La fabbrica d’inchiostro

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“Il mondo di Jeff”

Pubblicato da luca il 5 novembre 2007

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                            “ IL MONDO DI JEFF”

 

 

La donna in abito scuro aprì il libro con la copertina di cuoio nero e intinse la punta della piuma nel piccolo calamaio colmo per metà.

Con gli occhi schermati dalle lenti degli occhiali passò in rassegna la lista di nomi che riempivano la pagina ingiallita di quel diario improvvisato.

Dopo aver inserito nell’elenco il nome di Susan Blake  chiuse il libro e lo ripose nel cassetto dello scrittoio. La porta della stanza socchiusa nasconde la metà del viso di un bambino. Un occhio azzurro e uno spicchio di bocca semiaperta cercano di farsi largo tra le lame d’ombra e di luce opaca delle candele. La donna accarezza i capelli di una bambola di pezza.

-Ora!- grida la donna.

Una nuvola viola della forma di un volto circonda la sagoma della bambola.

 

La prima volta in cui Nick pensò di aver udito quel suono imputò tutto alla sua immaginazione.

La seconda volta dedicò qualche istante in più ad una riflessione che assumeva sempre di più i contorni della follia.

La terza volta si mise in cerca della fonte di un orrore che cresceva ad ogni nota di quel file midi.

Perché di un midi si trattava.

Erano le quattro di un pomeriggio qualsiasi. La sua casa si era allargata esponenzialmente dopo la morte di Susan. Il bagno era tornato suo dopo anni in cui era stato diviso in due settori virtuali. Non c’erano più i flaconcini di medicinali e le matite per gli occhi. Non c’erano più lo spazzolino elettrico e il dentifricio al lampone. Non cera più Susan.

Non può essere vero, pensò. Il suono sembrava provenire da una dimensione parallela, da un palcoscenico lontano chilometri, da un altoparlante ricoperto di terra e rifiuti. Una musica semplice e riconoscibile. Il pianoforte di Beethoven che veniva riprodotto dai file di sistema di un telefono cellulare.

Nick aveva avuto l’impulso di chiudere gli occhi per impedire al fiume di lacrime di tracimare fino ad annegare i mobili e i ricordi custoditi in quell’appartamento. Nuotava in uno stato di semi-incoscienza.

E’solo nella mia testa. Non lo sto ascoltando per davvero…

D’improvviso la sua mente disegnò un’immagine forte e nitida finendo per sostituire tutto quello che stava osservando con gli occhi. Nick si alzò di scatto dal divano e corse fino alla sua camera da letto. Rimase ancora un attimo sulla soglia, a combattere con una voce interiore che gli raccomandava di tornarsene di là e di smetterla per sempre con gli psicofarmaci.

Nick spense l’interruttore della sua voce interiore e sedette sul letto matrimoniale. Con il palmo della mano accarezzò il cuscino di Susan. Il trillo ora aveva un volume diverso, più forte. Il comodino dal lato di Susan sembrava vibrare in preda agli spasmi generati da quelle note metalliche.

Con  mano gelida e  tremante aprì il cassetto di legno e si rese conto di non aver sognato. Il cellulare di Susan stava urlando – questa fu la sensazione di Nick – ed era la terza volta che succedeva nell’ultima settimana.

Non può essere…. Chi la sta chiamando? I suoi amici erano al funerale…. Tutti sanno della sua morte…

Nick scelse la via della razionalità. Pensò immediatamente che la chiamata dovesse provenire da qualcuno che non era stato informato della scomparsa di Susan. Non c’è altra spiegazione, pensò. Prese il cellulare che non la smetteva di frignare e lesse con gli occhi le cifre lampeggianti sul display. Un numero di qualcuno che non era in rubrica, naturalmente.

Un numero inesistente?

Un numero che non aveva mai visto.

-Pronto? – disse Nick con voce impregnata di tabacco e paura.

Una voce sconosciuta iniziò a parlare. Sembrava provenire da una persona malata di enfisema polmonare. Nick non riuscì a decifrare il sesso dell’interlocutore.

-Pronto!- ripetè lui.

-Ho la nausea….non so dove mi trovo…-

-Pronto..chi parla!-

-Vienimi a prendere…..ho paura di cadere!-

Nick chiuse la comunicazione con un semplice click sul pulsante rosso.

Sentiva il sudore imbrattargli il palmo della mano con la quale teneva il piccolo cellulare argentato. Per qualche istante attese in silenzio che la luce verde lampeggiante del display tornasse ad illuminare quelle cifre ma non accadde nulla.

 

Al piano di sotto una donna in lacrime stringe suo figlio baciandogli occhi e guance.

-E’tutto a posto tesoro…stai tranquillo. –

-Tutto a posto mamma…mamma, non farlo…ti prego.. -

-Vuoi che Nick ti veda piangere? –

-No…-

La donna accarezza suo figlio sulla fronte e inizia a parlare.

-Si quiescere licet …si cognoscere non licet …morbus nascitur!

Il bambino, dopo un breve sussulto, rimane immobile con gli occhi fissi su un punto al centro della parete che soltanto lui è in grado di vedere. Poi, comincia a parlare.

-No mamma..Jeff non vuole che Nick  lo veda piangere..mamma…Jeff è ok..-

Il bambino torna nella sua stanza. Non può parlare. Ora può solo ascoltare.

Non fa in tempo neppure a varcarne la soglia della sua camera che viene attaccato da lamenti e grida di aiuto che il suo stato di incoscienza veicola nella sua mente. Prova a tamponare il tamburellare perverso di quelle voci con premendosi i palmi delle mani sulle orecchie ma non è così che può fermarle. Quelle voci sono nella sua testa, non nelle sue orecchie.

-Smettetela…vi scongiuro…smettetela…- dice lui con voce fioca e sonnolenta.

La voce della donna lo chiama. La riconosce. E’una voce amica.

E’una voce prigioniera all’interno della sua stanza. Il bambino si volta verso il punto da cui sente provenire quella voce.

Il bambino si avvicina all’armadio che sa di non dover aprire.

Sua madre non vuole che si apra.

Il bambino allunga la mano verso il pomello dorato e accompagna con un sospiro il cigolio dell’anta di destra che si allontana da quella di sinistra.

Poi, la vede.

E’lì, davanti a lui. A testa in giù.

Il bambino guarda negli occhi la bambola che parla nella sua testa. L’azzurro delle sue pupille si mescola al marrone dipinto sulle due piccole sfere di plastica fissate sul viso della bambola di pezza.

-Aiutami Jeff… ti prego…-

La donna entra nella stanza di Jeff e osserva la scena.

-Chi sei tu..? – chiede il bambino con la voce della sua fantasia.

-Aiutami… ti prego…-

La donna, rimasta sulla soglia, ascolta in silenzio il resto della conversazione. Il bambino è immobile dinanzi alla sua bambola rovesciata e la donna, osservandone i movimenti del capo, ha la sensazione di vederlo annuire.   

 

Nick iniziò a riflettere.

Il numero apparso sul display del cellulare di Susan era composto da dieci cifre consecutive.

+0123456789

Come poteva essere possibile? Nessun numero di cellulare prevedeva uno schema come quello. Di regola il numero era composto da un prefisso e da una successiva serie di cifre.

Trascorse mezz’ora prima che Nick decidesse di compiere una prima logica operazione. Premette il pulsante che permetteva di visualizzare sul display le ultime chiamate ricevute e selezionò lo strano numero di dieci cifre consecutive. Premette il tasto OK e inoltrò la chiamata. Dopo un leggero ronzio la voce registrata lo informò che il numero chiamato era inesistente.

Nick rimase ancora un po’ ad osservare quella strana serie numerica.

Tentò ancora una volta di raggiungere il misterioso mittente prima di sentirsi confermare da quella voce di donna invisibile dell’inesistenza del numero digitato.

Nick controllò l’orologio e si accorse di essere in ritardo.

Gli aveva promesso che sarebbe tornato presto a trovarlo. E quando prometteva qualcosa a Jeff, la promessa si trasformava immediatamente nel più importante debito da saldare.

 

La stanza di Jeff era arredata in modo semplice.

Un armadio, una piccola scrivania e un letto occupavano la metà di sinistra della camera. Una città costruita con tutti i suoi giocattoli preferiti impegnava totalmente il resto dell’ambiente. Le due parti della stanza di Jeff sembravano essere divise da una linea di confine immaginaria. Due mondi separati solo dalla volontà del padrone di casa.

-Salve Irene – disse Nick

-Ehi Nick, come ti senti?-

L’odore d’incenso impregnava ogni ambiente dell’appartamento.

-Abbastanza bene, tutto sommato.-

-Ancora non riesco ad abituarmi all’idea che Susy…-

Irene era fatta così. Comprendeva perfettamente quanto non fosse piacevole per Nick che qualcuno gli ricordasse costantemente che la sua donna era passata a miglior vita; tuttavia, ogni qualvolta gli capitasse di incontrarlo non poteva trattenersi dall’esternare tutta la sua partecipazione.

Susan e Irene avevano costruito un sincero rapporto di confidenza e complicità da quando lei si occupava del piccolo Jeff.

La sua morte aveva lasciato il segno. Per tutti.  

-Grazie, Irene…sto cercando di andare avanti. Jeff…è in camera sua?-

-Certo, dove vuoi che sia? Starà giocando con quei mostri che gli piacciono tanto…Vieni, ti accompagno.-

-Non occorre, grazie.-

Nick  conosceva la strada che avrebbe avuto come capolinea quello che Irene chiamava “Il mondo di Jeff”.

Quella stanza rappresentava tutta la sua vita. Tutto ciò che non poteva avere al di fuori di quelle quattro mura a causa della sua malattia, Jeff se lo era creato nella sua stanza. I suoi amici erano i “Real Masters”, umanoidi venuti dallo spazio per colonizzare il pianeta Terra. Il suo cane era un Alaskan Husky di peluche di nome Buck. Nonostante si trattasse di un mondo fatto di plastica e fantasia, la mente di Jeff se ne alimentava quotidianamente permettendogli di vivere una vita surreale, ma felice.

-Ciao Jeff!- disse Nick sorridendo.

Jeff lo aspettava seduto sulla sua sedia verde, quella personale. Si mordicchiava le dita senza fare forza.

-Ciao Jeff..ciao Jeff..ciao Jeff… – fece lui dondolandosi avanti e indietro a velocità sempre maggiore. Era il comportamento con il quale manifestava tutto il suo affetto nei confronti di Nick.

-Anch’io sono contento di vederti, Jeff. Come stai?-

-Jeff ama Susy Blake…Jeff ama Susy Blake….Jeff ama Susy Blake…-

Nick strabuzzò gli occhi e per un istante si sentì mancare il terreno sotto i piedi. Era la prima volta che Jeff si esprimeva in quel modo ed era la prima volta che pronunciava il nome di Susan.

-Jeff…ma..che stai dicendo?-

-Jeff dice Susy Blake….dice Susy Blake…che stai dicendo Jeff…Jeff che stai dicendo?-

Nick si rendeva conto di avere scarse possibilità di decifrare il linguaggio di Jeff.

Improvvisamente Jeff si alzò dalla sedia e prese per mano Nick fino all’astronave dei “Real Masters”. Nick osservò i piccoli corpi di plastica vestiti di armature futuristiche ed armi di distruzione di massa disposti su piccoli scaffali di legno in ordine quasi simmetrico. Dieci a destra e dieci a sinistra. Buoni contro cattivi, pensò Nick.

Jeff ne prese uno e lo consegnò nelle mani di Nick.

-Apri Nick…apri Nick…apri Nick…- disse Jeff.

-Non capisco Jeff…cosa stai cercando di dirmi?-

Nick cominciò a guardarsi intorno. Non aveva mai prestato particolare attenzione al suo mondo di giochi se non per un aspetto del tutto evidente. Nel suo mondo regnava l’ordine più assoluto. Ogni singolo pezzo della sua collezione di Masters non veniva spostato neppure di un centimetro. Tutto era sempre identico.

C’era qualcosa che Nick aveva però notato sin dal primo giorno. Quando Jeff si spostava dalla zona “notte” alla zona “giochi” sembrava un bambino diverso. Nick aveva la sensazione che anche le sue capacità di comunicazione subissero un cambiamento radicale. Jeff sembrava più presente.

-Cosa vuoi dirmi, Jeff?-

-Cosa vuoi dirmi Jeff..cosa vuoi dirmi….Susy Blake…..- rispose Jeff che cominciava ad agitarsi.

Jeff, tenendolo per mano, condusse Nick a pochi passi dal grande armadio.

-Susy…-

In quel momento Irene irruppe nella stanza con aria visibilmente preoccupata.

-Che succede, Nick?-

-Credo che stia cercando di dirmi qualcosa…a proposito di Su..-

-Jeffery..tesoro…vieni dalla mamma…- fece Irene allargando le braccia come per offrirgli un abbraccio affettuoso.  

Jeff sembrò volersi allontanarsi dall’offerta di sua madre.

Nick si avvicinò a lui per parlargli all’orecchio, proprio come faceva Susan. Bisognava usare la massima cautela nel porgli domande. Quando la gestualità di Jeff iniziava a farsi maggiormente nervosa, Nick sapeva come comportarsi.

Bisbigliò poche parole all’orecchio del ragazzo che smise di agitarsi ed appoggiò la testa sulla sua spalla con aria dimessa.

-Che cosa c’entra Susy?- chiese Nick

-Prigione….Susy…prigione…che cosa c’entra Susy?- disse Jeff indicando qualcosa davanti ai suoi occhi.

-Prigione?- fece Nick seguendo la linea immaginaria che partiva dall’indice di Jeff e andava a morire al centro dell’armadio di legno.

Improvvisamente Jeff cominciò ad urlare fragorosamente premendosi le tempie con i palmi delle piccole mani come se fosse in preda ad un’emicrania insopportabile.

La sua testa roteava a destra e sinistra e la sua voce si faceva sempre più stridula ed acuta.

-Che ti succede, Jeff!!-

Irene, che osservava rimanendo in silenzio, apparve alle spalle di Nick con gli occhi iniettati di terrore.

Si avvicinò a suo figlio e lo abbracciò forte.

Jeff la colpì sulla fronte con la testa che, senza controllo, ancora andava dondolando a destra e sinistra, avanti e indietro. Irene, invece di allentare la presa, rimase saldamente ancorata al corpo di suo figlio riuscendone a tamponare gli spasmi fino a restituirgli tranquillità e sicurezza. Le scariche elettriche che avevano fatto sobbalzare il corpo di Jeff si trasformarono lentamente in delicati singhiozzi.

Nick aveva osservato la scena senza battere ciglio.

Se ne andò dalla stanza di Jeff con la sensazione di avervi lasciato dentro molto di più di quello che credeva di avervi trovato.

Tornò a casa e sprofondò sul divano. La sua mente era un turbino di emozioni.

Jeff e Susan.

Perché Jeff aveva parlato di Susan?

 

La donna guarda gli occhi socchiusi di suo figlio.

-Nunc insanus morbus cessat! Che il morbo insano lasci questo corpo!

Il bambino apre gli occhi e guarda la donna.

Le voci nella sua testa smettono di intonare la loro melodia di lamenti e grida di dolore.

Non ricorda niente.

 

Sono le otto quando Nick  riceve un’altra telefonata.

Il display vomitata luce verde intermittente svelando agli occhi dell’uomo le dieci cifre consecutive.

-Pronto! Maledizione…ma chi è!-

La voce ora sembrava aver assunto la consistenza del vento. Le parole sembravano sibili sottili e deliranti. Nick poteva percepire sentimenti di desolazione e di paura che circondavano ogni singola sillaba di quella richiesta di aiuto venuta dal nulla.

-Nick….. vienimi a prendere…-

La comunicazione venne interrotta immediatamente, stavolta per iniziativa del misterioso utente telefonico.

 

-So cosa hai fatto, Jeff- disse Irene.

-Mamma…-

-Tu lo sai dov’è andata Susy..vero?-

Jeff guardava sua madre con occhi vuoti e trasparenti.

-Tu lo sai,vero? Puoi dirmelo, Jeff..-

-Mamma, perché prendi le persone morte? Io le sento, mi chiamano ogni volta che mi fai ammalare.. quando parli in quella lingua strana..-

Irene inarcò le sopracciglia  e si guardò le mani magre e nodose. Tornò a guardare Jeff.

-Si chiama latino, Jeff..è una lingua molto antica..-

-Non voglio più ascoltarle mamma…le voci..-

-Cosa ti dicono, tesoro?-

-Mi chiedono di liberarle.. sono dentro ai miei giochi.. lo sento….anche Susy è andata lì dentro.. oggi mi ha parlato..-

-L’hai detto a Nick?-

-No, mamma…quando sono malato non riesco a parlare bene… tu mi rubi la voce…non tutta, ma tanta sì.. e poi non mi ricordo più niente…-

Irene accennò ad un sorriso prima di scomparire.

Pensò a Nick.

Aveva osservato di nascosto suo figlio che lo prendeva per mano e lo portava davanti all’armadio dove lei aveva nascosta la bambola di pezza. Jeff stava cercando di comunicare con lui, ne era certa.

 

-Pronto?- sussurrò Nick.

Nick, strappato con violenza all’abbraccio del sonno, aveva rovistato tra le coperte e aveva trovato il suo cellulare che suonava.

-Nick….sono Irene…devi salire da noi….sbrigati! – disse lei con tono ansioso.

-Che succede, Irene?- disse Nick con gli occhi ancora gonfi e la bocca impastata dal sonno.

-Sbrigati, Nick!- fece lei chiudendo la comunicazione frettolosamente.

Nel giro di un paio di minuti Nick era già sul pianerottolo di Irene. La donna venne ad aprirgli la porta e lo scortò rapidamente nella stanza di Jeff.

Mentre raggiungevano la camera del ragazzo, Nick la prese per un braccio bloccandone l’andatura sostenuta.

-Irene…mi vuoi spiegare..-

-Si tratta di Jeff. Subito dopo cena l’ho portato in camera e sono rimasto con lui qualche minuto. Stava bene. Poi, all’improvviso, ha cominciato a gridare, a dire cose senza senso.. non sapevo che cosa fare. Non ti avrei chiamato se…-

-Se…?-

-Se non avesse cominciato a parlare….in modo corretto, intendo…-

-Stai scherzando?-

-No, Nick! Ti assicuro che non volevo crederci.. come pensi che mi sia sentita io dopo anni di sofferenza? L’ho sentito parlare come un bambino normale. Ha parlato…. di Susy.

Nick, che ancora teneva Irene stretta facendole pressione sull’avambraccio, indietreggiò fino ad appoggiarsi con la schiena contro il muro.

-Irene… se è uno scherzo…-

-Vieni a vedere tu stesso…-

-Anche oggi è successo, Irene…ne ha parlato anche a me…mi vuoi dire cosa succede!

Irene accennò ad un sorriso.

Seguì con lo sguardo i rapidi spostamenti di Nick che si addentrava nel “mondo di Jeff”.

Non appena fu dentro il sangue che scorreva nelle sue venne divenne gelido come neve. Il battito cardiaco si trasformò nel feroce rintocco di un’orologio a pendolo impazzito.

Jeff era sdraiato su un fianco e non la smetteva di tossire.

Nick si voltò di scatto.

Dietro di lui c’era una donna che non somigliava più a Irene Neil.

Il suo volto era segnato da rughe nere e profonde. Sembrava invecchiata di vent’anni. Era il viso della paura e dell’orrore. Prima che sua madre potesse parlare  Jeff sollevò a fatica il viso da terra e guardò Nick con occhi vigili e attenti. Si trattava di uno sguardo che Nick non aveva mai visto disegnato sul volto del ragazzo.

-Nick…Susan…è qui -

Nick tentava di respirare ma l’ossigeno che inalava sembrava rifiutarsi di riempirgli i polmoni.

Jeff gli indicò un oggetto nero abbandonato in un angolo. Nick seguì con lo sguardo l’indicazione che Jeff gli stava suggerendo con l’indice della mano destra. Fece qualche passo prima di visualizzare nitidamente l’immagine di un telefono cellulare.

Quando lo raccolse notò immediatamente che si trattava di una semplice imitazione, un telefono di plastica con l’antenna estraibile e con il display sostituito da un semplice adesivo trasparente.

Sull’adesivo erano stampate dieci cifre, tutte consecutive.

+0123456789

Irene sostava pochi passi più indietro, silenziosa e austera nel suo abito nero.

-Non capisco, Jeff….-

Nick gettò il finto cellulare sul letto e si voltò a guardare Irene. La donna piangeva sangue da entrambi gli occhi. Nick si voltò dall’altra parte per evitare di guardare le sottili colate rosse che dagli occhi andavano a morire intorno alle labbra e fin sotto al mento.

-Irene… che significa tutto questo! – gridò Nick.

-Mia madre….l’ha presa lei, capisci Nick! – disse Jeff  con voce tremante.

-Jeff…come fai a parlare in questo modo!-

Improvvisamente Irene prese la parola.

-Vuoi rivederla, Nick..?-

Nick non la smetteva di spostare lo sguardo da madre a figlio.

Nel momento in cui le ante dell’armadio furono spalancate Nick potè vedere chiaramente la sagoma di una bambola appesa a testa in giù e legata ai due bracci di una stampella nera.

La bambola aveva un grosso spillo piantato al centro del torace.

Nick rimase a guardarla senza proferire parola.

Si avvicinò lentamente verso essa e ne osservò il vestitino ricamato. All’altezza del petto, cucite con filo rosso, Nick lesse le lettere del nome della sua donna.

-Non la riconosci…Nick? E’proprio lei, è Susan. Ha anche i capelli dello stesso colore, non credi? Sono stata io a ucciderla. Custodisco le anime dei morti. Ho preso l’anima di Susan ma mio figlio mi ha scoperto. Non so come ci sia riuscito ma la verità è che in qualche modo ha cercato di avvisarti. Non  riuscivo a capire come avesse fatto.

-Che stai dicendo, Irene! Susan è morta di….-

Infarto… pensò Nick.

Quel dolore al petto… Susan si lamentava per quel dolore forte al petto….

Nick guardò lo spillone che trafiggeva il corpicino della bambola di pezza esattamente tra la S e la A  del nome Susan.

Nick raggiunse la bambola appesa a testa in giù ed estrasse lo spillone. Lo teneva in mano come una spada.

Tornò con la mente alle telefonate ricevute.

Ho la nausea…

Vienimi a prendere…

Ho paura di cadere…

-Chi sei…che cosa sei… – disse Nick respirando a pieni polmoni l’odore d’incenso che impregnava ogni angolo di quella casa.

Jeff si mise in piedi e guardò sua madre per un momento prima di rivolgersi nuovamente verso Nick.

-E’lei che ti chiama….e lo fa dal mio telefono di plastica. E’intrappolata lì dentro. Ora vuole solo andare via, vuole essere liberata dalla sua prigione.

Prigione..

Prigione..

Nick ripensò ad ogni singola parola che aveva ascoltato attraverso il cellulare della sua Susan.

-Liberala!-gridò Nick.

Nick si scagliò come una furia verso Irene che gli si parò di fronte senza timore.

-Non muoverti, Nick!-

Per un attimo non riuscì ad avvicinarsi a lei più di qualche passo, come se fosse respinto da una forza invisibile ma  potente. Si sentiva bloccato, come se una morsa invisibile gli stringesse le caviglie impedendogli di rimanere in equilibrio.

Irene allargò il manto nero che la avvolgeva come un vampiro mostrandogli un pupazzo che teneva stretto per le gambe come un tacchino in attesa di essere giustiziato. Con movimento lento strinse ancora di più il pupazzo all’altezza delle scarpe di plastica marrone.

Nick si sentì cedere le caviglie fino a che perse l’equilibrio cadendo rovinosamente ai piedi del letto di Jeff.

-No, mamma!- grido il bambino.

Irene sovrastava Nick come un’ombra. Si abbassò verso di lui avvicinandogli il viso bianco ancora striato di linee rosso sangue.

Non si accorse di Jeff che alle sue spalle la trafiggeva con il grosso spillone che per giorni aveva tormentato la bambola prigioniera di nome Susan.

  

Jeff aveva smesso di piangere da pochi minuti quando Nick trovò la forza di parlare con lui. La tazza di cioccolata, vuota per metà, aveva smesso di bruciare e Jeff ne sorseggiò ancora qualche goccia.

Si sentiva al sicuro, a casa di Nick.

-Jeff… come fai a parlare?-

-Non sono malato, Nick.-

-Come sarebbe a dire?-

-E’stata mia madre… mi ipnotizzava.. mi diceva di essere malato. Ed io diventavo malato. Non potevo parlare con nessuno.

-Perché ti faceva questo?-

-Non lo so, Nick. Ne ha presi tanti. Sono tutti nella mia stanza. Sono circondato dalle anime di gente morta. Sono i miei giochi. Tutti i miei giochi nascondono una persona morta. Lei era imprigionata in quella bambola. Mia madre prendeva i miei giochi e ci nascondeva dentro le persone morte.-

-Come hai fatto a scoprirlo, Jeff?-

-Quando ero malato non potevo parlare come tutte le persone normali… però potevo sentire le persone morte che si lamentavano, che volevano uscire dai miei giocattoli. Ho sentito la voce di Susan e l’ho riconosciuta. Ho usato il telefono finto. Ho composto il suo numero di telefono, mi ha detto lei di fare così.. lei voleva parlare con te.-

-Non posso crederci…cosa dobbiamo fare adesso, Jeff?-

-Devi bruciare tutto…dobbiamo permettere alle anime morte di essere libere, hai capito? Dobbiamo uccidere i miei giochi.-

-Non voglio che Susan muoia un’altra volta!- gridò Nick.

-E’già morta..Nick. Non possiamo fare niente.- 

 

Il parco abbandonato alla periferia di Trent era avvolto da un silenzio assordante.

Il vento spettinava i capelli dell’uomo e del bambino.

Entrambi stavano per dire addio a una parte della loro vita.

C’era odore di plastica fusa e piccoli brandelli di carta bruciata salivano verso il cielo come  sottili lingue nere.

Nick aveva appoggiato un braccio intorno alle spalle di Jeff mentre osservavano il fumo nero e grigio che si propagava nell’aria fino a raggiungere l’orizzonte.  

Nick avrebbe potuto giurare di aver sentito le voci delle persone nascoste nelle carcasse dei giocattoli di Jeff che andavano sciogliendosi fino a diventare scure colate dense e irriconoscibili.

-Sai come è fatta l’anima di Susy..?- fece Jeff all’improvviso.

Nick si voltò verso di lui senza parlare.

-E’come una piccola nuvola viola.-

Jeff avrebbe voluto che sua madre lo facesse ammalare ancora una volta, l’ultima.

Avrebbe voluto chiedere scusa alle anime di quelle persone per le quali era stato solo un inconsapevole carceriere.

Ciao Susan, fai buon viaggio e ricordati che ti amo,  disse Nick senza parlare.

 

 

 

  

 

 

 

 

     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

     

 

 

 

 

 

 

 

3 Commenti a ““Il mondo di Jeff””

  1. Andrea dice:

    Ciao Luca. Bellissimo questo tuo racconto! Mi è piaciuta molto l’idea dei giocattoli che intrappolano anime, e del bambino che cresce lì in mezzo. Forse alla fine manca un po’ una spiegazione del perché la madre facesse tutto quello, ma lascia un velo di mistero che tutto sommato è piacevole.
    Grazie per avercelo fatto leggere :)

  2. leelazens.skyrock.com dice:

    leelazens.skyrock.com

    La fabbrica d’inchiostro » Blog Archive » “Il mondo di Jeff”

  3. Carma dice:

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