MIMMO BURZACHECHI – Racconti Gotici

Una raccolta www.storydrawer.org

Icarus

Pubblicato da maelstrom il 5 settembre 2007

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RACCONTI BREVI  





Icarus 



Visitate il sito ufficiale: http://www.mimmoburzachechi.com


Copyright – Mimmo Burzachechi, 2006


Volume gratuito


Finito di stampare nell’ottobre 2006


Printed in Italy


 





- Prologo -




“Non so in che giorno o in che momento sono diventato vecchio, cara Francesca, ma non penso che sia stata una cosa graduale. Deve essere successo d’improvviso. Forse perché abbiamo smesso di vederci, chissà…


Ma tu dimmi, stai bene? Sei felice con tuo marito da quando vi siete trasferiti sulle colline?


Perché le mie labbra sono ormai infeconde e non assaggiano più quello strano – magnifico! – sapore fatto della stoffa delle coppe del tuo bikini, del senso lattiginoso dei tuoi seni e del salmastro del mare di Sant’Andrea? Ricordi? Mi vien da sorridere. Iniziavamo a nuotare quando il sole iniziava a tramontare e la spiaggia si faceva deserta, poi restavamo a coccolarci immersi nell’acqua che celava i nostri corpi insieme all’oscurità che intanto avanzava e si faceva complice.


Perché è svanito tutto? Perché? Perché!


Ed ora sono diventato nonno, ed è questo il vero motivo che mi ha spinto a rompere il silenzio che ci eravamo imposti fra noi. Crudelmente. Da anni.


Non preoccuparti, mia cara, non mi farò più vivo, ma essere nonno è come essere di nuovo padre e volevo che tu lo sapessi.


 


Fidenza, 16 luglio 1984


 Sempre tuo, Enrico”.




 


“Caro Enrico,


ti chiedi perché e mi chiami crudele, ma ricevere la tua lettera ha intossicato il mio animo di rimpianto più di tutti i tuoi perché. Vedi che sei tu ad essere veramente spietato?


Ad ogni buon conto, mi congratulo per la tua nuova condizione di nonno, è una gioia che non conoscerò mai.


Sì… siamo felici io e Liano. Del resto sono stabilità e sicurezza che contano alla nostra età, non credi? E non dirmi il danaro, perché non è vero.


Ti voglio sempre bene anche se non lo dimostro e nel rinnovarti la preghiera di non contattarmi mai più, ti faccio una domanda retorica: come farai a superare la tua fobia dell’aereo per vedere il nipotino (o nipotina) in Canada, tua moglie Giada ti ha forse convinto? O verranno loro da te?


Ricordo sempre la tua nobiltà e la tua passione ogni volta che leggo qualche lettera sopravvissuta qua e là.


 


Canossa, 19 luglio 1984 


Addio, Francesca”.




-   1 -


 «Giada, litigare è appropriato agli sciocchi. Perciò evita di insistere e non provocarmi. Te ne prego».


Nessuno era propenso alla razionalità più di quanto lo fosse Enrico, che alla temuta soglia dei 70, sviluppava con crescente metodo e ogni giorno di più, una vita pianificata, minuto dopo minuto. Non voleva più avere le spiacevoli sorprese che lo avevano fulminato da giovane, ardore dopo ardore.


«Enrico, tua figlia vuole condividere con noi, noi, la gioia della maternità. Non ammetto rifiuti. Salirai su quell’aereo, ho già comprato il viaggio. In ogni caso se non verrai, io andrò da sola in Canada e…», diceva con voce ferma la consorte, la pausa beffarda nel discorso non faceva presagire niente di buono.


«E…», si preoccupò Enrico.


«…quando la notte non dormirai e trasalirai, svegliato bruscamente dal sogno della tua prigionia in Germania, allora mio caro chi ti abbraccerà, chi farà una collana di soccorso con le perle del tuo sudore gelido? Già che stupida sono, c’è la Francesca, la Pescaroli lei sì…»


Gli occhi di Enrico si dipinsero di livore, ma la paura lo invase in modo più prepotente. Questa accusa non era prevista nel planning della sua giornata.


«Come sai di Francesca Pescaroli…» deglutì della saliva perché la voce gli si era impuntata sul quel nome come fosse un balbuziente che dice trentatretrentini. Cercò di mantenere un contegno, raccolse il suo coraggio e invitò la moglie a parlare mostrandole solo il palmo della mano, come per ricevere. Ma ricevere cosa? Risposte, perdono, abbandono? Cosa?


«L’ho sempre conosciuta, ho sempre saputo. Ma penso che lei fosse il trastullo e io l’amore così non ho avuto il coraggio di toglierti il tuo trastullo».


«Io…»


«No, Enrico sono io che ti chiedo scusa. Non avrei dovuto mai menzionare questa storia, sono stata…», fece un pausa di pensiero, ricacciò un singhiozzio di pianto nelle sue viscere e disse «…come dire… meschina. Scusami». Ora sì che piangeva.


Quella notte, per la prima volta in quaranta anni di matrimonio dormirono in stanze separate.



 


-   2 -


 Trasalì. «Mena quel martello perdigiorno di un italiano». Balzò seduto sul letto, imperlato di sudore. Erano le quattro, era notte, era buio, era solo, era terrorizzato. Erano i tedeschi nella fabbrica. Era la sua prigionia. Era il sogno di tutte le notti. Quel martello rimbombava nella sua testa per molti minuti anche dopo il brusco risveglio. «Motta!», il suo cognome urlato in modo agghiacciante con pronuncia teutonica e poi una martellata di sprone motivazionale per il lavoro. Sul ginocchio. E fu claudicante. Allora e poi per sempre.


La separazione di quella notte con la moglie fu soltanto rappresentativa. Enrico e Giada versavano in sentimenti sinceri, profondi e reciproci da sempre. Al mattino, parlarono con molto pudore, soffermandosi più sull’importanza del loro amore che su meri accadimenti passati.


«Verrò a Toronto, Giada».


«Enrico io non voglio costringerti, sono stata brusca ieri sera, scusami, ma sai il primo nipote, l’entusiasmo della nostra bambina che ora è mamma, e tutto il resto. Sai come sono queste cose». Scuoteva la testa per via dell’emotività che le davano quelle immagini neomaterne.


«Prenderò quell’aereo, amore». Lo sentenziò non senza visibile nervosismo, ma irremovibile.


«E i bombardamenti? Il ricordo del vuoto? Il lancio col paracadute?», si premurò di fugare ogni dubbio, Giada.


«Siediti Giada, te ne prego, ho da dirti una cosa importante, almeno credo lo sia.


«Vedi, Giada ho riflettuto molto questa notte. Tu eri a conoscenza della mia infedeltà e mi hai perdonato. Ma non ti sei limitata semplicemente a questo. Non mi hai mai accusato, non hai fatto ricadere su di me il peso della colpa. Non mi hai costretto a scegliere fra la mia famiglia e la passione».


«Enrico, stavi invecchiando, come me del resto, so che quella storia era l’ultimo scampolo di una giovinezza fuggente. E sapevo che mi amavi. Certo non nascondo di aver sofferto». Sospirò, si alzò dal suo divano, si avvicinò al divano del marito e in ginocchio gli abbracciò le gambe in segno di perdono.


Enrico, commosso proseguì. «Giada, credo che non esista amore più grande di quello che hai avuto per me, né sacrificio più aspro per una donna. Non esiste carità più vasta della tua. Ed io? Cosa ho fatto per te in tutti questi anni… Dopo la pensione sono diventato sempre più pigro e irascibile. Perdonami se puoi».


«Ti amo».


«E tu sei riamata da me».


Seguì un abbraccio muto e magniloquente.


«Enrico non parliamone mai più».


«Si, ma lasciami dire un’ultima cosa sull’argomento. Vivrò nell’espiazione oggi e per tutta la vita. Dedito alla famiglia, sprezzante dei demoni della guerra. Sei la persona migliore che io conosca Giada».


«Sarai prudente Enrico?»


«Sì», capiva benissimo che il volo poteva essere un trauma. Un delirio.



 


-   3 -


 «Enrico, sei sicuro di non volere prendere l’ansiolitico? Il volo d’andata è stato ottimo. Su non farmi stare in pena, prendi le tue gocce».


«Sai, pensavo che il piccolo André è proprio una meraviglia». Sorrise sognando. La vita lo possedeva violentemente.


«Già». Sorrideva anche lei, ma soprattutto sentiva empaticamente l’euforia del marito. I giorni trascorsi in Canada, l’epifania del nipotino, la vita che si rinnovava, gli spazi sconfinati. La passione che di nuovo li avevi sorpresi nel letto dopo tanti anni di sola tenerezza.


«Dai Enrico», gli scaldava una spalla con uno strofinio premuroso, «manca ancora qualche minuto al decollo, prendi l’ansiolitico».


«Non voglio». Portò pollice e indice al mento come il pensatore di Stilo, appoggiò il gomito sul bracciolo sporgendosi verso la donna e riprese con un tono più basso, come fosse segreto. «Voglio farcela da solo. André è venuto al mondo da solo così piccolo e indifeso ed io, ugualmente, volerò da solo».


«Non sarai solo! Ci sono io con te». Gli occhi di Giada brillavano e le labbra si assottigliavano in una stretta di ammirazione.


«E c’è un’altra cosa. La storia con Francesca. È iniziata perché volevo vedere se ero ancora giovane, piacente. E ti ho comminato un inferno, amore. Adesso voglio volare libero, senza aiuto. Sono vecchio? Bene, non ho bisogno di dimostrare il contrario. Ho te. Voglio vincere questa paura senza la calma artificiale delle benzodiazepine. Senza tranquillità sostitutiva. Non so se mi capisci, tesoro. Se avessi vinto la stessa battaglia interna un tempo, ecco…, non ti avrei tradita. Vinco oggi per te. Per emendarmi».


Due lacrime, stima, fiducia, conferma di una scelta di perdono e comprensione ben riposta, Giada.


Denti stretti all’invito del capitano di allacciare la cintura di sicurezza, Enrico.


Mano nella mano, Giada.


Sudorazione fredda all’accensione dei motori, Enrico.


«Prendi l’ansiolitico», Giada.


«Ce la posso fare senza», mentre la luce del corridoio della carlinga diventa accecante, Enrico.


«Chiudi gli occhi, caro», Giada.


Farfalle che sbattono alle pareti interne dello stomaco, Enrico.


Chiude gli occhi, Giada.


Dissimula, vuole redimersi Enrico.


Asseconda un gesto bellissimo, Giada.


La nausea diventa un invasore, tutto l’interno dell’organismo vorrebbe rivoltarsi e uscire all’esterno, per avere ossigeno, nuova purezza, Enrico.


È ormai assente, sogna, vive un atto d’amore Giada.


Trattiene a stento stimoli di eruttazione, Enrico.


Ricorda il primo bacio, e la consegna del diamante di fidanzamento, Giada.


I muscoli si tendono, la cervicale indolenzisce come se fosse tesa dal cappio di una forca, Enrico.


La timida, agitata presentazione del fidanzato ai suoi genitori, Giada.


Lo stimolo irrefrenabile di pisciare e una bordata controllata a stento di diarrea, appena l’aereo prende quota. Il rombo del tuono, no cioè sono i motori, no sono le bombe sulla casa, no è sua madre che urla con il fratello piccolo in braccio, mentre il tetto si sventra, Enrico.


Il sì in Chiesa. Incredulità, commozione, il sogno si avvera, si fa strada la realizzazione. Un approdo. Giada.


Dieci minuti. È da tanto che l’aereo fa le sue incursioni sui rifugi dei civili, no cioè è da tanto che l’aereo vola verso l’aeroporto civile di Bologna, in tempo di pace, Enrico.


Il vagito di Luciana appena nata, Giada.


Uno scatto improvviso, deve guadagnare la toilette, Enrico.


Si è addormentata, ha raggiunto il nirvana, non si accorge più dell’aereo, è trenta centimetri più sopra del corpo, non c’è il tempo, non c’è lo spazio, non ci sono persone, Giada.


La toilette è stretta, laustrofobia, ma non importa lui deve espellere la sua nausea, deve decontrarre i muscoli, deve scendere dal patibolo. Non ci sono persone, solo l’aereo.


Tum, Tum. Un vuoto d’aria, no cioè è il martello che picchia sull’incudine nella fabbrica in Germania. No, non è sull’incudine che infierisce, sente la fitta sul ginocchio. Non è l’angusta toilette, è la prigionia dei nazisti. No è la toilette ci sono chiaramente l’oblò, il lavandino e il water. Ma perché il vuoto d’aria picchia sul ginocchio? Allora è in Germania! Il cuore è un incudine, no il martello inferocisce sul cuore. La mente si smarrisce. Non esiste più controllo. Ha la sensazione di impazzire, vuole impazzire, per non percepire più.


Il collo della polo è ormai palude di bava. Il terreno della fabbrica, è come sabbie mobili. Mena il martello, italiano. Lo sente nel cuore. Lo scudo di spessi strati di cuoio e bronzo cede mentre Achille si precipita sulla lancia scagliata poco prima e la spinge feroce, divora i fianchi. No è il cuore. Non è Achille è Schicklgruber, il vuoto d’aria penetra nel cuore, gli strati di cuoio cedono, la luce della toilette diventa accecante come l’occhio rosso del sole a Troia, no non è Troia è la trincea, piove.


E la tenebra avvolge i suoi occhi, Achille lo lega al carro per trascinarlo, Giada ti ho amato, non è Achille è il capitano dell’aereo che lo trascina fuori dalla toilette, lontano dall’incudine. E i cavalli lo trascinano, e la tenebra lo rapisce, le grida dei passeggeri si allontanano, la battaglia è finita. Gli alleati americani lo hanno liberato, non può mangiare quanto vorrebbe, non subito, perché il digiuno lo ha gonfiato, non può bere quanto vorrebbe. Ma è leggero, la luce è tornata. L’incudine non urla più. Il ginocchio non fa più male. E la tenebra lo avvolge. Discende sugli occhi.


Non c’è più spazio, non c’è più tempo. Non c’è più Francesca, no è Giada. Enrico.


E muore.


 


 


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8 Commenti a “Icarus”

  1. Alex dice:

    Impressionante! Specialmente la morte di Enrico. Cosi reale… mi ha fatto venire i brividi. Anche il tema e molto bello.

  2. Andrea dice:

    Ciao Mimmo, simpatico il tuo racconto. Se posso permettermi, la storia del tradimento e del perdono la affronti un po’ frettolosamente, e mi pare (ma magari sbaglio) poco credibile. Molto bella invece la fine e il delirio, diciamo da quando entra nella toilette in poi.
    Grazie per avercelo fatto leggere :)

  3. fabio dice:

    Ciao Mimmo,

    Sono decisamente daccondo con Alex. La sofferenza di Enrico è tremendamente reale.

    Spero che pubblicherai presto il tuo secondo racconto! ^_^

    Ciao,
    Fabio

  4. maelstrom dice:

    grazie ad Alex e Fabio, vi prometto che appena possibile (il lavoro sigh…) pubblicherò qualche altra cosa.
    Un grazie speciale ad Andrea i cui suggerimenti sono molto costruttivi per me.
    Aspetto sempre altre opinioni.

  5. marilety dice:

    meraviglioso incisivo tenero romantico

  6. Romolo dice:

    Molto bello, però la parte della morte essendo un po’ visionaria, dovrebbe avvalersi di strumenti tipografici diversi. Dovresti usare un carattere diverso per quando immagina ed il carattere base per quando narra. Prova a leggere la storia di Lisey di Stephen King e considera di adottare un gioco di fonts come fa lui. per il resto bravissimo, da professionista.

  7. Chris84 dice:

    Mi ha preso moltissimo da quando Enrico sale sull’aereo in poi…bella la sequenza dei pensieri di Enrico e Giada, vicini nel fisico ma distanti miglia con la mente!

  8. A.D.B. dice:

    Concordo sul commento di Andrea, il tema del tradimento è poco affrontato, mi sarebbe piaciuto sentire qualcosa in più sulla relazione extra coniugale, che a quanto pare gratificava Enrico, regalandogli degli scampoli di giovinezza e d’immortalità. Innovativa ed avvincente la sequenza dell’infarto. Buona la conclusione, complimenti!

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