceva, era un tipo affascinante. E, soprattutto, mi avrebbe aiutato nel mio piano. Avrebbe fatto qualunque cosa per me. E’stato lui a darmi quella protesi di lattice ma non ha ucciso nessuno. Ho fatto tutto da sola.
Quando mi sono trovata davanti il suo corpo bianco, con le occhiaie viola ho avuto una crisi, non so come altro definirla.
Il mio cuore mi chiedeva di seguirlo, di completare la sua opera. Volevo essere come lui, volevo avere la sua forza, la sua fantasia. E’così che ho deciso di prendere il suo posto. Lo amerò per sempre”
Michele, dopo aver riletto la pagina di quel verbale per l’ennesima volta, decise che avrebbe scelto anche lui il silenzio, proprio come Gloria. Infilò la pagina stampata nel fascicolo che conteneva tutto l’incartamento sul caso “Gloria Valloni” e lo gettò nello schedario. Chiuse a chiave l’ufficio e se ne tornò a casa.
23 settembre 2007 alle 2:55 pm
Ciao Luca. Quando ho visto il tuo racconto così lungo mi sono detto “vabbe’ magari intanto lo comincio, poi finisco domani…”. Invece ho cominciato e non sono riuscito a smettere fino alla fine
Complimenti per come riesci a tenere un ritmo serrato, per l’accattivante simpatia dei personaggi, per la trama.
Grazei per avercelo fatto leggere.
25 settembre 2007 alle 6:03 am
mi è piaciuto molto riesce a coinvolgerti e non è per nulla scontato….
20 novembre 2007 alle 10:33 am
Un giallo coi fiocchi! Ma come sei riuscito a scriverlo? Hai preparato una scaletta prima di cominciare? Quante volte hai dovuto revisionarlo?
24 novembre 2007 alle 7:43 am
Ciao Chris, anzitutto volevo ringraziarti per la pazienza dimostrata nel leggere questo racconto.
Che dirti… l’ho scritto in tre giorni (prima stesura) e l’ho revisionato almeno altre tre volte. La scaletta ce l’avevo in testa da un pò di tempo, era un’idea che mi frullava per la mente da qualche tempo.
Sono estremamente conento che ti sia piaciuto. Se ti interessa la stesura di gialli ti consiglio di leggerne diversi prima di cimentarti… la lettura di un buon libro giallo ti insegna a ragionare in termini di prevedibilità ed è più facile trasformare in parole quello che la testa suggerisce. Grazie ancora infinitamente per aver letto il mio lavoro. Un saluto grande!
25 aprile 2009 alle 8:45 pm
Ciao Luca,
eccomi qua a commentare i tuoi lavori.
Li ho letti quasi tutti (anche quello truculento…)e mi riservo di finire nei prossimi giorni.
Devo dire che scrivi bene, sei essenziale, accurato e tratteggi immagini originali, questo per quanto riguarda lo stile.
Le trame sono interessanti ben congegnate e dimostrano una bella fantasia, che ti invidio.
Ho scelto di scrivere su questo giallo perchè parli tanto de L’Aquila; si capisce che ami molto la tua città e cerco di immaginare il tuo stato d’animo di fronte a tanto scempio e a tanta tragedia. Non so che valore possa avere, ma sappi che tutta l’Italia partecipa con passione al vostro dramma; stringe il cuore vedere le tende e le strade allagate, gli stendipanni coperti da un telo di nylon nella speranza che qualcosa asciughi, sapervi raffreddati…è inutile che elenchi quanto fa vedere la televisione, tu lo sai più di me. Senza parlare dei lutti.
Cosa augurarvi? Prima di tutto la realizzazione rapida di abitazioni dignitose ancorchè provvisiorie e poi, soprattutto, che abbiate la capacità di rimanere uniti per pretendere il massimo dallo stato e onestà da parte di chi sarà chiamato alla ricostruzione; non fatevi abbindolare, non stancatevi di vigilare, siate duri, inflessibili, fate casino per evitare che cali l’interesse nei vostri confronti, in questi casi meglio una parola e un’azione in più piuttosto che una in meno.
L’anno prossimo compio 60 anni e, presumendo che tu possa essere mio figlio o mio nipote, ti abbraccio forte e, attraverso te, abbraccio tutta la tua gente…coraggio!