Icaro (parte prima)
Pubblicato da marilety il 11 settembre 2007
Sguardi intrecciati con grappoli di glicine, capillari che nei loro occhi si trasformano in alberi avvinghiati disperatamentealla loro terra, caleidoscopio dove le immagini vengono risucchiate in una dimensione spazio-tempo inesistente, forme eteree di un mondo teso verso la radicalità di un’esistenza e la sua distruzione.
Il suo sguardo non volle entrare nella volgarità della storia, ma essere lui l’artefice del mondo, il sole su di lui aveva lo stesso effetto di un amplesso portato alla sua esasperazione, forgiò le sue ali e spiccò il volo, quello che successe dopo è la storia, la parte mai presa in considerazione è quello che vide nel suo viaggio.
Quando fu pronto, ridiede quello che fu, l’ultimo sguardo verso la terra. Si soffermò piacevolmente sulla casa del padre, in quella casa era racchiuso tutto il suo passaggio sulla terra, poi ammirò tutta la valle immersa nel placido silenzio di sempre. Vivevano ancora forte in lui le ultime parole di suo padre che miravano a distoglierlo dal suo viaggio, cercando cosi’ di impedire il decorso del tempo e cioò che in esso vi era già stabilito. Ma fu un’impresa inutile, poichè era troppo assorbito dal desiderio di conoscenza, di inoltrandosi nell’ignoto, varcando tutti i limiti della razionalità, per essere, li’ dove gli altri, avevano timore di essere. Quando staccò il suo contatto con la terraferma, ebbe un momento di smarrimento, ma istantaneamente subentrò una sensazione di leggerezza, che lo faceva sentire forte, insuperabile, grandioso ai propri occhi, ed il suo viso si irradiò di una luce penetrante. Se avesse potuto osservare la sua immagine allo specchio, ne sarebbe rimasto compiaciuto ed estasiato. Con il progressivo allontanarsi dalla terra, con un movimento comandato dalla forze delle braccia stesse, il desiderio di inoltrarsi nel vuoto per incontrare la luce, aumentava in maniera spasmodica, era come preso da una frenesia che lo invitava ad afferrare un abbandono piacevole ed insaziabile. nonostante che il raggiungimento di questo stadio significasse perdere dei punti di contatto con la vita, e sentisse sempre più l’avvicinarsi dell’astratto e del vuoto, fu irremovibile. Non ci avrebbe mai rinunciato, voleva assaporare l’istante in cui sarebbe entrato in simbiosi con quell’energia inquantificabile ed inavvicinabile per l’uomo, era convinto che gli sarebbe bastata per l’intera sua vita. Ci voleva coraggio? Ed egli ne aveva. Quel coraggio di chi pur rischiando di precipitare nel vuoto, prosegue sfidando con grinta l’ignoto, barattando con la propria vita. Quando la paura cercava di sopraffarlo, riusciva a schernirla, ridendo con gli occhi rivolti alla luce, quella luce che lo avvolgeva interamente, assorbendolo ed attirandolo, come può avvenire con una calamita ed il metallo. Erano momenti di splendore: infiniti, pieni. Poi cadde improvvisamente il buio, così come può accadere dinanzi ad uno scenario, dove cala il sipario, che chiude la visione del tutto. Intorno, dopo l’entusiasmo e la gloria, si infiltra il silenzio, l’abbandono, lo sgomento, il rimpianto, la solitudine di tutti quegli spettatori che lentamente volgono le spalle e si allontanano assorti, portando con sè ciò a cui avevano assistito, avvinti. Quelle scene che avrebbero fatto fatica ad essere cancellate dalla memoria, poichè si erano scalfite nella mente. Gli anni non avrebbero per nulla guastato ciò che rimaneva impresso, immutabile. Quelle immagini, legate a momenti di esaltazione, erano così forti da godere del privilegio di restare eterne. E, nonostante intorno ci fosse il vuoto, il niente, questo significava poco, la luce sarebbe ritornata ed egli avrebbe assaporato quel tepore capace di scaldargli l’animo e riempirgli il cuore. Questo desiderio struggente gli levava la vita, privandolo dell’aria, dell’ossigeno necessario per viverla. D’un tratto cominciò a sudare, e gli occhi gli uscirono dalle orbite, una voragine interamente lo divorò avvolgendolo in un turbine incontrollabile. Pareva quasi che il vento potesse portarlo chissà dove, ed annullare la sua vitalità. Inerme, il suo corpo entrava a diecimila giri in una voragine, dove la terra lo risucchiava, sprofondandolo come in sabbie mobili. Quando nemmeno un angolo del suo corpo, ebbe il benchè minimo contatto con l’esterno e fu assorbito interamente dalla forza terra, i suoi occhi si chiusero, ma questo non gli impedi di vedere i colori, cerchi, filamenti. Era la prova del nove : in lui c’era ancora vita. Quando potè finalmente rivedere la luce, si rese conto perfettamnete di essere caduto come in catalessi, dove il sogno lo avevva avvinto, spingendolo in una dimensione da incubo. In realtà non erano trascorsi che attimi brevi, fuggenti. Fu proprio in questo stato di lucidità assoluta, che udì una voce chiara, squillante, pareva fosse una sorgente cristallina, a parlargli. Questo suono melodioso pronunciò il suo nome : “Icaro”. Ebbe un moto di spavento, poi si rasserenò.
“Arginare la propria follia. Trovare il modo di non lasciarsi andare interamente da un forte senso di abbandono. Ciascuno di noi, cerca la propria meta. Ed essa esiste : non lasciarti prendere dallo sconforto e continua, per vincere, finalmente. Non c’è via di scampo quando cominci a rotolare ed a non avere più la coscienza di quello che fai. Ma intanto, continui, pur rotolando. Con te, sai bene che fermarsi è un pò come morire, chiudersi , tapparsi in una tana, che può essere solo il rifugio di un momento, poichè la sera seguente al giorno non esisterà più. Devi avere la scaltrezza, l’audacia, di spingerti oltre, per trovare quello che non sarà un rifugio, o una sosta fugace, bensì uno stato definitivo di permanenza, che tenderà a migliorarsi. Un altro salto nel vuoto. Tanta paura. Piangerai per questo. Ti sbatterai nel tentativo vigliacco di fuggire : poi ti avvicinerai alla sponda e chiuderai gli occhi, il resto lo compirà la tua forza, che ti darà la possibilità, quando li aprirai al giorno, di vedere valicato quel sentiero che ti impediva il cammino. Allora ti sentirai libero, e ti si apriranno nuove strade: piangerai nuovamente, ma stavolta ti sentirai felice e leggero, con l’entusiasmo di ciò che la vita ti sta meravigliosamente riservando. Quando chinerai il capo su di una spalla, sconfitto, e le lacrime scivoleranno fino a scaldarti il cuore, non temere, lì la vita non cesserà di esistere, subentrerà nel tuo animo una forza tale da sconfiggere il mondo, da capovolgerlo e ristabilirlo in breve tempo. Con quest’energia camminerai molteplici strade, ed i passi si succederanno velocemente, leggeri e scattanti. Quando urlerai la tua solitudine, racchiusa in un grido di disperazione e di angoscia, e ti parrà che arrivi all’infinito, dove nessuno lo ode, non aver timore, perchè ci sarà sempre qualcuno che verrà a consolare quel richiamo. Un uomo non può morire solo, perchè l’amore che è racchuiso in lui è tanto grande che ha la capacità di sopravvivere al tedio. E’ una luce che lo accompagna dalla nascita e funge da richiamo al mondo, di certo non può venire ignorata e soffocata nel silenzio. Quando, al tuo fianco, ci sarà l’artefice della tua non vana speranza, allora ti accorgerai di quanto importante sia il tuo cuore, i tuoi sentimenti, che pulseranno come un richiamo sottile, che penetra e recepisce i suoi battiti, dovunque ci sia amore. Questo stadio è la porta che ti avvicina al sereno di un mondo, il tuo mondo”.
Ascoltò il battito del suo cuore. Lo invase un’ansia che gli faceva pulsare il sangue alla testa, nel cervello. Non riusciva a definire la provenienza della voce e gli sembrò quasi che fosse lui stesso a fungere da oratore ed ascoltatore al tempo stesso. Si trovava nel punto in cui non distingueva il luogo da dove era partito, e dinanzi non aveva la chiara immagine di quello che voleva raggiungere, il sole pareva scomparso, in un attimo gli parve che non fosse mai esisitito, di stare ad inseguire il nulla, l’astratto, il sogno, tutto era opaco, come ovattato. Si sentì smarrito, perso, pensò di tornare indietro. Bastava semplicemente fermarsi. Cercò di farsi forza. Del resto, egli stesso era l’artefice del suo viaggio e non valuto il prezzo che gli sarebbe costato. O forse lo sapeva fin troppo bene? Questo era il destino che si era preannunciato? Se lo era, lo avrebbe seguito, senza rassegnazione. Se solo pensava a quello che aveva lasciato alle spalle, si rendeva conto di quanti uomini conducevano esistenze vigliacche, rassegnate, perdenti. Senza amore.
………
12 settembre 2007 alle 7:18 am
Potentissimo, poetico e deliziosamente sincopato.
non vedo l’ora di leggere il sequel.
Oltre tutto a differenza di vari testi con frasi ad effetto, dal tuo racconto trapela un pensiero profondo.
La “volgarità della storia” che concetto magnifico!
Penso che ci sia un Icaro in ogni uomo.
Come si può vedere l’email pubblica del tuo profilo?
12 settembre 2007 alle 9:11 am
Ciao Marilety. Originale l’idea alla base del tuo racconto, e soprattutto molto efficace il modo in cui narri. Lo stile e’ limpido ma non scontato. Elaborato quanto basta, senza essere inutilmente complicato.
Grazie per avercelo fatto leggere
18 settembre 2007 alle 10:19 am
Hey la seconda parte? sono curioso
19 settembre 2007 alle 8:56 pm
Eh già, mica crederai di poterci lasciare così col fiato sospeso…
20 settembre 2007 alle 1:48 pm
cavolo non mi ha salvato niente………………
21 settembre 2007 alle 6:06 am
Ciao Marilety,
direi proprio che ho letteralmente “Volato” sulle tue parole! Aspetto la seconda parte. ^_^
28 settembre 2007 alle 10:04 pm
Emozioni adrenaliniche e filosofiche quelle di icaro. L’ho provate scendendo le rapide dei fiumi in canoa. In fondo un fiume è come il vento, solo piu denso!! ;-))